Capitolo 17

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Il giorno seguente James non è a scuola. Lo so perchè me lo ha detto Katrina stamattina appena sono arrivata, la sua voce mi è apparsa ovattata mentre mi parlava. Dovevo avere davvero un brutto aspetto perchè mi ha chiesto se mi era tornata la febbre. Le ho detto semplicemente di non essere riuscita a dormire stanotte, a causa del caldo. Lei non ci ha creduto, ma non ha fatto altre domande. 

Non sento più niente, avrei voluto risponderle. 
Ma non posso.

Ora stiamo pranzando, l'aria della mensa mi sta soffocando. Non so per quanto tempo riuscirò a mandare avanti questa farsa, ogni minuto che passa sono sempre più vicina al crollo completo. 
Katrina mi parla, cerca di distrarmi, sembra davvero preoccupata per me. 

«Sai cosa è successo stamattina, poco prima di entrare a scuola?» mi chiede con voce maliziosa.

Scuoto la testa, non mi importa. Non voglio più sentire parlare di nessuno di loro. «Ho visto Maya e Drew litigare davanti all'entrata. Erano rimasti solo loro perchè era suonata la campanella, però io sono arrivata tardi. Maya stava praticamente per piangere e Drew sembrava sull'orlo di una crisi isterica. Stavo per andarmene perchè sai, questi teatrini li vediamo ogni giorno, quando ho sentito il rumore di uno schiaffo.» Mi guarda con occhi spalancati, tentando di farmi interessare. «Quando mi sono girata di nuovo lui si teneva la mano sulla guancia e Maya era scomparsa. Sembrava quasi la scena di un film, è stato tutto molto drammatico.» 

All'improvviso torno con la mente alla scena di ieri sera, lo schiaffo dato a James. Il bacio. 
La testa inizia a girarmi vorticosamente, la vista si appanna.

Mi alzo di scatto dalla sedia. «Non mi sento molto bene, credo di dover tornare a casa.» raccolgo le mie cose e inizio ad allontanarmi dal tavolo dove siamo sedute.
Sento qualcuno afferrarmi il braccio, è Katrina. «Se hai bisogno di qualcuno con cui parlare...io ci sono Marl. D'accordo?»
La guardo negli occhi, cerco di memorizzare i tratti del suo viso. I lunghi capelli scuri, la pelle chiara, le labbra carnose. Ancora tre giorni e non la rivedrò mai più. 

Annuisco, le stringo la mano. Sto tremando come una foglia, mi sento incredibilmente impotente. 
«Ci vediamo presto, va bene? Cerca di stare meglio, qualunque cosa tu abbia.» mi sorride ed è un sorriso caldo, sincero. Nei suoi occhi noto però qualcosa di strano, un'ombra insolita ma già vista.
Poi ricordo. Il giorno in cui mi ha accompagnata in infermeria. 

Cerco di interpretare il suo sguardo, questa strana luce, provo a pensare a cosa significhi. Poi lo riconosco. Perchè l'ho già visto altre volte. 

In James. In Victor. In Ivy e William. 

Sospetto.

La saluto un'ultima volta e mi giro verso l'uscita, diretta verso la segreteria. Durante il tragitto penso a cosa questo possa significare, ma non riesco a trovare nessuna spiegazione. Appena arrivata cerco la vice Preside per farmi firmare il permesso d'uscita, non devo nemmeno fingere di stare male. 

Una volta fuori mi siedo sui gradini d'entrata, un leggero vento mi scompiglia i capelli. L'aria è umida e appiccicosa, riesce solo a farmi sentire peggio. 
Dovrei incamminarmi verso casa, mettermi a letto e riposare, calmarmi. Dovrei preparare una borsa o uno zaino per la fuga. Dovrei cercare di non dare di matto ogni volta che ci penso. 

Invece prendo il telefono dalla tasca e compongo il suo numero. 
Lui mi risponde dopo appena due squilli. «Marlene? Che succede?»  
«Sono a scuola. Vieni a prendermi, ti prego.» la mia voce è disperata, tutto in me dice che sto per crollare.

«Sto arrivando, non ti muovere.»  
James attacca il telefono, e io mi ritrovo ad aspettarlo nel parcheggio deserto.

Cosa sto facendo?

-- ♤♡♢♧ --

Rimango sola per circa quindici minuti, poi vedo un'auto rossa comparire sulla strada alla mia sinistra. Parcheggia in fretta e furia in un posto riservato ai professori, poi le portiere si spalancano e vedo James corrermi incontro con una velocità impressionante.

«Ti prego dimmi che stai bene.» si inginocchia di fronte a me, prendendomi il viso tra le mani. Odora di terra e sudore. Noto che ha i polpastrelli delle mani sporche di qualcosa di nero, sembra ferro.

Scuoto la testa violentemente, mi sembra di avere cinque anni. Ricomincio a piangere.
«Okay.» mi osserva bene da vicino, come se si aspettasse di trovarmi ferita o sanguinante. 

Quando si accorge che non ho niente di rotto e che non sto per morire lo vedo rilassarsi leggermente, la tensione nelle sue spalle si allenta. «Non hai mica dato di matto davanti a tutta la scuola o una cosa del genere, vero?» sento un leggero sorriso formarsi nella sua voce, la pressione delle sue mani sul mio viso si allenta leggermente.

«Ti odio.» provo a mantenere un tono di voce quanto più arrabbiato possibile, ma fallisco miseramente. 

Vedo di sfuggita un angolo della sua bocca sollevarsi appena, mi sento leggermente offesa.

«Si, lo immaginavo.» sposta le mani dal mio viso e si lascia cadere all'indietro, sedendosi a poca distanza da me. «Devi smetterla di farmi prendere questi spaventi, Marlene. Credo di aver infranto una ventina di limiti di velocità e di essere passato almeno cinque volte con il semaforo rosso.» 

Mi sento più vuota ora, senza le sue mani rassicuranti. Nello stesso tempo però sento il nervosismo allontanarsi e lasciare spazio solamente ad un'immensa tristezza. Con James qui vicino sembra andare meglio, ma solo un po'.

Sento il suono della campanella perforare l'aria tranquilla dove ci troviamo e un brusio di voci e passi farsi sempre più forte.
Lo guardo negli occhi. «Portami via di qui per favore. Non sopporto più di vedere le loro facce e sapere di avere così poco tempo ancora con loro.»

James annuisce, improvvisamente di nuovo serio. Si alza, spolverandosi i pantaloni scuri con una mano. L'altra me la tende per aiutarmi ad alzarmi, guardando in direzione della porta. Tra pochi secondi ci troveremo sommersi da studenti accaldati e rumorosi. Mi alzo velocemente, raccolgo lo zaino e mi incammino verso l'auto di James, proprio mentre dietro di noi si spalancano le porte e un'onda di ragazzi di ogni Classe si propaga per tutto il cortile. 
Nessuno bada a noi, sono troppo impegnati con le loro faccende. Compiti, amicizie, professori.

Quanto vorrei poter avere anche io solo queste preoccupazioni. 

James mi apre lo sportello della macchina e mi invita ad entrare, vedo che con lo sguardo vaga per il cortile come a cercare qualcuno. Torna a guardare me. «Andiamo.» la sua voce è bassa e pensierosa. 

Proprio mentre inserisce le chiavi nel quadro e accende la macchina, un piccolo trillo squillante lo ferma sul posto. Prende il telefono dalla tasca dei suoi pantaloni e aggrotta le sopracciglia mentre legge il messaggio che gli è appena arrivato. Vedo la sua espressione farsi improvvisamente tesa e preoccupata. 

Senza dire una parola mette in moto la macchina ed esce in tutta velocità dal parcheggio, la bocca contorta in un ghigno preoccupato. 

«Che succede?» gli chiedo con voce tremante, improvvisamente spaventata da questo suo cambio di comportamento.

Non risponde alla mia domanda, prende invece nuovamente il telefono per porgermelo. Sulla schermata vedo i messaggi in arrivo. Ce n'è solamente uno, da un numero sconosciuto. Clicco sull'icona per aprirlo. E le tre parole che leggo sono tra le più spaventose che io potessi immaginare.

"Siete in pericolo."

Blocco il telefono, terrorizzata. Che cosa significa?
Mi volto verso James. «Cosa facciamo ora?» sento la gola secca, le mani tremanti. Questa, amici miei, è la realtà.

«Ora scappiamo.» 

E posso giurare di sentire, per la prima volta, il panico nella sua voce.

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