Chapter 17

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"Now you're all I want
and I knew it from the very first moment"

Can I be him, James Arthur

Il garage era un ampio spazio vuoto, dal momento che non ci era consentito avere la macchina.
Tutto ciò di cui avevamo bisogno ci veniva portato due volte a settimana da Jones o da Hult e noi non potevamo muoverci oltre la recinzione attorno alla casa.

La cosa positiva era che temevo che non avrei potuto avere uno spazio in cui avrei potuto sfogare quello che tenevo dentro e ballare, eppure eccolo lì: il garage.

Non era la mia sala prove eppure, nonostante facesse un po' freddo, non mi lamentavo.

I giorni passavano e, finalmente, avevo trovato un posto in cui rintanarmi e non vedere Shawn ovunque mi girassi.

Non avevo ancora parlato con lui di ciò che mi aveva detto Aaliyah, ma probabilmente non l'avrei fatto.
Il mio intento di allontanarmi da lui stava procedendo come doveva, eppure faceva male.
Sapevo che il mio dolore non poteva essere paragonabile a ciò che provava lui in quel momento.
Non riuscivo neanche ad immaginare a come potesse sentirsi, consumato dal senso di colpa per qualcosa che non era però causa sua, responsabile del pericolo a cui aveva esposto la sua famiglia ed ora anche me e Grayson.
No, non riuscivo neanche ad immaginarlo, ma il pensiero di non poterlo aiutare mi distruggeva.
Mi aveva chiesto di stargli lontano, di farmi gli affari miei e anche se a quel punto, dopo tutto ciò in cui mi ero cacciata, era troppo tardi, lo avrei fatto.

I giorni iniziavano a confondersi tra di loro e l'orologio scandiva un tempo che sembrava non passare mai.

Quel giorno passai tutta la mattinata in garage e, nonostante non avessi uno stereo, mi ero fatta portare il mio lettore musicale munito di auricolari.
La coreografia era quasi finita e, sotto le note ed i passi di danza, sentivo di poter vedere più chiaramente la situazione.
Amavo Shawn e lo avevo portato nei movimenti.
Non potevo amarlo e lo avevo portato nel ritmo.

Era quella la coreografia che avrei voluto portare sul palco della New York Academy ai provini di fine giungo.
Era rischioso per me portare un pezzo contemporaneo e non classico, ma lo sentivo mio, lo sentivo scorrere nelle vene.
Certo, sarebbe stato difficile poterlo portare su quel palco dal momento che ero confinata in questo posto.

Un'angoscia improvvisa mi pizzicò la mente facendo capolino.
Ormai era marzo, stavo perdendo gli ultimi mesi di liceo, ma di quello poco mi importava.
Quanto sarei dovuta rimanere in quella casa? Giorni? Settimane? Mesi?
La consapevolezza che tutto fosse così incerto, che nessuno sarebbe mai veramente riuscito a trovare Noah e che noi saremmo rimasti rinchiusi tra quelle quattro mura, isolati dal resto del mondo, impossibilitati a fare qualsiasi cosa, mi colpì violentemente.

Non ero stata lucida quando avevo agito, non avevo pensato ad una conseguenza come questa.
Tutto ciò che avevo sempre voluto era allontanarmi da Portland, ma non avrei mai avuto la possibilità di farlo senza poter uscire di casa.

L'idea di fuggire mi accarezzò suadente e mi tese la mano.
Ma come avrei potuto fare?
Non potevo essere così egoista da rischiare così tanto ed esporre la famiglia di Shawn se qualcosa fosse andato storto.
Accantonai la malsana idea.

Smisi di ballare, tolsi gli auricolari ed asciugai la fronte imperlata di sudore con un asciugamano.

Rientrai in casa dalla porta che collegava il garage ad una scala che giungeva in salotto.

Entrai con il respiro affaticato, ma i nervi distesi e sobbalzai vedendo la figura di Shawn sul divano.
Stava accarezzando le corde della chitarra poggiata sulle sue ginocchia, ma si fermò di colpo alla mia vista.

Portland 2 » Shawn MendesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora