4. Desideri contrastanti

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«Signorina Burren?» la chiamò Rafe dall'altro lato della porta.
Lei trattenne il respiro. «Che cosa volete?»
«Stiamo per arrivare in stazione» le annunciò lui, calmo. «Dobbiamo scendere.»
Helena dovette far ricorso a tutta la buona volontà che possedeva per non rispondergli con maleducazione. Aveva passato le ultime due ore chiusa nel vagone, preda delle sensazioni estranee che lo spiacevole contatto avuto con il signor Ellington aveva suscitato dentro di lei. Contatto che non era stato affatto spiacevole, e riconoscerlo la infastidiva. Maledizione a lei e a quando aveva accettato di essere scortato da Rafe.

«Vi raggiungo subito.»
Prendendo un respiro profondo, sollevò la testa. Il corsetto le stava decisamente troppo stretto in quel particolare momento.
Quando aprì lo sportello si ritrovò Rafe davanti, che la fissava con un sorriso stavolta cordiale.
«Vi sentite bene?»
«Non fingete che la cosa vi interessi, signor Ellington» rimbeccò lei sorpassandolo.

Lui la seguì con lo sguardo, domandandosi cosa le fosse accaduto all'interno di quel vagone. O forse doveva essere a causa dello scherzo che le aveva giocato. Lui aveva solo voluto stuzzicarla, ma non avrebbe mai immaginato che Helena Burren fosse un tipo tanto… permaloso.
Aggrottò la fronte, affrettandosi a seguirla.
«Faremo colazione in albergo» le comunicò senza tanti giri di parole.
«Sì, e poi? Viaggeremo a piedi, signor Ellington? Quali sono i nostri programmi?»
«Non a piedi, su un carro» precisò Rafe compunto. L'idea che lei potesse essere incollerita con lui cominciava a infastidirlo.
L'espressione esterrefatta sul viso di Helena gli fece spuntare un sorriso.
«Un carro?» ripeté lei in un filo di voce.
«Un carro» confermò Rafe porgendole il braccio per indurla ad aggrapparglisi. «Siamo arrivati.»

Il treno si fermò e, una volta scesi, Rafe trovò in breve tempo una vettura che li accompagnasse al Duket Hotel, un albergo piuttosto rispettabile a giudicare dalle voci che lui aveva sentito. Quando furono entrati, Rafe fece segno a Helena di sedersi su una poltroncina nell'atrio e chiese, senza farsi sentire dalla ragazza, una camera matrimoniale. Afferrò la chiave della camera, lasciò i bagagli a un facchino e si rivolse a Helena.
«Vogliamo mettere qualcosa nello stomaco?»
Lei mugolò qualcosa ma si alzò e insieme entrarono nel ristorante, dove la maggior parte dei tavoli era già occupata. C'erano parecchi uomini, ma anche bambini e coppie che si fissavano come se non esistesse nessun altro intorno a loro. Inconsapevolmente si ritrovò a confrontare una delle donne sedute al tavolo ad Helena. La differenza spiccava. Il volto di lei era regolare, le gote leggermente imporporate, gli occhi verdi come smeraldi lo ammaliavano. Rafe non riusciva a dimenticare la sfumatura dolce che quegli occhi avevano assunto quando lei si era svegliata, quella mattina. D'istinto il suo sguardo venne attirato verso le sue labbra, piene e rosee e…
Si riscosse da quei pensieri quando la voce di Helena squarciò la parete di nebbia che gli era calata davanti agli occhi.

«Volete muovervi o no?»
«Sì» borbottò lui, precedendola nel salone e nel farlo, sentì i suoi occhi puntati contro la schiena. Quella consapevolezza gli scaldò le reni. Doveva togliersi Helena Burren dalla mente, o almeno avrebbe dovuto cercare di non pensare a lei in quel modo, perché la prospettiva di non poterla avere e saperla in mano a un altro uomo lo faceva ribollire di… Gelosia. Probabilmente si sbagliava. Era impossibile che proprio lui, il rigido, impettito e burbero Rafe Ellington fosse geloso di qualcuno.

***

Helena addentò il panino e finì di sorseggiare il suo tè, cercando di apprezzare quella colazione come meglio le riuscì. Guardò Rafe, davanti a lei, che aveva già spazzolato il suo piatto e si domandò quando si fosse rasato, dal momento che non si era accorta che lo avesse fatto quella mattina…
Ma perché fantasticava tanto sulla barba di una canaglia, poi?
La verità era che lo trovava attraente. Molto. Nonostante lo scherzo di pessimo gusto che le aveva giocato e che difficilmente lei avrebbe dimenticato, soprattutto per le sensazioni piacevoli che le aveva provocato. Si sarebbe volentieri rifiutata di guardarlo in viso, se il suo sguardo non fosse inevitabilmente attirato verso quello di lui.
Si era aspettata che avrebbe assunto un atteggiamento ancora più distaccato di quanto le avesse fatto mostra il giorno precedente, e invece da quando erano entrati in albergo sembrava addirittura civile.

Si accorse che il suo sguardo d'acciaio non la lasciava un istante, e subito si appoggiò allo schienale della sedia, nervosa.

«Perché mi guardate in quel modo arrogante?
«Perché avete un bel viso, signorina Burren» rispose Rafe conciso, lasciando cadere il tovagliolo accanto al piatto.
Lei non ebbe neanche il tempo di arrossire per il complimento che lui scoppiò a ridere.
«Naturalmente la ragione è che avete un pezzo d'uovo sopra le labbra.»

Impallidendo, Helena afferrò il tovagliolo e se lo portò alla bocca rifilandogli uno sguardo tagliente. «Siete sempre molto galante.»
«Vi ringrazio.»
«Credo sia meglio ritirarci, non credete? Io credo di sì» disse prima che lui potesse risponderle. «Voglio riposare un paio d'ore prima di ripartire. Siete d'accordo?»
Rafe si alzò in piedi, annuendo.
Poi la avvicinò e le cinse la vita con un braccio solido, accompagnandola allo scalone principale. La sentì irrigidirsi contro la sua mano, e dovette frenare l'impulso di stringerla completamente fra le braccia. Cristo, che cosa gli stava succedendo?

Helena si staccò in tempo prima che lui finisse di divagare mentalmente, come se si fosse scottata.
Rafe estrasse una chiave dal panciotto e la infilò nella toppa, aprendo la porta. Fare conoscenza con la nuova stanza lo avrebbe distratto dai segnali inconfondibili che il suo corpo gli stava mandando riguardo a Helena.
La camera che si trovarono davanti era molto graziosa, con un grande letto che occupava il centro del locale. La tappezzeria color senape comunicò ad Helena un'aura di accoglienza e comodità che le fece passare il malumore. Il mobilio era piuttosto povero, ma Rafe aveva dormito in posti peggiori.

Helena si accinse a chiudere la porta quando si accorse che, sul pavimento, c'era la logora valigia di Rafe Ellington. Il presentimento più brutto che avesse mai provato la colpì, stordendola. Che cosa ci faceva lì quella valigia?
Si voltò di scatto e nello stesso momento lui chiuse la porta alle sue spalle.

«Proprio quello che state pensando» le sorrise soddisfatto, mentre tutto il suo corpo gridava per il desiderio impetuoso di toccarla. «Dormiremo lì, insieme. Non siete contenta?»

No!, avrebbe voluto urlare lei. Che cosa gli era saltato in mente?

«Non potete farlo! Non lo accetto. Io sto per sposarmi e voi… io… questa situazione è oltremodo sconveniente, signor Ellington!»

Le mancò il fiato per la frazione di un secondo. Rafe afferrò la sua valigia e la adagiò sul letto, cominciando ad aprirla.

«Purtroppo dovrete sopportare la mia presenza, milady» disse, enfatizzando con uno strano tono l'ultima parola. Poi, quando si accorse che Helena lo stava fissando più accigliata di prima, sospirò.

«È solo per una notte, Helena. Potete sopportare la mia vicinanza per una notte sola?»

Qualcosa dentro di lei fremette quando pronunciò il suo nome. Desiderò che lo dicesse di nuovo, perché il calore che si era sprigionato tra lei e Rafe in quel momento la stava facendo sentire… bene. La faceva sentire bene. Rilassata. E…

«Helena?»

Lei trasalì.
No, avrebbe voluto rispondere.

Ma «sì» fu quello che disse.

- IN REVISIONE - Cuore selvaggio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora