Capitolo 5

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«Ricordatevi il compito di lunedì, buon fine settimana a tutti.» La signora Kims ci saluta poco prima del suono della campanella.
Terminata la lezione raccogliamo tutti le nostre cose e usciamo dall'aula.

Di solito passando per i corridoi non si sente molto rumore, la nostra scuola è tranquilla e non succede quasi mai niente di particolare, oggi però mentre mi muovo tra le aule sento numerosi brusii.

«Hai sentito di quello nuovo?»

«Dicono che venga dal Centro. Vicino al confine con il South.»

Cerco di cogliere qualche frammento di conversazione, mentre mi aggiro distrattamente tra i corridoi.
Al termine delle lezioni, mentre mi avvio verso l’uscita, vado a sbattere contro qualcuno.

È Maya, l'Intelligente in classe con me. Furiosa.

Sta letteralmente correndo verso la porta, come per scappare da qualcuno.
«Drew, devi lasciarmi in pace!»
Urla al ragazzo che cerca con difficoltà di starle dietro.

Ovviamente ovunque c’è Maya, c’è Drew.

Lui le prende la spalla per bloccarla. «Sei ancora arrabbiata per quell’incidente al parco? Dio, Maya non puoi essere così permalosa.»

Lei si gira di scatto, puntandogli un dito al petto in gesto di sfida. I loro volti sono a pochi centimetri di distanza. «Io posso essere quello che voglio, guardami

Detto questo, da’ un piccolo pugno sul braccio muscoloso del ragazzo e se ne va, senza più aprire bocca.

Lui la guarda allontanarsi, ferito. Si guarda intorno un po' spaesato, come confuso dal comportamento di Maya. Poi mi vede e sospira. «Prima o poi quella ragazza mi farà andare fuori di testa.»

Mi rivolge uno dei suoi soliti sorrisi irresistibili e si avvia verso l’uscita, nella direzione in cui se n’è andata Maya.

Se c’è una cosa che non capirò mai, è il rapporto tra quei due. Probabilmente nessuno lo capirà mai, penso mentre mi incammino verso la strada di casa.

Sto percorrendo la stradina per arrivare al nostro quartiere, quando sento il telefono vibrare, è Eureka.

«Marlene, noi andiamo alla mostra di mamma, se hai voglia di raggiungerci basta che chiami papà e lui torna a prenderti va bene?»

Ci penso qualche secondo. «Non credo Reka, la scuola mi ha sfinita. Per che ora pensate di tornare?»

Sento mia sorella parlare con qualcuno, poi torna a rivolgersi a me.
«Mamma ha detto di non aspettarci alzata.»

Annuisco tra me e me. «Va bene, divertitevi.»

La sento sorridere mentre parla. «Certo! Ah dimenticavo, ha chiamato Ivy Blue mentre eri a lezione, ha detto di averti lasciato un messaggio in segreteria, appena hai tempo controlla. Ci sentiamo, ciao Marl.»

Saluto a mia volta e metto giù. Chissà se la mostra della mamma riscuoterà tanto successo come l’ultima.
Emma Line è un volto noto tra i pittori della zona, questo la tiene costantemente impegnata in vari progetti commissionati da una moltitudine di persone, anche importanti. Sono molto fortunata ad aver preso la vena artistica da lei.

Sono quasi arrivata a casa quando, passando davanti alla casa del signor Vickinsky, noto che nel vialetto è parcheggiata una macchina. Strano penso, visto che Victor e Raide sono partiti ieri.

Mi avvicino indiscreta, spinta dalla curiosità. Cerco di intravedere qualcosa attraverso le finestre della casa quando vengo sorpresa da un ragazzo che esce dalla porta portando un pesante scatolone tra le braccia.

Ha all’incirca la mia età, è alto, magro, capelli e occhi scuri. Porta gli occhiali.

Mi vede e per un attimo sembra sorpreso, poi nel suo sguardo compare qualcosa, molto velocemente. Cerco di interpretare la sua strana reazione ma vengo distratta dal suo repentino cambio di direzione.

Mi viene incontro velocemente.

«Tu devi essere Marlene.» mi porge la mano mentre un leggero sorriso compare sul suo viso. Noto che un lato della bocca si alza più dell’altro. «Victor mi ha parlato un po’ di te. Ha detto che dipingi in maniera straordinaria. Io sono James, comunque.»

Rimango per un attimo interdetta dal tono diretto della sua voce, poi rispondo. «Sì, sono io Marlene. Piacere di conoscerti. Siete voi i nuovi vicini?»

Lui socchiude gli occhi e si gira a guardare la casa, pensieroso. «A quanto pare sì.»

Mentre mi dà le spalle noto una piccola cicatrice che gli spunta dal bordo della maglia, appena sotto il collo. Ha la forma di una piccola croce rovesciata, il bordo liscio e scuro.

Torna a voltarsi verso di me. «Beh Marlene, è stato bello. Anche se breve. Ma credo che avremo modo di conoscerci meglio a scuola.»

Ho un sussulto, è lui il nuovo arrivato.

Mi osserva per qualche secondo, come se stesse cercando qualcosa. Poi ritorna in sé, mi saluta e rientra in casa.

Ancora interdetta dalla brevità dell'incontro proseguo per la mia strada, riflettendo sulle sue parole e cercando di dare un senso alle sue reazioni. Mentre apro il cancello per entrare in giardino l’unica cosa a cui riesco a pensare è che non mi ha detto la cosa più importante.
Tutti sono abituati a presentarsi dicendo la propria Classe di appartenenza. Alcune volte ancora prima del nome. Per questo motivo rimango interdetta.

Rientrata in casa mi dirigo in soggiorno, dove mi ritrovo a dover scavalcare i vari fogli dei compiti di Eureka che occupano una buona parte del pavimento.

Cerco di mettere un po' d'ordine a quel caos, separando i fogli in varie pile ordinate. Mentre riordino un ultimo strato di appunti mi ricordo del messaggio lasciato da mia sorella in segreteria.

Prendo il telefono dalla tasca, guardando il display. L'icona del messaggio è illuminata, il numero dal quale proviene non è però registrato. Premo confusa il pulsante per ascoltare la segreteria quando mi blocco.
Quella che sento non è la voce di Ivy Blue.

Sento degli strani rumori, come di interferenza, e per una decina di secondi non c’è altro.

Poi, all’improvviso, compare la voce.

È indistinta, disturbata e faccio molta fatica a capirla.

A parlare è William, il fidanzato di mia sorella maggiore.

La sua voce è disturbata, frammentaria.

«Fidati

Del ragazzo

Con la cicatrice.»

La registrazione si interrompe, lasciandomi con una strana sensazione addosso.
Quando faccio per riascoltare il messaggio, la voce registrata mi avvisa che la segreteria è vuota.
Appoggio il telefono di fianco a me, tremando.

Mentre salgo le scale diretta verso la mia camera non riesco a convincermi di essermi sbagliata, di essermi immaginata tutto.

Non riesco a togliermi dalla testa l'immagine della piccola cicatrice dietro il collo di James.

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