38. Cuori che parlano

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Una settimana dopo, mentre osservava suo marito partire al galoppo alla volta di Londra, il respiro di Helena si regolarizzò. Stringendo tra le dita l'ultimo impacco che avrebbe dovuto applicare a Rafe, preparatole da Mary, attese che la figura di Bayard scomparisse e suonò il campanello della biblioteca. Mary comparve rapidamente.

«Milady?»
Lei le rivolse un'un'espressione determinata. «Se n'è andato.»
«Siete pronta?»
Helena annuì, dirigendosi lentamente verso di lei. Appoggiò la ciotola contenente l'intruglio verdognolo sul tavolino in vetro e prese le mani della ragazza tra le proprie. «Pensi che stia meglio?»
«Sono certa che sia praticamente guarito» rispose Mary con un sorriso d'incoraggiamento. «Questa dovrebbe essere l'ultima medicazione. Starà bene.»
Helena annuì, poi afferrò la ciotola e si diresse verso la porta. «Non volete che vi accompagni?» le chiese Mary sottovoce, per evitare che qualcuno, compreso Anita Andrews, ascoltasse. Quella donna aveva occhi e orecchie dappertutto. Mary la conosceva fin troppo bene. Se avesse scoperto che la sua padrona aveva intenzione di correre nella brughiera per prendersi cura del suo amore proibito, non avrebbe esitato a mettere al corrente lord Mellins e per Helena sarebbe stata la fine. Così, Mary avrebbe finto che lady Mellins fosse stata improvvisamente colta da un malore passeggero che l'avrebbe costretta a letto l'intero pomeriggio, così da giustificare la sua assenza.
«Sarò di ritorno presto, Mary, prima che Bayard rientri» promise Helena abbozzando un sorriso. Poi si lasciò la minuta Mary alle spalle, mentre il suo cuore batteva come impazzito nel petto, minacciando di saltar fuori da un momento all'altro.

***

Rafe stava aggiustando i ciocchi di legna nel focolare, quando la porta della casupola cigolò. Raddrizzandosi, si volse d'improvviso e quella volta, dopo giorni, non gemette per alcun dolore. Le ferite si erano quasi completamente rimarginate, i lividi erano scomparsi, e il suo corpo si era finalmente ripreso. Nulla lo aveva però preparato alla sorpresa di vedere la minuta figura di Helena davanti ai suoi occhi. Una figura che aveva sognato per troppi giorni e troppe notti, tanto da essere arrivato a credere che al mondo esistesse davvero.

«Rafe.»
Quella parola - il suo nome - gli riecheggiò nella mente per i successivi cinque secondi prima che la sua bocca ritrovasse la facoltà di parlare. «Helena? Che cosa fai qui?»
Lei si fece scivolare il cappuccio del mantello dietro le spalle e richiuse piano la porta, senza smettere di guardarlo. Era trascorsa soltanto una settimana, o giù di lì, da quando lo aveva lasciato quasi moribondo in quella casupola, eppure le era sembrato molto di più. Allungò le braccia a mostrargli la ciotola contenente la medicazione. Le tremavano le mani.
«Questa è per te. È... è l'ultimo impacco di prezzemolo di cui necessiti per la completa guarigione.»

Immobile, Rafe la fissò. Così a lungo che lei avrebbe potuto essere intimorita dal suo sguardo penetrante, uno sguardo in cui occhi si erano fatti di un blu talmente cupo da eguagliare il colore del cielo nelle calde sere estive. Ma Helena non ebbe timore. La ciotola le cadde dalle mani senza che nessuno dei due potesse rendersene conto. Forse provocò un rumore, ma rimase intrappolato nei recessi delle loro menti. Non esistette nient'altro, all'infuori di quei due corpi, di quegli sguardi intrecciati che nulla sarebbe riuscito a scalfire.

Rafe le si avvicinò. Lei notò che indossava gli stessi abiti con cui lo aveva trovato mezzo morto giorni prima; la camicia era aperta per metà sul torace e lasciava intravedere il mosaico dei muscoli, tesi sotto la pelle scurita dal sole. «Sei davvero qui.»
Le sue parole la scossero nel profondo del cuore. Certo che era davvero lì. Non voleva andarsene. Non voleva lasciarlo di nuovo. Se avesse potuto, sarebbe rimasta in eterno in quella misera baracca in mezzo al nulla, senza curarsi più di nient'altro e nessun altro. Gli occhi le si colmarono di lacrime. «Sono qui, Rafe.»

Le braccia si alzarono leggere sopra le spalle di lui. E le sue mani si chiusero dietro la sua nuca, dove i capelli si erano allungati e le solleticarono le dita. «Mi sei mancato così tanto... » Le parole le morirono in gola. Rafe la abbracciò, e lei si lasciò cullare da quel gesto, le gambe che minacciavano di cederle. «Anche tu, Helena.» Chiuse gli occhi. «Anche tu.»
Sembrò che trascorressero ore prima che Rafe si allontanasse e la guardasse. Il riverbero della piccola candela che giaceva dietro di loro, su un vecchio comodino sgangherato, brillava nei suoi occhi. «Helena, io devo dirti una cosa.»

- IN REVISIONE - Cuore selvaggio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora