Tranquillo eroe.

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Le mani sul lavandino e lo sguardo fisso nello specchio.

Ero in quella posizione da una decina di minuti, alla ricerca disperata di una qualche scusa per sabotare la festa, per non uscire dalla stanza, per scappare via... Lontano da qui. Lontano dal mondo, se possibile.

Dei leggeri rossori dalla provenienza incerta (imbarazzo o rabbia?) coloravano le mie guance, solitamente pallide e tendenti al bianco latte. Ewh, provavo una certa vergogna per l'esplosione di emozioni contrastanti che stavano ballando dentro lo stomaco. Sì, le sentivo tutte lì e no, non sembravano delle farfalle che svolazzano qua e là, erano più simili a due squadre di rugby che si contendono il primo posto di campionato.

Odiavo pensarlo, ma avevo la disperata voglia di vederlo.
Eppure qualcosa non tornava nei miei conti.

Mio fratello e Nathan: era altamente improbabile che fossero diventati amici.

«Perché sta venendo qui?», domandai al mio riflesso esasperato.

E fu allora che quel ricordo balenò nella mente, portando avanti a sé quel senso familiare di nausea e il dolore provocato da fitte che sordamente mi riempivano il petto.

«E questo cos'è?», pensai.

Mi alzai dal letto ancora sfatto e curiosa andai verso il suo armadio socchiuso.

Non dovrei frugare tra le sue cose, ma...

Persi un battito. Fu un attimo. Un momento e realizzai.

Sentii spezzarmi dentro in tanti minuscoli frammenti.

Non riuscii a pensare più a nulla, avevo solo voglia di scappare via. Mancava l'aria, non avevo più ossigeno. Racimolai i miei vestiti sparsi nella stanza, indossai in fretta e furia gonna e maglietta e andai verso la porta.

Delusione? Paura? Sofferenza? Cosa provavo?

Misi una mano sul mio petto e mi strinsi forte.

«Dove stai andando?», mi domandò sorpreso Nath.

Ero accanto alla porta della sua stanza con il resto dei vestiti in mano. Non avevo idea di come fosse ridotto il mio viso e cosa trapelasse dal mio sguardo. In una manciata di secondi decisi di voltarmi verso di lui cercando di incrociare i suoi occhi. Maledetti. Come avevano potuto ingannarmi in quel modo?

Piccola El. Piccola illusa El.

Aveva i capelli bagnati e le goccioline d'acqua correvano sul suo viso fino a cadere giù. Giù sul suo collo, sulle sue braccia, sul suo corpo... Alcune di loro raggiunsero il pavimento, inumidendolo.

Giù, giù, giù.

Caddi giù anche io, ma lui non lo vide.

Mantenendo fissi i miei occhi nei suoi aprii la porta.

«Mi fai schifo», mormorai con un tono di voce irriconoscibile e uscii.

Disgusto. Quel che provavo era solo disgusto.


Dalla mia stanza sentii una canzone rimbombare nelle casse del salotto. Risate, chiacchiere, schiamazzi e il campanello di casa che suonava incessantemente.

Ma cosa diavolo sta succedendo?

L'idea di rimanere chiusa in camera diventò sempre più allettante.

Non dovevano venire solo i quattro soliti amici di Joe?

Per l'occasione decisi di indossare un vestitino nero semplice che arrivava poco sopra le ginocchia con le Converse bianche.

Quando passa l'InvernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora