Capitolo 14

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«Ciao Marl!» 
Sobbalzo al suono squillante della voce dietro di me, facendo sbattere l'anta dell'armadietto contro il muro. Faccio un lungo respiro per calmarmi, cercando di svuotare la mente da tutti i pensieri che mi attanagliano. Non posso andare avanti così. 

Mi volto tentando un sorriso. Fallisco. «Ciao Katrina.» faccio una piccola pausa «Potresti non urlare? Ho un leggero mal di testa.»

Lei mi guarda socchiudendo gli occhi. «Più che un mal di testa a me sembra un esaurimento nervoso. Non ho nemmeno alzato la voce più del solito. Forse dovresti passare in infermeria.» Allunga una mano oltre la mia spalla, chiudendo per me l'armadietto. 

Come darle torto. Sono conciata veramente male, non riesco nemmeno a nasconderlo. Sono passati già due giorni dalla sera della cena...quella sera. E io non mi sono ancora minimamente ripresa. 

Probabilmente non mi riprenderò per molto tempo. 

Per non parlare del fatto che James non mi parla, non torniamo nemmeno più a casa insieme. Lo vedo di sfuggita durante i cambi dell'ora, tutto preso a correre da una parte all'altra.
Sembra sempre indaffarato, mi chiedo cosa stia progettando. Una fuga? Un attacco dei Ribelli? 

Scuoto la testa cercando di allontanare queste idee assurde, devo pensare ad altro.

 «Infatti, non stai bene.» mi affianca, avvolgendomi un braccio intorno alle spalle. «Ti accompagno in infermeria, dalla dottoressa Kirsten.»
Non ho nemmeno più la forza di oppormi, quindi mi lascio trascinare.

La dottoressa Kirsten è la responsabile dell'aula medica dell'Istituto, una stanza calda e accogliente con il potere di farti pensare a tutto tranne che alla malattia. Il suo sorriso caldo ma nel contempo severo è sempre pronto ad accoglierti per rimetterti in sesto completamente nel giro di poche ore. È una donna anziana, con una nuvola di capelli bianchi in testa e due enormi occhi azzurro ghiaccio. Naturalmente Intelligente.

Durante il tragitto penso di nuovo a James, alla lunga conversazione di quella sera. Ripenso all'abbraccio nel quale mi aveva stretta, dove mi sentivo completamente al sicuro. Deve essersi sentito in imbarazzo a vedermi così debole e vulnerabile tra le sue braccia, probabilmente è per questo che mi evita da due giorni. Improvvisamente mi rendo conto di come deve essere stato per lui, e mi sento arrossire. 

Katrina si volta a guardarmi, accigliata. «Probabilmente ti sta venendo la febbre, sbrighiamoci ad arrivare dalla dottoressa.» E anche se la testa mi pulsa terribilmente e i brividi mi scuotono il corpo non riesco a fare a meno di notare lo strano sguardo che mi rivolge Katrina mentre ci muoviamo a passo svelto lungo i corridoi.

Poi, mentre oltrepassiamo velocemente onde e onde di studenti diretti nelle proprie aule un pensiero mi si forma in testa. Magari sono davvero malata e mi sto immaginando di nuovo tutto. 

O magari è tutto vero questa volta, solo che non sono ancora pronta ad accettarlo.

-- ♤♡♢♧ --

Mi sveglio di soprassalto al rumore della porta dell'infermeria che sbatte, sia io che la dottoressa Kirsten ci giriamo a guardare. 
È James, con la felpa chiusa male e le scarpe slacciate, lo zaino aperto che gli penzola mollemente da una spalla. Si guarda intorno freneticamente mentre cerca di individuare qualcosa tra i lettini vuoti che riempiono la stanza. Poi il suo sguardo cattura il mio e lo vedo dirigersi a passo svelto verso di me. 

Si siede violentemente sulla sedia sistemata a lato del mio lettino, dove io sono distesa e ben sistemata sotto due strati di coperte morbide e fresche di pulitura. Mi guarda dritto negli occhi e per la prima volta dopo due giorni lo sento di nuovo rivolgermi la parola. «Stai male? Hai la febbre? Perchè non mi hai chiamato?»

Un moto di rabbia mi travolge, facendomi alzare improvvisamente la voce. «Stai scherzando spero. Perchè non ti ho chiamato? Mi prendi in giro?» vengo interrotta dalla voce della dottoressa Kirsten che, schiarendosi la gola rumorosamente, mi rivolge un'occhiata di rimprovero. Mi è stato vietato di agitarmi o affaticarmi, quindi con mio dispiacere sono costretta a ricacciare indietro tutte le imprecazioni che stavo per rivolgere a James e sistemarmi nuovamente sotto le coperte. 

La dottoressa quindi si rivolge a James. «Sei preoccupato per la tua ragazza, lo capisco, ma in questo momento Marlene necessita di assoluto riposo e tranquillità. Potrete chiarirvi più tardi, quando lei si sarà ripresa.»
Lui domanda subito «Sta molto male? Cos'ha?» proprio mentre io dico «Non sono la sua ragazza!»
Kirsten ci guarda entrambi, sospira. «Certamente.»

Si avvicina al mio lettino e mi posa dolcemente una mano sulla testa, accarezzandola. «Marlene non ha assolutamente niente di grave, è solo stressata. Stamattina ha avuto un leggero attacco di panico, perciò la sua amica l'ha portata qui. Le ho dato una bella tazza bollente di tisana calmante e l'ho fatta riposare per qualche ora, sta già molto meglio. Deve evitare lo stress però, o saremo nuovamente al punto di partenza.»

James mi guarda preoccupato, poi si rilassa leggermente. Annuisce. «D'accordo.» si alza. Poi si risiede nuovamente. «Posso...» guarda la dottoressa. Lei annuisce frettolosamente, improvvisamente in imbarazzo. «Devo passare in segreteria a lasciare qualche documento, tornerò fra poco.» raccoglie alcuni fogli dalla sua postazione vicino alla finestra ed esce dalla stanza, chiudendo la porta. 

James mi anticipa prendendo per primo la parola. «Perchè non mi hai detto che eri nervosa? Avrei fatto qualcosa per aiutarti.»
Sento di nuovo la rabbia invadermi. «Perchè non ti ho detto niente? Mi hai evitata! Non mi hai più parlato dopo quella sera a casa mia, non mi sei nemmeno più venuto a prendere prima di andare a scuola! Tu hai idea di come possa essermi sentita? Pensavo di aver fatto qualcosa di male!» sento il respiro accelerarsi improvvisamente, quindi chiudo gli occhi e respiro profondamente un paio di volte. Quando mi sento meglio proseguo. «Davvero non ti è venuto in mente che magari mi sarei potuta sentire disorientata?Hai stravolto la mia vita quella sera!»

Lui sobbalza, colpito dalle mie parole, come...ferito. 

La sua mano cerca la mia sopra il lettino, quando la trova mi stringe. «Non era mia intenzione farti stare male. Non sono abituato a gestire situazioni del genere, per me è la prima volta. Pensavo solamente che magari volessi startene un po' da sola, per metabolizzare bene quello che ci eravamo detti.» usa l'altra mano per scompigliarsi i capelli già disordinati. «Mi dispiace tanto, davvero.» 

Mi guarda negli occhi, la sua mano sempre posata sulla mia. E improvvisamente tutto il rancore e tutta la rabbia semplicemente...scompaiono. Annuisco. «Ti perdono. Solo...non farlo più va bene?» 
Lui annuisce con espressione seria. «Promesso.»

Lascio andare la sua mano, improvvisamente consapevole del peso di quel gesto. Lui sembra accorgersene solamente ora, infatti si schiarisce la voce nervoso. «Mi hai fatto prendere un bello spavento sai? Avevo appena finito la lezione di educazione fisica ed ero in spogliatoio a cambiarmi quando ho sentito Drew che diceva ad un suo amico che eri finita in infermeria perchè non ti sentivi bene. Sono corso subito qui, pensavo fosse qualcosa di grave.»
Ride nervosamente. «Avevo il cuore che batteva a mille.»

Si scompiglia di nuovo i capelli, in imbarazzo. Mi sento arrossire, nessuno si era mai preoccupato così tanto per me. Poi lo guardo e noto che sembra veramente appena corso fuori dallo spogliatoio, con i vestiti stropicciati e le scarpe slacciate. 

Mi guarda dritto negli occhi, tornando improvvisamente serio. «Ascolta Marlene, dobbiamo prepararci per...» il rumore proveniente dalla porta lo interrompe. La dottoressa Kirsten entra nella stanza e ci rivolge uno sguardo dolce. «Ho interrotto qualcosa?»
James mi guarda, sospirando. Scuote la testa. «No.» Si alza e raccoglie il suo zaino, poi si dirige verso la porta. «Devo tornare a lezione ora, passo a prenderti dopo, così ti riaccompagno a casa.» Mi rivolge un breve cenno di saluto, poi si volta per salutare la dottoressa, passandole accanto. 

E mi sembra di vederla mentre allunga un bigliettino a James, senza che lui si fermi.

Poi lui esce dalla stanza, facendo finta di niente.

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