Capitolo 27

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É un villaggio. 

Un villaggio che sembra uscito direttamente da un libro di storia perchè non ricordo di averne mai visto uno. Non nel Nuovo Mondo. 
Le persone sono vestite in maniera comoda e pratica. Indossano maglie, pantaloni e scarpe dei più svariati colori, tutti ricoperti di terra e sabbia rossa, molti sono strappati o scuciti.
Ci sono alberi ovunque che offrono un piacevole riparo dal caldo asfissiante del deserto e in lontananza sento scorrere dell'acqua, forse ci troviamo vicini ad un fiume.
Le persone ridono, parlano, scherzano tra loro e sembrano tutte indaffarate, ognuna di loro con un compito preciso. Sono almeno cinquecento, forse di più, divisi tra donne, uomini, bambini e anziani. 
Mai avrei immaginato che la Resistenza fosse formata da così tante persone.

Mi volto verso James, senza parole. Lui mi guarda, sembra orgoglioso di sé, quasi avesse costruito lui stesso questo posto. Provo l'inspiegabile istinto di abbracciarlo, e non capisco perchè.
Da quando siamo arrivati nessuno sembra essersi accorto della nostra presenza, non un comitato di benvenuto, niente di niente. Non che mi aspettassi il contrario. 
All'improvviso però una donna seduta ad un tavolo poco più avanti di noi si volta a guardarci. Si trova sotto uno dei tendoni più grandi, circondata da libri e fogli di carta in quello che pare un ufficio improvvisato. Altre tre persone sono in sua compagnia e sembrano nel bel mezzo di un'accesa discussione. 

La donna interrompe immediatamente la conversazione e si alza dalla sedia, incamminandosi verso di noi.

In pochi secondi ci raggiunge, un sorriso smagliante sulle labbra ad accompagnarla. Noto immediatamente l'enorme cicatrice bianca che le solca il viso dall'occhio destro fino al mento, oltrepassando naso e labbra. Distolgo velocemente lo sguardo e mi concentro su James, che abbraccia la donna con grande trasporto. Sembrano conoscersi molto bene.

Interrotto l'abbraccio la donna si volta verso di me. «Tu devi essere Marlene. Finalmente ci conosciamo.»

Annuisco e le stringo la mano, mentre mi prendo qualche secondo per osservarla meglio.
È una bella donna, all'incirca dell'età di mia madre. I capelli grigi le arrivano appena sopra le spalle, perfettamente lisci. Gli occhi, così come la pelle, sono chiari e limpidi, alcune rughe le solcano la fronte. Indossa abiti comuni, vecchi e scoordinati, tenuti però in perfetto stato.
Mi sorride dolcemente. «Il mio nome è Cressida, mi occupo di coordinare le missioni di reclutamento qui alla Base. Sono stata io a mandare James a recuperarti, spero se la sia cavata bene.»
Rivolge una veloce occhiata al ragazzo che mi affianca, senza smettere un secondo di sorridere. Sembra così felice, mi domando se sia merito del nostro arrivo.
Riprende subito a parlare. «Ti starai chiedendo moltissime cose ora immagino. Sarò lieta di rispondere ad ogni tua domanda appena tu e James vi sarete ripresi dalla fatica del viaggio. Deve essere stata dura per te, Marlene. Sei stata davvero molto coraggiosa.» mi sento lusingata dalle sue parole, abbasso la testa imbarazzata. 

James scoppia a ridere all'improvviso, mentre mi circonda le spalle con un braccio. Cressida sembra seguire attentamente ogni suo minimo movimento.

Mi tira un leggero colpetto sulla testa, senza smettere di ridere. «Dovresti vedere cosa ha combinato lì fuori, mamma. Mi sono letteralmente preso una pallottola nel braccio per salvare il suo bel culetto.»

Mamma?

Quindi è questa la madre di James, la sua famiglia. Ora capisco per quale motivo la donna era così felice di vederci, ha finalmente potuto riabbracciare suo figlio dopo settimane di lontananza. Mi chiedo come ci si possa sentire a sapere che una persona così importante per te si trova a migliaia di chilometri di distanza a rischiare la vita in una missione estremamente pericolosa. Immagino sia normale per le famiglie della Resistenza, ma non posso esserne sicura.
Sono ancora senza parole quando Cressida inizia a camminare, diretta verso un gruppo di piccole tende bianche alla nostra sinistra. A quanto pare in questo posto non c'è tempo per le distrazioni. «Mi racconterete tutti i dettagli più tardi, per ora andiamo. Vi accompagno alle vostre tende, così potrete riprendere le forze e riposare finalmente in un letto vero.» 
Sono così felice della prospettiva di potermi finalmente distendere su di un materasso che quasi mi metto a piangere davanti a tutti. 

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