Capitolo 6

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C'è da dire che non sono mai stata una persona riflessiva.

O pacata.

O qualunque altro aggettivo del genere.

Per questo non mi sorprendo quando, appena uscita di casa dopo la colazione, mi ritrovo a camminare a passo spedito verso casa Vickinsky. O meglio, ex casa Vickinsky.

Ieri sera sono riuscita a convincermi che il messaggio in segreteria in realtà faceva semplicemente parte di uno stupido scherzo architettato dall'altrettanto stupido ragazzo di mia sorella.

Arrivo furiosa davanti alla porta dei vicini e suono il campanello con troppa forza, il telefono stretto nella mano destra.

Fortuna vuole che ad aprirmi sia proprio la persona che sto cercando, James.

Mi guarda, l'espressione evidentemente confusa. «Marlene?» Mi fissa qualche secondo, poi continua. «Che ci fai qui? È presto.»

Non ragiono nemmeno prima di parlare, e le parole escono a fiumi. La rabbia e la confusione che provo sono fortissime.
«Ho trovato un messaggio di mia sorella in segreteria. La voce era quella del suo fidanzato e mi diceva di "fidarmi del ragazzo con la cicatrice" e guarda un po'...proprio ieri ho conosciuto te. Mi servono delle spiegazioni perché ho questa strana abitudine di saltare a conclusioni affrettate e di agitarmi per niente e se non mi si rassicura subito va a finire che faccio cose avventate di cui sicuramente finisco per pentirmi.»

«Intendi come piombare a casa mia alle 7 di mattina urlandomi cose senza senso?» La mia scenata non lo ha minimamente scosso.

Mi sento leggermente offesa. «Non ho urlato.» dico piano tra me e me.

Lui continua a fissarmi. «Cosa vuoi che ti dica?»

Quando parlo sento l'urgenza nella mia voce. «Che non hai niente a che fare con questa storia e che mi sono immaginata tutto.»

È teso, nervoso. Solo leggermente.
Mi sorprendo della facilità con la quale riesco ad interpretare i sentimenti di questo ragazzo.
«Non posso.» Mi dice.

Si guarda dietro alle spalle.
«Forse è meglio se entri.» si sposta di lato, il mio sguardo vaga per la casa ormai familiare dietro di lui.
Nessuna traccia ad indicare il recente trasloco, come se lui e la sua famiglia si fossero materializzati lì dal nulla, con i mobili e il resto già sistemati.

Inizio ad agitarmi ancora di più. «James, che sta succedendo?»

Ora la sua voce è impaziente. «Entra in casa, Marlene.»

Il suo tono non ammette repliche, ma sono ancora incerta.
«Non ti conosco affatto, non so nemmeno a che Classe appartieni, cosa...cosa dovrei fare? Perché mia sorella mi ha inviato quel messaggio? Dove sono i tuoi genitori? Sei troppo piccolo per vivere da solo.» mi accorgo di sembrare una pazza, con tutte queste domande confuse e la mia voce delirante.

Prima che lui abbia modo di rispondermi però sentiamo un rumore in vicinanza. Mi giro e vedo un'auto percorrere il vialetto, raggiungendoci. Smontano un uomo e una donna, all'incirca dell'età dei miei genitori. Appena si accorgono della nostra presenza sorridono e si avvicinano, la porta di casa nel frattempo è stata richiusa.

L'uomo prende la parola e mi tende la mano. È alto, ha la carnagione e gli occhi scuri, di una bellezza indescrivibile, capisco subito qual è la sua Classe.
«Ciao cara, tu devi essere una compagna di scuola di James. Mi chiamo Robert, Bello, e questa è mia moglie Jocelyenne, Intelligente.» parla con un forte accento del South, ma la sua voce è dolce e calma, come ammaliante. Mi dimentico all'istante perché mi trovo qui.

Scuoto leggermente la testa per riprendermi. «Si, piacere di conoscervi. Mi chiamo Marlene Carstairs.» stringo loro la mano e sorrido a mia volta.
Non so perché ma la loro presenza qui mi ha notevolmente calmata. Ora mi sento decisamente meglio.

Il padre di James continua. «Oh, Marlene, conosco tuo padre. Lavoriamo all'agenzia insieme, è veramente un ottimo modello.» Jocelynne lo interrompe «E tua sorella minore è davvero un genio, sono la sua nuova insegnante di matematica e scienze.»
Mi rivolge un sorriso composto, gentile. «Siamo contenti che James sia già riuscito a farsi degli amici qui. Pensavamo ci avrebbe messo un po' ad ambientarsi, ma siamo felici di esserci sbagliati.»

La normalità della situazione mi tranquillizza definitivamente. Non ho il coraggio di dire loro che io e loro figlio ci conosciamo appena, anche se il nostro rapporto ha già preso una piega strana. Il messaggio in segreteria deve essere stato davvero qualche stupido scherzo di William e la cicatrice di James può essere davvero stata solo una coincidenza.

Come al solito mi sono fatta prendere dal panico e sono saltata a conclusioni affrettate, non c'è niente di strano in questa normalissima famiglia e ora che ho conosciuto Robert e sua moglie ne sono certa.

Improvvisamente mi viene voglia di tornare a casa e mettermi a letto, come se tutto lo stress di quest'ultima ora si fosse improvvisamente tramutato in stanchezza.

Quando parlo la mia voce è lenta ed esausta. «È stato davvero un piacere conoscervi, ma si è fatto tardi e dovrei incamminarmi a scuola prima di arrivare in ritardo.»

Loro mi salutano a loro volta e rientrano in casa, non prima però di aver avvisato James che in effetti si stava facendo tardi per la scuola, e lui doveva ancora prepararsi.

James. Ero quasi riuscita a dimenticarmi tutta la faccenda del messaggio.

Ci fissiamo per qualche secondo negli occhi. Poi lui si decide a parlare. «Dimentica tutto, è stato solo un gigantesco equivoco.»

E io decido di credergli.

Sono davvero stanca ora, e la giornata non è ancora praticamente iniziata. «Quindi...suppongo che ci vedremo a scuola, giusto?»
Lui mi accenna di nuovo quel sorriso pendente da un lato. Sembra molto più tranquillo ora. Sento una strana sensazione allo stomaco, appena accennata, ma sono troppo stanca per darci peso.

Lo saluto. «Giusto. A domani allora.»

In lontananza sento dei cani abbaiare, è decisamente tardi. Un bambino piange in qualche casa qui vicino, un raggio di sole colpisce in viso il ragazzo che mi trovo d'avanti. Noto che ha delle leggere lentiggini appena sotto le lenti degli occhiali, e una minuscola voglia al lato della bocca.

«Ci vediamo James.»

Lui sospira, mi guarda intensamente negli occhi, come se volesse comunicarmi qualcosa senza parlare.

«Ci vediamo Marlene.»

Qualcosa in quello sguardo mi lascia senza parole, trattengo il respiro.

E in quel momento capisco.

Non posso credere che sia tutta una coincidenza.

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