Non ti arrenderai mai.

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Eth era lì, poggiato al cancello del nostro istituto, ad aspettarmi. Da lontano notai l'ombra di un sorriso aleggiare sulla sua bocca adorabile. Trattenni il fiato.

«Ehi», sussurrai.

«Ciao», mi fissò divertito. «Hai avvertito Joe che torni a piedi?».

Sorrisi. «In realtà è da più di un mese che non vado in macchina con lui, tranne in casi rari».

Piegò la testa di lato sorpreso. «Wow! Cosa ti è successo? Facevi un'immensa fatica solo ad alzarti dal letto la mattina!».

Gli diedi una gomitata leggera. «Da quando mi avete incasinato la testa, ho capito che camminare aiuta a scaricare la tensione».

Chiuse gli occhi. «Touché».

Camminavamo lenti e incredibilmente vicini, le nostre mani spesso si scontravano, sfiorandosi appena.

«Nella tua lettera ci sono delle domande a cui devo rispondere, iniziamo da quelle?», domandò scrutandomi con attenzione.

Sorrideva ancora, ma i suoi occhi tradivano apprensione.

Annuii silenziosa, mantenendo lo sguardo fisso nel suo.

Si grattò la fronte e subito dopo mi prese la mano, stringendola nella sua.

«Visto che da qui a casa tua non ho molto tempo a disposizione, inizierò dalle domande che meritano una risposta più sbrigativa e semplice», cercò un tacito consenso nei miei occhi e continuò. «Tra me e Sarah non c'è assolutamente nulla di quel che pensi, a parte una semplice amicizia che in questo mese si è parecchio rafforzata».

Un irrazionale ma prevedibile moto di gelosia mi invase tanto da irrigidirmi e da farmi assumere uno sguardo truce.

«No, non ha mai preso il tuo posto, stupida», rispose sornione alla mia reazione. «Per fartela breve Sarah credeva di essere attratta da me, in realtà era solo in confusione e con un po' di pazienza e di tempo le ho fatto capire dove veramente era il suo cuore. Per fare questo ho dovuto confessarle la verità. Lei è una bellissima ragazza, ma nella mia testa purtroppo ce ne è un'altra da quattro anni».

Imbarazzata e sorpresa dalla piega che stava assumendo la conversazione, abbassai il viso. Lo sentii ridere, si divertiva a farmi agitare. Mi prese il mento e mi obbligò a guardarlo negli occhi. Persi di nuovo il respiro.

Vicini, troppo vicini.

«Stai tranquilla, non ti bacerò finché non sarai tu a chiederlo», disse.

Che cosa? Come? Ma ti sei impazzito?

Lo fulminai con lo sguardo e lasciai la sua mano. «Continua», lo incitai.

«Siamo quasi arrivati a casa tua».

«Lo so. In cinque minuti qualcosa saprai spiegarmi».

Sospirò, alzò gli occhi verso il cielo e riprese. «Io e Nathan siamo cresciuti insieme, ogni ricordo della mia infanzia è legato a lui. Il primo tiro al pallone, la prima sbucciatura al ginocchio, il primo giro in bicicletta... In qualsiasi momento lui c'era. Eravamo come cugini, anzi come fratelli».

Calò il silenzio. Ethan assunse una espressione corrucciata, triste. Gli accarezzai il braccio per tranquillizzarlo.

Quella storia ha ancora il potere di ferire, era evidente.

«C'è poco altro da aggiungere in realtà. Siamo stati vittime dei casini combinati dai nostri genitori», mormorò passandosi una mano tra i capelli.

«Ok, ma allora perché non vi parlate più?», domandai ingenuamente.

Serrò la mascella e voltò lo sguardo nel vuoto. «Non sono affari che ti riguardano Ele. Non so come sei entrata così tanto a farne parte, ma erano anni che tutto questo era sepolto sotto chilometri e chilometri di terra e non ha alcun senso tirarlo fuori! Io e Nathan ormai non abbiamo più nulla da dirci o da condividere», sbottò infastidito.

Mi fermai a pochissimi passi da casa, riuscivo a vedere la macchina di mio fratello Joe fuori dal garage. Alzai di due toni la voce, in preda ad un attacco di isteria. «Mi riguarda eccome! Siete i ragazzi della mia vita ed è un sentimento che va ben oltre il mio controllo, non ti è chiaro? Ti assicuro mio caro Ethan che non faceva di certo parte dei miei sogni essere così tanto immischiata in questa storia del cavolo, ma ormai ci sto dentro e non ho assolutamente intenzione di uscirne fuori».

Si prese la testa tra le mani. «Non ti arrenderai mai, vero?», domandò esasperato.

Annuii. «Mi conosci bene».

Rimanemmo in silenzio per pochi secondi finché le labbra di Ethan si piegarono in un mezzo sorriso.

«Devo ritornare a casa», dissi.

Si morse un labbro, lanciandomi un'occhiataccia.

«Tranquillo, non è finita qui. Abbiamo ancora così tante cose da dirci».

«Che fortuna», rispose divertito.

«Ci vediamo stasera a casa mia? Potresti venire intorno alle nove», proseguii approfittando di quella ritrovata serenità.

«Mmm», si grattò il mento ironico per far finta di pensarci sopra. «Dovrei controllare la mia agenda degli impegni».

«Smettila di fare il prezioso tesoro».

«Cosa fai provochi?».

Lo guardai innocentemente. «No, perché?».

«Va bene, a stasera tesoro», rispose divertito.

Alzai la mano per salutarlo a debita distanza e mi voltai, andando finalmente verso casa. Mi chiusi la porta alle spalle e Charlie mi venne incontro, facendomi le feste.

Ancora con la giacca addosso mi sdraiai stanca sul pavimento e coccolai il mio cagnolone.

«In che guaio mi sto cacciando Charlie? Stasera Nathan ed Ethan verranno a casa mia, ti rendi conto?».

Quando passa l'InvernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora