Potete anche morire d'invidia.

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Sotto la tettoia sporgente della porta d'ingresso trovai una panchina libera che occupai prima dell'arrivo in massa degli altri studenti. Soddisfatta di aver trovato un riparo dalla pioggia che era in procinto di scendere a secchiate, attesi paziente l'arrivo del mio appuntamento.

Quando delle ragazze, impegnate poco prima a sghignazzare tra di loro, si voltarono rapidamente sospirando e ridacchiando complici, capii che uno dei due aveva fatto da poco il suo ingresso in cortile. Avrei voluto gridar loro di guardare altrove e di smetterla di calpestare in quel modo la dignità femminile, finché non convenni che forse la gelosia aveva iniziato ad urlarmi in testa quei pensieri. Forse.

Mi girai lentamente e dovetti ammettere a malincuore che la mia reazione fu pressoché la stessa. Rimasi infatti a bocca aperta e immobile ad osservare quello spettacolo.

Nathan e Ethan ridevano parlando tra di loro. Non esageravo nell'affermare che sembravano usciti da un servizio fotografico di moda.

Erano da copertina, cavoli. Che avevo fatto per meritarmi tutto questo? Povere ragazze, guardare ma non toccare.

E poi quelle risate...
Un sorriso grande si aprì sul mio viso, alzai la mano per attirare la loro attenzione. Notandomi, avanzarono nella mia direzione con lunghe falcate.
Nathan rimase in piedi, poggiandosi sulla colonna di fronte alla panchina. Ethan invece si sedette accanto a me. Non capivo il perché, ma il mio cuore sembrava essere pronto ad esplodere.

Distrattamente e con falsa noncuranza rivolsi lo sguardo al gruppo di ochette, facendo loro un occhiolino provocatorio.

Ecco, adesso potete anche morire d'invidia.

«Dalle tue mille espressioni al secondo capisco che ti abbiamo sorpresa», commentò divertito Ethan ignaro della conversazione silenziosa che avevo avuto con le loro fan.

Misi le gambe sulla panca, incrociandole.

«Dal rischio di omicidio che incorreva tutte le volte che vi incontravate al ridere insieme mano nella mano ne passa eh», risposi, alzando le spalle.

«Mano nella mano», Nathan fece una smorfia di disgusto. «Sai che i miei gusti sono diversi», continuò fissandomi con una tale insistenza da costringermi ad abbassare il capo verso le mani. Le iniziai a torturare facendo finta che fossero il suo collo.

Maledetto.

«Piccola cosa c'è? Ti imbarazzo?», esclamò ridacchiando.

Quel suo modo di fare mi dava sui nervi.
Sbuffai e rivolsi la mia completa attenzione su Ethan, ignorando Mr. Socomemettertiadisagio.

«Battute squallide a parte», intervenì Eth lanciandogli un'occhiataccia. «Ti dobbiamo rendere partecipe di alcune novità».

Annuii seria, ricordando quanto fossero profondi gli occhi smeraldo del mio amico. Sentii pizzicarmi le guance, forse sarà il freddo.

«Dopo venerdì io e Nathan abbiamo parlato», cominciò Ethan, guardando entrambi.

Nath si piegò sulle gambe, accucciandosi appena. Ma che posizione è questa per parlare?

Un angolo della sua bocca si alzò, accennando un sorriso.

«Bene, era mia intenzione farti ricordare che esisto e che anche io sono qui», commentò soddisfatto, facendomi alzare gli occhi al cielo. «Dopo averti parlato venerdì», continuò mantenendo lo sguardo fisso nel mio. «Mi sono convinto ad affrontare una volta per tutte questa situazione e sono andato a casa sua», indicò Eth alzando di poco il mento.

La mia espressione cambiò, la linea dura delle mie labbra si trasformò in un sorriso e il mio sguardo si addolcì, guardandolo con ammirazione.

Nathan lo capì e in imbarazzo si grattò distrattamente la testa.

«Ho avuto la possibilità di parlare con Natalie e dopo essermi confrontato anche con Ethan, la giornata ha preso una piega decisamente inaspettata», confessò alternando la sua attenzione da me al pavimento.
«Natalie è voluta venire a casa mia per incontrare mamma», disse lasciandomi a bocca aperta.

«E risparmiandoti i dettagli drammatici, possiamo dirti che grazie a te si sono ritrovate», si intromise Ethan sorridendo.

Mi schiarii la voce. «Ne sono felicissima, ma non ho fatto nulla».

«El non hai idea di come hai scosso le nostre vite», ribatté Nathan. I suoi occhi brillavano, era felice.

«Comunque», tossì appena per riprendere il discorso precedente. «Avevo bisogno di un consiglio adulto e Natalie, vedendo mia madre e parlando con me, ha preso un po' in mano la situazione e...», abbassò di due toni la voce e rivolse nuovamente lo sguardo a terra.

«Abbiamo deciso che mamma ha bisogno di essere seguita, controllata e curata da persone competenti, per questo oggi la porteremo in una clinica di cura a pochi chilometri da qui. Vedremo se le piacerà e se potrà iniziare a viverci», concluse con la voce spezzata.

Oh...
Sentii il cuore improvvisamente pesante e dallo stomaco salì un forte senso di tristezza.

Quella donna aveva senza dubbio bisogno di essere controllata e Nathan era ancora un ragazzino, la malattia era più grande di lui e della sua buona volontà. Non riesco nemmeno a pensarci... Come ha vissuto fino ad ora?

Poi realizzai, alzandomi con un scatto dalla panchina mi avvicinai a lui. «Tu non puoi rimanere a casa da solo! Non hai un lavoro, non hai i soldi, devi continuare gli studi», parlai così velocemente da non permettere loro di concludere il discorso. Ero terrorizzata al pensiero di vederlo andare via.

Che potevo fare? Come potevo aiutarlo?

«Non puoi», mormorai a bassa voce fissandolo negli occhi.

«Ele calmati, Nathan viene a vivere da me», rispose a voce alta Ethan alle mie spalle, sorprendendomi.

Tirai un sospiro di sollievo, finché...

«TU?» urlai, indicando Nathan.
«E TU?», voltandomi verso Ethan.
«VIVRETE SOTTO LO STESSO TETTO?», domandai sconvolta.

«Te lo avevo detto che avrebbe urlato», esclamò Nath sghignazzando, cambiando di nuovo umore.

«Ero convinto che sarebbe rimasta senza parole, hai vinto tu», rispose Ethan guardandomi male per avergli fatto perdere la scommessa.

Alzai le braccia al cielo ed emisi un gridolino nervoso. «Era meglio quando vi odiavate», esclamai tra le loro risate.

Quando passa l'InvernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora