39. Tuo figlio

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Lei sperava così tanto che Rafe fosse sincero. Aveva detto che non l'avrebbe mai più abbandonata, ma come poteva sapere se fosse la verità? Helena si fidava di lui, ma le ostilità che la vita riservava erano inespugnabili talvolta, e nemmeno tutta la forza dell'uomo che amava sarebbe valsa a sconfiggerle.
Helena desiderava solo, ardentemente, baciarlo. Il suo tocco, Rafe in persona, le erano mancati così tanto e così a lungo che aveva tenuto di morire. Ma ora era di nuovo lì. Ed era suo, come lei lo era per lui. Perché non si sarebbe più concessa a nessun altro uomo che non portasse il suo nome.
«Toccami, Rafe» mormorò. «Ti prego.»
Rafe le fece scivolare le dita lungo la curva del collo, fermandosi sulle clavicole e la sua pelle si coprì di pelle d’oca. La guardava con occhi dolci, di una profondità tale che lei avrebbe potuto annegare. Ma anche se così fosse stato, non le sarebbe importato. Sarebbe annegata nei suoi occhi e nel contempo Rafe le avrebbe concesso ossigeno per respirare anche negli abissi del suo sguardo. Lui le sorrise, scaldandole il cuore. La baciò sulla gola, delicato, leggero, come se avesse timore di profanarla. Helena gemette. «Ti desidero così tanto, Helena.» La sua voce si era ridotta a un mero sussurro rauco che le fece correre un brivido bollente lungo la schiena. E il bisogno di lui divenne urgente, famelico. Letale. Non le importò che fosse sbagliato, che Dio l’avrebbe certamente disprezzata se avesse assistito alla scena. Rafe. Era di lui che le importava, qualunque altra cosa poteva aspettare.
Le sue dita scivolarono nei capelli di lui, e si bearono di quella sensazione meravigliosa. Non sembravano seta come quelli di Bayard, no, erano più spessi eppure lei riuscì a saggiarne comunque la morbidezza.
Rafe sollevò lo sguardo su di lei. Era infuocato, perduto, com’era sempre stato da quando l’aveva conosciuta; gli occhi gli brillavano di un desiderio proibito che avrebbe potuto bruciare qualunque cosa lo avesse sfiorato. Fece scorrere le mani lungo le sue cosce coperte dal tessuto della gonna sollevata all'altezza dei fianchi, ed Helena fremette sotto il suo tocco mentre dentro di lei miriadi di sensazioni esplodevano fino a riempirle il cuore di gioia.

«Ho desiderato così a lungo di poterti toccare di nuovo» sussurrò Rafe, sfiorandole la pelle e lasciandosi dietro una scia infuocata. Helena fece scivolare le dita ai lati del suo viso e si chinò piano, prima di coprirgli la bocca con la propria. Per lui fu come respirare fuoco vivo. Mentre le loro lingue si intrecciavano, ricreando una danza antica quanto il mondo, lei si spinse involontariamente contro il suo bacino e allora tutto, intorno a loro, scomparve. Perfino il calore del fuoco scemò, sostituito da quello scaturito dalla vicinanza dei loro corpi.  Le mani di Rafe le aprirono i lacci del mantello, facendoglielo scivolare dietro le spalle. Senza smettere di guardarla, la prese per mano e la fece stendere sul pavimento, creando un appoggio morbido con l’indumento di cui si era appena liberata. Helena afferrò una delle sue mani e se la portò dietro la nuca. «Scioglimi i capelli» sussurrò, piano. «Accarezzami, Rafe.»
Lui la accontentò. Non contava altro, se non renderla felice.
«Helena.» Prima che entrambi potessero rendersene conto, si ritrovarono in posizioni invertite con Rafe steso a terra e lei sopra. La fece salire fino a quando non fu a cavalcioni sopra di lui, e nel contempo finì di toglierle gli abiti. Helena cominciò a sfilargli piano la cintura e poi gli fece scivolare i pantaloni lungo le gambe muscolose. Erano come le ricordava. Tutto il suo corpo era come un tempo, prima che la crudeltà della vita si riversasse su di loro. Il ventre di lei era un po’ ingrossato, notò Rafe e un’ondata di rammarico lo pervase: avrebbe così tanto voluto che quel figlio fosse suo. Helena lo baciò delicatamente sulle labbra, ignara del suo tormento interiore, e allora lui dimenticò il resto e l’ingiustizia che il destino aveva tessuto per loro. Con le mani le strinse i seni e lei gettò indietro la testa. I suoi sospiri dolci riecheggiarono nel piccolo abitacolo, e quando la bocca di Rafe si chiuse sui capezzoli lei gridò.

Non possedeva più una mente, ma soltanto un corpo. Non esisteva più nient'altro se non Rafe, Rafe e l'amore che provava per lui. Un amore che aveva anelato a dimostrargli fin dal primo giorno. Si spinse contro di lui, aderendo perfettamente alla sua erezione, e le fiamme di un incendio divamparono dentro di lei quando Rafe la penetrò. Helena gli strinse le gambe intorno ai fianchi, adeguandosi ai suoi movimenti, al suo ansimare roco, alla passione che annebbiava il suo sguardo. Lei gli prese il viso e lo condusse verso le sue labbra, baciandolo e gemendo sulla sua bocca. Rafe la abbracciò, la tenne stretta, inspirando il suo profumo e il suo calore, terribilmente consapevole dell'inadeguatezza del suo gesto, delle conseguenze che avrebbe comportato se qualcuno li avesse scoperti. Eppure non poteva ragionare con lucidità, non con Helena che lo baciava, che lo marchiava, che lo risucchiava a sé. Lei era dolce, era morbida, aperta sotto di lui. Rafe sussurrò il suo nome più e più volte, e infine Helena esplose con un grido. Il suo corpo venne scosso da spasmi incontrollabili, e tremò contro quello di lui, che si immobilizzò ed emise un lungo gemito. Helena crollò sul suo petto e lui la strinse forte contro di sé, come se temesse di perderla ancora, come se qualcuno avesse potuto strappargliela dalle braccia ancora una volta. Con le gambe ancora intrecciate l'uno all'altra, si cullarono dolcemente; Rafe inspirò il profumo dei suoi capelli, accarezzandoli come per imprimersi sotto le dita la loro consistenza, lei gli passò le labbra lungo il collo, lasciando una scia infuocata al suo passaggio.

«Ti amo, Rafe» mormorò, affondandogli il viso nell'incavo della spalla. In risposta sentì le sue braccia stringerla più forte, mentre il suo cuore batteva a un ritmo sfrenato. Poteva sentire quello di Rafe a contatto con il suo, due cuori che ricreavano una melodia antica quanto il mondo. Lo amava, lo amava disperatamente, e non si pentiva nemmeno allora di essersi concessa senza remore. Bayard, in quel momento, era solo un mero ricordo, un'ombra incorporea che non aveva valore. Il respiro di Rafe, il suo tocco, le sue labbra e la sua vicinanza erano reali, erano la sola cosa preziosa che le fosse rimasta. E non aveva alcuna intenzione di gettarla al vento. Per Helena, tutto dentro vibrava come l'aria attorno a una campana che suona: felice , libera, spensierata. Si sentiva meglio, si sentiva bene, come se fosse appena morta e rinata grazie a Rafe. Allora pensò che lui doveva sapere, che non sarebbe più riuscita a fingere che non fosse reale.

Si allontanò piano da lui, e gli prese una mano. Poi la premette contro il proprio grembo e gli sorrise, quasi timidamente. Rafe la guardò e capì senza che lei dicesse nulla. La gioia minacciò di ucciderlo; gli avviluppò il cuore e la mente, e gli occhi si inumidirono mentre Helena faceva compiere alla sua mano ampi movimenti circolari sul suo ventre. «È tuo figlio» sussurrò. Lui sapeva quanto fosse sbagliato essere felice, ma non poté evitare di baciarla con foga per dimostrarle la sua completa eccitazione. «Ma come... Non capisco. Mi sono ritratto prima che potesse accadere.»
«Mary dice che a volte succede.» Helena sorrise. «Non so come sia possibile, ma succede. Ed è successo a noi, Rafe.»
Allora, lui tornò a baciarla. La baciò con passione, con ardore, con amore e senza più alcun rimpianto, imprimendosi nel cuore la sua espressione felice e la consapevolezza di averle potuto donare un figlio. Con gli occhi lucidi di lacrime giurò a se stesso che avrebbe visto crescere quel bambino, che non avrebbe permesso a nessun altro di fargli da padre, che Bayard Mellins poteva marcire all'inferno.



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