Capitolo 23

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«Preferisci il coltello o la pistola?»  
Mi volto verso James lentamente, credendo di aver capito male.
Sbatto gli occhi più volte, come a voler riprendere lucidità. «Preferisco non avere un'arma.» rispondo pacata.

Lui scoppia a ridere di gusto. «Sì certo.» Torna a guardarmi con quel suo sorrisetto mezzo storto. «Quindi, quale scegli?»

Sospiro, non uscirò mai più da questa situazione se non lo assecondo.

Guardo entrambe le armi che tiene in mano. «No saprei, non ho mai dovuto usare nessuna delle due.» Alzo le spalle.

Lui mi guarda rassegnato. «Con quale delle due pensi di avere meno probabilità di morire?»

Mi prendo qualche secondo per rifletterci. Partiamo dal coltello, il solo pensiero di doverlo usare per infilzare la carne di qualcuno mi fa venire il voltastomaco. Direi che non ho nessuna possibilità di difendermi in questo modo.
Allo stesso tempo però non ho mai preso in mano una pistola in vita mia, se non contiamo quando James mi ha affidato la sua durante la fuga. Quando stavamo per morire e tutto il mio corpo era concentrato interamente sul saltare su di un treno in corsa senza schiantarmi al suolo. Non ricordo quindi come è stata la sensazione di impugnare un'arma, ad eccezione del fatto che la immaginavo meno pesante. Provo ad immaginarmi mentre ne punto una alla testa di un uomo qualunque, una persona che sta semplicemente obbedendo a degli ordini imposti dal Governo. Un tempo anche io seguivo ciecamente quegli ordini. 

Mi decido a rispondere. «La pistola. Mi sembra meno crudele dover sparare a qualcuno piuttosto che trapassarlo con un pugnale.» James mi guarda, annuisce. Capisco che aveva già indovinato cosa avrei risposto.

Posa il coltello in una fodera nella sua borsa e si avvicina, tenendo una lucida pistola nera nella mano destra. Si posiziona dietro di me, a contatto con la mia schiena. Quando provo a girarmi lui mi ferma posandomi le mani sulle spalle. Inizia a parlare. «Dunque, solitamente chi inizia a sparare per la prima volta utilizza una pistola semi-automatica Glock, come quella che tengo in mano ora. Non starò qui a spiegarti tutte le nozioni tecniche sul suo peso o sul calibro, perchè non abbiamo tempo e sarebbe solo fiato sprecato.» Non obbietto a questa affermazione, lui continua. «Devi impugnarla in questo modo.» Fa passare le sue braccia attorno alle mie, tenendole ben stese. Non ricordo nemmeno l'ultima volta che siamo stati così vicini di proposito. Faccio un respiro profondo e cerco di ignorare l'impulso che mi dice di girarmi verso di lui.
James invece sembra tranquillo, continua a spiegarmi come impugnare l'arma. «Non esitare, devi stringere forte, altrimenti ti farai male con il rinculo.»
Il cosa? Mi giro di scatto per guardarlo in faccia, dimenticandomi che si trova pochi centimetri dietro di me. La mia fronte sbatte contro il suo mento, provocando un piccolo schiocco. Mi lascio andare ad un lamento di dolore, James invece non batte ciglio, come se non lo avessi nemmeno sfiorato. 

Abbassa gli occhi su di me, guardandomi con aria leggermente esasperata. «Sei sicura di non voler usare il coltello?»

-- ♤♡♢♧ --

«Sono nervosa.» dico per la quarta volta.
«Lo so.» mi risponde James senza nemmeno voltarsi. Sta osservando l'avvicinarsi del confine dalla porta aperta della nostra cabina. Sembra si stia semplicemente godendo il paesaggio.

«Potremmo morire.» continuo.

«Sì, è probabile.» dice annoiato.

«E la cosa non ti turba affatto?» la sua indifferenza inizia a darmi sui nervi.
James si volta, cammina fino a trovarsi a pochi passi da me. Si abbassa al mio livello, sembra infastidito ora. «Oh si, mi turba. Eccome. Ma non sono preoccupato per me.» si ferma un secondo, sembra voler prendere un respiro. «Sono preoccupato per te.»
Mi immobilizzo, senza fiato. Non riesco ad alzare lo sguardo su di lui. Fisso un punto lontano dietro le sue spalle. Provo a dare un senso alle sue parole, ma non ne trovo uno. Non uno vero, per lo meno. 

«Se io morissi...» provo a guardarlo negli occhi «tu finiresti nei guai? Con la Resistenza intendo. È per questo che sei preoccupato?» 

James mi guarda, sembra tormentato. Fa una piccola risata, per niente divertita. «Sì certo, è per questo.» Si volta e torna alla sua postazione vicino alla porta, senza nemmeno darmi il tempo di replicare.

Meno di 10 minuti dopo siamo entrambi pronti a saltare giù dal treno.

-- ♤♡♢♧ --

«Seguimi e rimani bassa. Cerca di fare meno rumore possibile.» mi dice James sussurrando.

Scendiamo entrambi dal treno con un balzo e iniziamo a correre verso la radura alla nostra destra. 

Ci troviamo nel bel mezzo di un immenso campo coltivato, disseminato di grandi alberi da frutto e piante di ogni tipo. File e file di fiori e verdure sbucano dal terreno verde chiaro, inondando l'aria di profumi dolci e colori vivaci. In lontananza scorgo una piccola casa di pietra e un mulino, mi chiedo chi sia la persona così fortunata ad abitare qui.

Un flash attraversa la mia mente, una scritta scura sulla mappa di James.
Panama. Una volta questo posto aveva un nome.

Mi risveglio dallo stato di stupore nel quale mi trovo e mi sforzo di rimanere in allerta, nel caso riesca a scorgere qualcuno. O che qualcuno scorga noi. Improvvisamente la sensazione della pistola stretta nella mia mano destra si fa leggermente più forte, così come la consapevolezza della pericolosità della situazione in cui ci troviamo. Ogni secondo che passa rischiamo la vita. 
Finalmente James mi fa segno di fermarci, io obbedisco immediatamente. Mi indica un albero alto e fitto a due passi da noi, dicendomi sottovoce che ci nasconderemo lì sopra, in attesa della fine del controllo.
Annuisco, poi mi avvicino al tronco, cercando di capire come salire. Non ho mai scalato un albero in vita mia. James mi interrompe prima che io possa chiedergli cosa fare. «Aspetta, ti aiuto io.» Posa la sua borsa a terra, riponendo la pistola nel fodero che ha attaccato alla cintura. Fondina, credo si chiami. Ma non ne sono sicura. Pochi istanti dopo mi ritrovo sollevata in aria da un paio di braccia muscolose, quasi grido per il gesto inaspettato.
Allungo le mani sopra la mia testa e afferro il ramo più vicino, facendo leva per salirci sopra. Appena mi sento più stabile faccio cenno a James di lasciarmi e continuo a salire in cima all'albero, passando da ramo in ramo. Dopo qualche secondo mi raggiunge e insieme ci sistemiamo nel punto più alto, stando sempre attenti a non cadere.
«E adesso?» chiedo fissando lo spesso strato di legno e foglie sotto di noi.

James impugna di nuovo la pistola, prova a scorgere qualcosa vicino al treno ma ci rinuncia, siamo davvero ben nascosti. 

Finalmente mi risponde. «Adesso aspettiamo.» Mi lancia un'ultima rapida occhiata e si appoggia al tronco dietro di lui, chiudendo gli occhi. Provo ad imitarlo ma non riesco, sono troppo nervosa. 

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