3. Alissa

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«Un caffè prego» mi chiede una voce alle mie spalle.

«Arriva subito» rispondo con un sorriso, poi mi giro e preparo la bevanda.

Dopo il momento di psicologia sono andata a cambiarmi nella mia stanza e sono venuta al lavoro. Non sono come crede la gente, ovvero ricca e viziata, ma alle persone piace giudicare. Quella che ho a scuola è solo un'immagine, mi sono creata un personaggio, ma qui posso essere chi mi pare. Qui posso vestirmi come voglio, come la vera me, ovvero con dei pantaloni comodi e una maglia a caso, non ho bisogno di apparire. È come se fuori da qui e dalla casa famiglia mi fossi creata una specie di gabbia nella quale mi sono costretta a vivere.

Lavoro in un bar vicino all'università, quindi lontano dal liceo ma abbastanza vicino alla casa famiglia, e lo stipendio mi basta per comprare dei vestiti e soddisfare qualche sfizio in più, come organizzare le feste degli studenti. Alla fine di questo mese ci sarà quella di Halloween, e sto cercando una casa da spacciare per mia: non posso invitare nessuno nella casa famiglia, farei una pessima figura. Cercherò una di quelle ville enormi con piscina e giardino da affittare per una sera.

Qualche caffè dopo e un po' di merende servite a gruppi di amiche, ecco che mi squilla il cellulare. Non mi chiama mai nessuno, e soprattutto ho una suoneria speciale per Melissa, in caso abbia bisogno urgentemente di qualcosa, ed è proprio quella che arriva al mio orecchio in questo momento.

«Mel?» chiedo preoccupata.

«Alissa, c'è un'emergenza. È appena arrivata una ragazza nuova, ha più o meno la tua età. Sbrigati.»mi risponde frettolosa

«Ma io sono al lavoro, non posso mollare tutto e partire» provo a contestare.

«Sbrigati» e attacca. Rilascio un verso di fastidio, mentre sbatto il cellulare sul bancone. Questa settimana è già iniziata di merda, non voglio sapere come continuerà, né cosa succederà al mio compleanno.

«Bill, c'è un'emergenza a casa» grido al mio capo, dato che in questo momento non c'è nessuno.

«Ok Lissa, vai a casa tranquilla, tutto si sistemerà.» mi risponde con una mano sulla spalla e un sorriso dolce. Quest'uomo è un angelo: conosce la mia situazione (non ciò che mi è successo) e capisce quando ho bisogno di tornare alla base. Quando ho iniziato a lavorare qui Mel è stata con Bill un pomeriggio intero a parlare di non so cosa, ma ho sempre pensato che gli avesse dato qualche informazione per far sì che mi trattasse con riguardo.

«Grazie Bill» gli stampo un bacio sulla guancia, mi tolgo il grembiule ed esco dal bar. L'aria autunnale mi colpisce il viso e subito mi cospargo di brividi, entro in macchina, nonostante la mia non si possa definire tale, e vado verso la struttura in cui abito.

Dopo dieci minuti sono arrivata, scendo velocemente e apro la porta della casa con talmente tanta forza che va a sbattere contro il muro.

«Mel! Meeeeeeeel!» urlo nel corridoio.

Mentre urlo come una pazza, la testa mora di Mel fa capolino dalla porta del suo ufficio, ma non è sola. Di fianco a lei c'è una ragazza, che a quanto mi ha detto prima al telefono dovrebbe avere più o meno la mia età. È alta e magra, ha i capelli marroni che le cadono sulle spalle in maniera confusa, ma allo stesso tempo ordinati in dei boccoli naturali.
È visibilmente scossa da ciò che le è successo, nonostante io non ne sia al corrente, e si vede che ha pianto molto. Probabilmente tra due minuti ricomincerà a piangere e così per mesi e mesi, fino a quando non capirà che la sua vita dovrà andare avanti, in questo posto di merda che io e altri due ragazzi chiamiamo casa.

«Alissa, menomale che sei arrivata. Lei è Madison. Madison Johnson.» ci presenta Mel.

«Sono Alissa, ma puoi chiamarmi Lissa.» mi avvicino titubante alla ragazza e le porgo la mano. Lei al posto di stringermela, me la guarda e poi sposta il suo sguardo nei miei occhi. I suoi sono pieni di lacrime, i suoi occhi azzurri sono lucidi, pronti a scoppiare in un fiume in piena in pochi secondi, ed è lì che arrivano. Arrivano i ricordi, quelli di quando gli assistenti sociali mi hanno portata qui, dopo aver appurato che nessun parente era nelle vicinanze o idoneo alla mia custodia.

Senza dire niente, mi giro e come sono arrivata me ne vado: correndo. Salgo sul mio catorcio e guido per mezz'ora senza una meta precisa. Giro un po' a destra, un po' a sinistra, poi vado dritto, poi giro in cerchio svoltando sempre dalla stessa parte. Mentre giro mi ritrovo nel mio posto, quello in cui porterò solo le persone di cui mi potrò fidare, e per ora nessuno.
Non è la prima volta che mi succede di guidare fino a qui senza averlo programmato, ma di arrivarci perché spinta da qualche impulso nel mio cervello che mi dice che questo è il posto in cui rifletto meglio, in cui prenderò la decisione giusta.

Chiudo la macchina e vado in spiaggia, prima però mi tolgo le scarpe e i calzini. La sabbia tiepida entra in contatto con la pianta dei miei piedi ed è una sensazione paradisiaca. Ho sempre amato il mare per la pace dei sensi che dona, soprattutto quando si è soli e si vuole fuggire da qualcosa.

Fortunatamente la spiaggia è deserta, nessuno ci viene dopo agosto, solo perché non c'è più il sole che spacca le pietre o il caldo atroce. Io amo il mare in qualsiasi stagione e ne apprezzo ogni sfumatura, anche quando è burrascoso: si incazzerà anche lui qualche volta.

Mi siedo in riva al mare, coi piedi nella sabbia e ricordo. Ricordo una me quattordicenne, che aveva appena assistito al suicidio della madre e all'arresto del padre, con i suoi codini biondi mentre entrava nella casa famiglia accolta da Mel. Non ho mangiato per mesi e se lo facevo, mangiavo troppo poco per stare anche solo in piedi, ho sempre e solo bevuto per idratarmi dei liquidi che perdevo piangendo come una fontana ogni giorno. La notte era la parte peggiore: il buio delle tenebre nel quale volevo sprofondare per tornare dalla mia mamma e al tempo stesso la rabbia nei suoi confronti per non aver agito diversamente. Poi la rabbia verso mio padre, che contrastava con l'amore nei suoi confronti che stava sempre diminuendo a causa di ciò che diceva la gente. Alla fine, però, è arrivato il giorno pieno di luce, una luce chiamata Melissa che è riuscita a farmi uscire dall'abisso in cui ero sprofondata.

Pensando a queste cose, mi punisco mentalmente. Mi punisco di essere scappata in quel modo alla vista di quella ragazza, Madison, per non averla aiutata ad uscire dal suo di abisso. Per non aver provato a essere la sua luce sin da subito.

Ho deciso: tornerò nella casa famiglia e supereremo il passato insieme, perché due è meglio di una.

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Ciao ragazzi e ragazze!
È il mio primo spazio autrice nella storia, quindi scusate se farà schifo.

Io e Elena siamo super contente dei traguardi che abbiamo già raggiunto nonostante siano minimi, e speriamo di continuare così.

Lasciate stelline e commentate se vi fa piacere. Scrivete ciò che pensate della storia, delle correzioni e magari qualcosa che vi piacerebbe fosse cambiata.

Al prossimo capitolo 🌸📖
-Benedetta🌹

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