Chapter two- Touching

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Sento le palpebre incredibilmente pesanti mentre cerco con difficoltà di mettere a fuoco l'ambiente circostante

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Sento le palpebre incredibilmente pesanti mentre cerco con difficoltà di mettere a fuoco l'ambiente circostante. Non riesco a muovere le gambe, tanto meno la testa. E' come se il mio intero corpo si rifiutasse di collaborare.

Gli arti iniziano a formicolarmi, dandomi la sensazione di essere punta da minuscoli aghi.

Abbandono quindi l'idea, per ora, di muovermi e decido invece di ridestare i miei sensi. Le orecchie mi fischiano per qualche secondo mentre con gli occhi tento di abituarmi al buio.

Quando finalmente riesco a distinguere le sagome degli oggetti, capisco di trovarmi in una stanza spaziosa. Sono coperta per intero da due strati di coperte e la mia testa è adagiata su due cuscini. Come ci sono finita, qui?

Il Mannaro.

I ricordi riaffiorano velocemente e subito mi maledico, dandomi della stupida da sola.

Il pensiero di essere nelle vicinanze di un Mannaro mi manda in paranoia e così mi agito sotto le coperte, gettandole lateralmente per scendere dal letto.

Le mie gambe, però, sembrano non voler tornare al loro stato originale e così cado a terra. Mi sento sottosopra, come se fossi un calzino appena rivoltato e, con un grugnito, vomito tutto ciò che ho in corpo sul tappeto.

Alzo lentamente la mano, pulendomi la bocca.

La scena è disgustosa ma non posso impedirlo; il mio stomaco continua a contrarsi e ad agitarsi, rendendomi consapevole della situazione in cui mi trovo. Il mio intero corpo è esausto, nonostante io mi sia semplicemente alzata, ed il mio stomaco è vuoto.

Indosso ancora i vestiti da lavoro, ma sono sporchi di terra e, in certi punti, persino strappati. Aggrotto le sopracciglia, non capendo come sia possibile tutto questo. Da dove siamo usciti? Come ha fatto a portarmi fuori dal Rifugio?

L'ultima domanda mi provoca un brivido freddo in tutto il corpo. Ha ucciso qualcuno? Scuoto la testa con vigore, impedendomi anche solo di pensarlo.

Il Rifugio pullula di guardie e, anche se i Mannari sono geneticamente fatti per essere più forti e più veloci, non l'avrebbero lasciato scappare così facilmente.

Deve aver preso una via secondaria per uscire, non c'è altra spiegazione.

Il Rifugio è gremito di persone armate, soprattutto se in zone ad alto rischio come la mia. Se avesse imboccato la via principale, non ne sarebbe uscito vivo.

Almeno non mi ha cambiata d'abiti. Sono quasi certa, o forse solo speranzosa, di non aver avuto contatti fisici con lui.

Quando sento la porta aprirsi, stringo i denti e afferro tra le mani la lampada sul comodino. Le gambe mi tremano ancora, ma riesco a mettermi in piedi, poggiando la schiena contro il muro per un po' di sostegno.
Le mani mi si serrano talmente tanto attorno alla lampada che vedo le mie nocche sbiancare. So di star esercitando una presa sbagliata grazie agli insegnamenti di Adrien: è importante non afferrare mai qualcosa con troppa o troppa poca forza, me lo ripeteva spesso.

Forse mi sarei dovuta iscrivere alle lezioni di autodifesa, piuttosto che concentrarmi totalmente ed esclusivamente sulla medicina.

Spero che il mio corpo regga anche solo qualche minuto, il tempo necessario per permettermi di fare qualcosa.

Qualsiasi cosa.

Rimanere ferma non è quindi un'opzione e mai lo sarà.

Riconosco i capelli neri e la stazza dell'uomo che mi ha fatto prima perdere i sensi, per poi rapirmi.

Non mi meraviglio del suo aspetto più curato. deve aver avuto tutto il tempo per farsi una doccia, medicarsi le eventuali ferite e accertarsi che io non fossi morta. Per quanto ne so, potrebbe aver fatto un salto in qualche sauna, lasciandomi priva di sensi su un letto non mio.

Chiude la porta con studiata lentezza, senza mai smettere di guardarmi. Si appoggia quindi al muro, lanciando uno sguardo divertito alla mia piccola arma.

Non ricambio lo sguardo, troppo occupata a sorreggere me stessa e la lampada. Forse non è l'arma migliore al mondo, ma è pur sempre qualcosa.

"Cosa credi di fare con quella?" Con l'indice mi indica l'oggetto che ho in mano, piegandosi leggermente in avanti. Io, di tutta risposta, mi limito a fare qualche passo laterale per allontanarmi.

La sua voce è forte e chiara e, ancora una volta, sento le gambe tremarmi. Per un attimo temo di star per cadere o, peggio, di essere sul punto di vomitare ancora.

Non che mi interessi molto visto che questa stanza non è mia e che a pulire non sarei di certo io. E poi, non trovo il senso di provar vergogna davanti al proprio rapitore.

Racimolo tutto il coraggio che ho in corpo e prendo una bella boccata d'aria, cercando di darmi un aspetto più aggressivo.

"Fracassarti il cranio." In un primo momento non riesco a riconoscere la mia voce, troppo debole e acuta. La mia risposta deve averlo divertito davvero molto vista la sua risata, simile ad un latrato, e alla mano che si tiene contro lo stomaco.

Almeno uno di noi è contento della situazione, che sollievo!

Non pensavo che avrei mai voluto ferire così tanto una persona in vita mia, ma più lo sento ridere e più penso che fargli del male sarebbe davvero un'ottima idea.

"Se una creaturina come te riuscisse mai a fracassarmi il cranio, la mia razza sarebbe finita." Mi risponde lui, tornando finalmente alla sua compostezza originale.

Le mani mi tremano leggermente e le gambe ancora non accennano a riprendersi. Se non fossi aggrappata al bordo della finestra, probabilmente mi ritroverei stesa a terra.

L'uomo fa scorrere lo sguardo sul mio corpo, fino alle mie gambe, notando il tremore che me le scuote. Si fa pensieroso per un attimo, scuotendo la testa subito dopo.

Sono abbastanza sicura che sappia ciò che mi è successo, a differenza mia. L'unica opzione che trovo è l'esser stata pesantemente drogata, o almeno questi sono i sintomi.

"Cos'è successo al mio corpo?" Applico meno forza sulla lampada, sentendo le gambe tremare con più vigore. La bile mi risale in gola, facendomi storcere il naso.

Il Mannaro fa qualche passo verso di me con le mani in tasca e lo sguardo improvvisamente troppo profondo.

"A distanza," Torno a stringere le mani sulla lampada, brandendola come fosse una mannaia. Lui sembra come non vederla, ignorando completamente le mie parole.

Vorrei mantenere una certa distanza, ne ho quasi bisogno, ma a quanto pare a lui non interessa.

La sua energia mi colpisce ancora, ma questa volta è diversa: più densa e forte. Mi avvolge completamente, facendomi accapponare la pelle.

Sta giocando sporco, ovviamente.
Un'umana contro un Mannaro non è il più equo degli scontri e lui dovrebbe saperlo.
Come minimo potrebbe lasciarmi un po' di anticipo sull'attacco!

"Ho usato la mia energia su di te, ieri, per portarti con me. Questo ti ha indebolito e, in un certo senso, reso dipendente.

Il tuo corpo ha avuto bisogno di una notevole quantità di energia per cedere e adesso il tuo stesso organismo ne reclama altra. Ironico, no? Suppongo che per voi umani sia come una droga."

Lo dice con tranquillità ed ironia mentre gioca con un fermacarte sulla scrivania, come se non avesse appena ammesso di avermi rapita e praticamente drogata.

Chiudo gli occhi per qualche secondo, sentendo i miei arti tremare sempre più violentemente. Non riesco a credere alle mie stesse orecchie, né di esser stata talmente sciocca da essermi, in primo luogo, avvicinata a lui.

Quando finalmente riesco a concentrarmi e a far cessare i tremori, mi trovo a fissare un petto ampio.

Il respiro del Mannaro mi sfiora l'orecchio mentre preme il naso tra i miei capelli. Sento il sangue nelle mie vene pompare velocemente, così alzo la lampada, scagliandola con più forza possibile verso di lui.

Indietreggia di qualche passo, osservando i cocci della lampada a terra mentre io striscio dal lato opposto. Avverto il ginocchio destro cedermi, facendomi scivolare pietosamente al suolo.

Ma un momento prima che il mio corpo possa toccare il pavimento, mi trovo seduta di nuovo su quel letto insopportabilmente morbido.

Il mostro è piegato verso di me, con gli occhi di un rosso così acceso da far invidia a quello del sangue. Le sue mani scivolano sulle mie gambe, facendomi tremare in preda ad uno spasmo.

Con mia sorpresa riesco ad avvertire i miei muscoli contrarsi e rilassarsi sotto il suo calore innaturale. I suoi pollici tracciano linee invisibili sulla mia pelle mentre lui, senza alcun imbarazzo, non accenna a terminare il nostro contatto visivo.

Sono quindi io a farlo, tossendo un paio di volte per darmi un minimo di contegno.

I miei muscoli si tendono, si stirano e poi si rilassano. Questo circolo continua per qualche secondo fino a quando realizzo di non poterli più contrarre

"Basta," sussurro, afferrandogli i polsi per impedirgli di toccarmi. Non voglio essere avvicinata da lui e nemmeno aspiro a diventare dipendente dalla sua energia.

Sollevo quindi le gambe sopra il letto, allontanandomi finché mi è consentito.

Più distanza riesco a mettere tra me e lui e meglio è.
Se davvero la sua energia è in grado di creare dipendenza, devo allontanarmi e impedirgli di usarla su di me e di manipolarmi con essa.

Un ringhio profondo gli fa vibrare il petto mentre tiene gli occhi ermeticamente chiusi.

Rimaniamo così, immobili.

Io non accenno nemmeno una parola, aspettando con pazienza che si calmi. Forse questo non è il momento giusto per sfidarlo, non mentre è così suscettibile.

Guardo i cocci della lampada sparsi a terra, rammaricandomi di non averne afferrato almeno uno. Tra le mani non ho nulla con cui difendermi, mi rimangono solo le unghie.

Si alza dopo quelle che sembrano ore, avviandosi con passi decisi verso la porta per poi aprirla violentemente, quasi volesse staccarla.

Avanza di un solo passo, voltandosi verso di me per lanciarmi quello che spero sia l'ultimo sguardo.

Lo sostengo come meglio posso, evitando di farmi schiacciare dalla paura.

"Non uscirai di qui fino a mio nuovo ordine, e se ti venisse in mente di scappare ricordati questo: non farti trovare da me o rimpiangerai la mia momentanea gentilezza."

Sbatte la porta con forza inumana, facendo vacillare un quadro appeso alla parete.

La sua suddetta momentanea gentilezza non è altro che una bugia. Non vedo nulla di gentile in ciò che ha fatto o in quello che ha detto.

Darmi un letto non è un atto caritatevole, non dopo avermi portata via dal mio Rifugio, penalizzando il mio corpo e rendendomi debole.

Pretende forse che gli sia riconoscente? Oh, magari spera che io mi inginocchi ai suoi piedi per ringraziarlo della sua immensa bontà.

Le lacrime mi salgono spontanee agli occhi mentre cerco di evitare il mio riflesso nello specchio.
Serro quindi le palpebre e mi premo una mano sulle labbra per contenere la nausea.

Non sono mai stata così fisicamente male in vita mia.

La cosa peggiore, però, è che tutta questa situazione non è altro che un risultato delle mie azioni. Sono stata io la stupida ad avvicinarlo, io a fare tutto e ora ne pago le conseguenze. Cosa mi è passato in mente, quando l'ho ritenuto un essere come tutti gli altri?

Ridacchio con amarezza al pensiero delle sue parole fino a quando le risate mi si accumulano in gola.

Mi ritrovo a piangere tra i risolini, con le mani a tenermi la pancia. Forse sembro isterica, ma nonostante ciò ringrazio il cielo di non essere ancora arrivata al mio punto di rottura.

Torno al silenzio con un gran sospiro, sfregandomi con ferocia il palmo della mano sul volto. Faccio lo stesso sulle gambe, cercando di cancellare ogni traccia del suo tocco dal mio corpo.

Con le unghie vado a grattarmi la pelle, tirando qualche colpo alle mie gambe per farle rispondere.

Devo trovare un modo per andarmene e piangermi addosso, ne sono certa, non è una soluzione che mi porterà a qualcosa.

Osservo mestamente la finestra al lato opposto del letto, alzandomi con prudenza. I miei arti inferiori sembrano essere tornate a uno stato decente ma mi assicuro che reggano, prima di camminare.

Per qualche secondo rimango quindi in piedi, testando la forza delle mie articolazioni.

Con mio grande sollievo noto che reggono e che riescono a sostenere il mio peso. Mi giro quindi verso la porta, camminando all'indietro verso la finestra.

Non posso rischiare di farmi beccare da lui, quindi tengo d'occhio il pomello, in attesa che scatti.

Lascio passare qualche minuto, solo per sicurezza, per poi voltarmi e aprire la finestra.

Rimango ancora una volta immobile, in attesa di un qualche rumore. Niente.

Sospiro, sollevata, guardando verso il basso. La mia momentanea felicità svanisce quando mi rendo conto della distanza che c'è tra me e il suolo.

Ad occhio e croce, suppongo di essere al terzo piano di quella che ha tutta l'aria di essere una villa. Deglutisco, cercando con gli occhi un qualche appiglio per potermi arrampicare.

Saltare è fuori questione.
Non sono un Mannaro e l'impatto mi romperebbe sicuramente qualche osso: rischiare la pelle non è un'idea contemplata. Inoltre non riuscirei a correre, con una gamba fratturata o rotta, e se mi trovasse dovrei aspettare un'eventuale guarigione.

Mi ci vorrebbero uno o due mesi per guarire e non escludo la possibilità che il Mannaro potrebbe rifiutarsi di chiamare un medico, o anche semplicemente di lasciarmi in vita.

Torno con lo sguardo verso il letto, mordendomi l'interno guancia. Le coperte, legate insieme, sarebbero sufficienti a farmi arrivare a terra?

È un'idea piuttosto rischiosa e, con tutta probabilità, sciocca. Ma quali altre opzioni ho?

Cerco con lo sguardo un armadio, ghignando non appena lo vedo. Abbandono momentaneamente la finestra, spalancando le ante del guardaroba.

Quest'ultimo è sommerso da vestiti, coperte e trapunte, quasi fosse stato preparato alla rinfusa, all'ultimo momento.

Afferro due trapunte e una coperta dai ricami azzurri, gettandole sul letto. Passo quindi alle estremità di ogni tessuto e le annodo assieme, facendo lo stesso con le coperte.

Tento di creare più nodi possibili per assicurarmi che la sequenza di coperte non si sfaldi.

Devo andarmene da qui, lo ripeto nella mia mente come un mantra, aggrappandomi alla speranza della fuga. Passano minuti interminabili mentre cerco di misurare la lunghezza complessiva.

Sarà in grado di reggere il mio peso? Adesso deve solo trovare un appiglio al quale legare la corda. Alla fine decido di annodarla al piede del letto, stringendola a esso con quanta più forza possibile.

Devo tornare al Rifugio e avvisare Adrien prima che il Mannaro decida di radere al suolo la nostra piccola comunità insieme al suo branco.

Deglutisco al pensiero di Adrien.

Mi starà cercando?

Si, di questo posso essere certa. Questa piccola conferma mi da sicurezza e, se possibile, riesce a rilassarmi un po'.

Mi rimbocco le maniche, lanciando un'ultima occhiata verso il prato. Sento la paura stringermi il petto e inizio a sudare freddo mentre calo dalla finestra la corda.

O la va, o la spacca.

Ormai ho completato la corda ed è stato tutto già legato e sistemato, non posso tirarmi indietro proprio ora.

Ma se cedesse? Scaccio via quel pensiero, ricordando a me stessa che tanto vale provare. Prendo quindi un bel respiro e getto la fune fuori dalla finestra, preparandomi a scendere.

"Vai da qualche parte?"

LA BESTIA- The Beauty and the Beast SeriesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora