Stupida insicura.

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Uno sbadiglio, la musica bassa nelle orecchie, le gambe poggiate su quelle della mia amica, compagna di pullman d'andata e di ritorno. Un sedile scomodo e una strada percorsa a grande velocità che ci portava a casa, forse troppo in fretta.
Una consapevolezza nuova, una scelta, un cuore ricucito che batteva forte. 

Scelsi la playlist appropriata su Spotify e guardai distratta le fotografie della sera precedente per scegliere uno sfondo nuovo.

Oh, questa è bella veramente.

Io e Nath, due espressioni da scemi, quattro occhi che brillavano in un selfie mosso e dai colori scuri.

"Imposta come sfondo", ok.

Spensi il cellulare e chiusi gli occhi sorridendo.

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«Dai, facciamoci una foto».
Alzò gli occhi al cielo, come suo solito. «Che palle che sei».
«Su, non rompere! Non ci facciamo un selfie da una vita».
Sbuffò e fissandomi tirò fuori il cellulare.

Mi mise un braccio sopra le spalle tirandomi forte a lui.

Per lo scatto decise di fare una espressione scocciata rivolta verso di me che nel frattempo ero impegnata a tenere gli occhi storti e il naso arricciato.

Scoppiai a ridere guardando soddisfatta la foto. «Inviamela subito, ti prego».
Sentii il cellulare vibrare nelle tasche. «Grazie», esclamai sorridente.
Mi lanciò uno sguardo luminoso.
«Basta poco per vederti felice come una bambina».
«Lo sai che amo i ricordi e le fotografie».
«Ed io amo te», sussurrò tappandomi subito dopo la bocca con la mano.

Sgranai gli occhi.

Ha detto che mi ama? Cosa?

Cercai di parlare ma Nathan lo impedì e uscirono fuori solo versi lamentosi incomprensibili.

«Stai zitta, non devi rispondere, non devi dire niente. Mi è uscito, è scappato così e non dovevo... Non volevo!».

Il suo viso perse ogni colore e il suo sguardo lanciò segnali di allarme.

Quindi mi ama o no?

Aggrottai le sopracciglia confusa dalla sua reazione.

Roteò gli occhi al cielo. «Stupida insicura».

Lo guardai male, era il mio unico modo per mandarlo a quel paese.

«Ora toglierò la mano, ma ti prego non commentare e non dire niente, facciamo finta che ti ho appena inviato la foto, ok?».

Annuii divertita e di risposta Nath liberò la mia bocca.

Ridacchiai sonoramente e gli presi la mano cogliendolo di sorpresa.
«Lo sai che amo i ricordi e le fotografie», dissi di nuovo prendendolo in giro.
Mi lanciò un'occhiataccia. «Ed io amo la tua stupidità».
«Quindi mi ami»
«Elena».
«Nathan».
«È ora di raggiungere gli altri, ci aspettano al Millenium Bridge e non è molto vicino da dove siamo ora».

Aveva cambiato il discorso, scossi la testa sorridendo. «Nath sarà un casino, lo sai?».

«Dai, saranno pochi chilometri, ti prenderò in braccio», rispose ridendo.

Scacciai un sassolino con la punta dello stivale e sbuffai. «Stupido, sai cosa intendevo».

Una traccia di nervosismo balenò nei suoi occhi, ma il modo con cui fece sparire del tutto lo spazio rimasto tra i nostri corpi mi fece dimenticare il freddo pungente di quella notte invernale. Appoggiò le mani sui fianchi ed io avvolsi le braccia intorno al suo collo, tirandolo ancora più vicino a me.

«Sarà un casino e allora?», sussurrò serio, perdendosi nei miei occhi.

Arrivò dentro, insieme alla paura a cui decisi di lasciare la parola.

«Non ci siamo riusciti la prima volta, perché tentare una seconda?», domandai a voce bassa.

«Perché una parte di me non si è mai arresa».

Abbassai lo sguardo, non ne ero convinta.

«Perché quando hai trovato quella videocamera non sei veramente scappata, hai solo preso tempo. Perché sei rimasta quando hai conosciuto ogni parte di me, anche quelle di cui non sono mai andato fiero, ad ogni mostro ti sei presentata e ad ogni ricordo che mi schiacciava hai usato le tue braccia per rimettermi in piedi. Perché quando volevo ignorare il problema, tu avevi già preso la pala per scavare e cadere giù con me. La tua intenzione non era scoprire la verità, ma farmi svegliare da quell'incubo in cui avevo chiuso tutta la mia vita. Perché sei splendida piccola El e mi fai ridere, ridere così tanto e mi fai vivere...».

Mi alzò il mento dolcemente, sentivo le mie guance pizzicare ed i miei occhi brillare. 

Inspirò profondamente. «Mi fai vivere come ho sempre voluto, con te... Perché ti amo, l'ho detto di nuovo sei contenta?».

Ridacchiai accarezzandogli il collo.

«Mmmmmh non ho sentito bene».

«Ti amo», ed il mio cuore scalpitò, ballò, impazzì finché non si arrestò quando decisi di baciarlo senza esitazione, senza dubbi, senza freni.

Lo baciai con crescente impazienza e lui ricambiò come se avesse bisogno di respirare e trovasse ossigeno solo sulle mie labbra, nella mia bocca.

Scoppiammo a ridere e mi ritrovai a baciare anche il suo sorriso, i suoi denti. Prendevo tutto ciò che potevo e Nath faceva lo stesso. In ogni bacio - lento, veloce, senza tregua - rubava le paure, i pensieri contorti, i "se", i "ma", gli "allora", i sensi di colpa, le lacrime.

Poi si staccò piano. «Per quanto vorrei rimanere qui per il resto dei miei giorni dobbiamo andare. Lo so che vuoi salutare la città con i tuoi amici, glielo avevi promesso». Avvicinò il viso e le mie labbra si modellarono nuovamente sulle sue. Annuii felice.

Complici silenziosi di quanto accaduto, raggiungemmo gli altri vicino al fiume e, seduti alcuni per terra e altri sulle panchine, ci fermammo a chiacchierare fino all'alba trasgredendo le regole dei professori e lottando contro il sonno e il freddo.

Durante la nottata cercai Nath con lo sguardo più e più volte e c'era poco da aggiungere, da pensare, da incasinare.

Eravamo lì, pieni di sbagli e d'inversioni di rotta. Lì... Più grandi e giusti.

«Ultima foto ragazzi, questa con l'alba gliela facciamo vedere ai fidanzatini che sono rimasti in camera», urlò Luke.

Liz ridacchiò al mio fianco scuotendo la testa. «Abbassa la voce però che dormono tutti».

«Ma chi mi sente qui?».

Ash ci mise un paio di minuti per sistemare bene il cellulare sopra la panchina, mentre noi altri, buttati a terra sul marciapiede, eravamo già posizionati di fronte alla fotocamera.

«Dai ragazzi ho messo l'autoscatto, 30 secondi» e corse verso di noi buttandosi addosso a Luke e Ethan, accanto a me.

«Ele se lui ti rende felice, lo sono anche io. Davvero», sussurrò Eth al mio orecchio.
Mi voltai verso di lui. «Cosa?».
«Ti voglio bene e te ne vorrò sempre, ora guarda verso il cellulare», rispose.
«Anche io». Mi afferrò la mano, stringendola forte.

«Pronti?», Ash recuperò la nostra attenzione. «Dite: ciao Londra».

E così, sebbene Liz ci raccomandasse ancora di far piano, prendemmo fiato e al momento dello scatto urlammo insieme al cielo: «Ciao Londra!».

Ciao Londra, è stato un piacere.

Quando passa l'InvernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora