30. Marchiata

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Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse rimasto a fissare le fiamme, ad autocommiserarsi, a odiarsi. Forse ore, giorni. Aveva cercato di convincersi di averlo fatto per lei, perché era la cosa più giusta, perché uno come lui non avrebbe mai potuto offrirle un vero futuro. Per la prima volta, dopo anni, Rafe aveva dato sfogo alle lacrime. Dopo aver acquistato l'abito per Helena era risalito sul calesse ed era tornato nella sua terra, nella sua casina in mezzo al bosco dove sua nonna Agatha lo aveva riaccolto a braccia aperte. Gli aveva fatto tante domande, ma a nessuna lui aveva saputo rispondere. Il pensiero costante di Helena gli lacerava il cuore, la pelle, gli organi interni con la crudeltà di un demonio. Lei se n'era andata, aveva pensato. No, era stato lui ad abbandonarla. Doveva sentirsi perduta, presa in giro, stava sicuramente piangendo… Stava domandandosi se fosse davvero stato un regalo di Bayard Mellins, quel vestito, ma avrebbe capito realmente chi ne era stato il benefattore? Lui sospettava che si sarebbe posta delle domande, ma che, se il pensiero che fosse stata opera sua l'avesse minimamente sfiorata, lei l'avrebbe allontanato. Era giusto. Rafe l'aveva fatta soffrire, e meritava di soffrire in egual modo per mano di un amore che lo stava corrodendo nell'anima.

Adesso, immobile di fronte a quel camino, nonostante il calore, Rafe si sentiva come scolpito nel ghiaccio. Riusciva solo a fissare quelle fiamme, mentre la vecchia Agatha -zoppicante e malandata- poneva sul tavolino smussato un piatto di zuppa calda.
«Rafe, devi mangiare.»
«Non ho fame » esalò con un sospiro lento.
«Non importa se non ce l'hai. Mangia. » Rafe si alzò e si girò a guardarla. In poche settimane era cambiata molto, o forse era colpa dei suoi occhi stanchi che vedevano ogni cosa in un modo differente. Le rughe, sul volto di sua nonna, apparivano molto più accentuate, così come le occhiaie e i segni di una malattia sconosciuta che le aveva deformato un po' le dita delle mani. Un sorriso triste curvò un angolo della bocca di Rafe. Era sempre sua nonna, ma in quel momento sembrava più una madre. Si sedette stancamente e fece cenno all’anziana donna di fare altrettanto.

«Prima o poi mi racconterai che cosa ti è successo, vero? » La vecchia Agatha era sempre stata molto saggia. Rafe l'aveva sempre ammirata, così come Marcus, ed entrambi avevano imparato molto da lei, dopo che la loro madre li aveva abbandonati. Era naturale che si fosse accorta del suo malumore, che era andato peggiorando giorno dopo giorno. Era tornato a casa da una settimana e tutto ciò che aveva fatto era stato condannare se stesso e la donna che amava a una vita di infelicità e dolori. Dio, era così stupido! Non si trattava di onore, non era quella la vera ragione per cui le aveva detto di non poterla sposare. Era per la vita di miseria a cui sarebbe stata destinata, se avesse sposato un miserabile come lui. Aveva voluto risparmiarle quella sofferenza. Lei non meritava di soffrire. Meritava di vivere nel lusso e negli agi, meritava di essere condotta ai balli mondani, di danzare fino a perdere il fiato, di ridere e formare una famiglia da crescere in un ambiente sfarzoso. Non nella miserabile casa di un medico da quattro soldi. Non era quello che Rafe desiderava per lei.

«Quando il dolore sarà passato vi racconterò tutto, nonna. Ve lo prometto. »
Agatha lo guardò con gli occhi saggi e profondi dell'età. «Sai quanto me che questo dolore che senti non passerà mai, a meno che tu non faccia qualcosa che lo mandi via.»
Sì, la vecchia Agatha era davvero la donna più saggia e ragionevole che lui conoscesse, considerò mandando giù un cucchiaio di zuppa. Gli scaldò la gola e lo stomaco, ma non fu in grado di far sciogliere il ghiaccio che gli serrava il cuore.

***

Helena indossava la camicia da notte di seta che una coppia di vecchi amici di Bayard aveva elargito come dono di nozze al loro matrimonio. Non era riuscita ad apprezzarla, come non aveva fatto con nessuno dei ragali che erano stati fatti alla coppia felice. Sospettava che non sarebbe più riuscita ad apprezzare nulla, nella sua vita futura.

Era rimasta nella vasca per quelle che erano sembrate ore. Mary le aveva spazzolato i capelli e glieli aveva intrecciati dietro la schiena, profumandoglieli con degli oli dall’odore di fiori di campo. Doveva essere la sua prima notte di nozze. Era terrorizzata e tesa come le corde di un violino.

La porta si aprì senza che qualcuno avesse prima bussato. L'aria, nella stanza, sembrò cambiare repentinamente, come se un vento gelido l'avesse spazzata verso di essa. Sentì la pelle d'oca ricoprire la sua intera epidermide. Sapeva già chi fosse ancora prima di sentire quella voce che era in grado di annientare qualunque sua difesa. Non riusciva a respirare, ma si sforzò di farlo per non crollare. Adesso, senza Rafe, era più fragile che mai. Quest'uomo che era suo marito avrebbe potuto spezzarla con un dito. Probabilmente lei glielo avrebbe permesso. Era troppo debole, troppo stanca.

«Sei bellissima.» La voce di Bayard trasudava desiderio carnale. Helena avvertì un brivido lungo la schiena, e non rispose.
Ricordò che quella mattina aveva sofferto più di quanto si fosse aspettata. Aveva percorso la navata con tutta la dignità che era riuscita a racimolare, a testa alta, senza mai vacillare, un sorriso fittizio stampato sulle labbra.

Poi si era voltata a tre quarti. Aveva implorato Dio che lui avesse mentito quando le aveva detto che non avrebbe presenziato al suo matrimonio, aveva pregato di vederlo anche solo quell’ultima volta per imprimersi nella memoria e nel cuore ogni dettaglio del viso di Rafe, così da custodirlo per sempre come un tesoro prezioso. Ma non lo aveva visto. Come aveva promesso, non era venuto. Se da una parte il cuore di Helena si era spezzato, dall'altra aveva tirato un sospiro di sollievo: le aveva risparmiato la sofferenza di vederlo per l'ultima volta. Quello che lei non sapeva, era che Rafe aveva assistito al matrimonio dal misero spiraglio delle grosse porte di quercia, stringendo i denti per impedirsi di gridare, di commettere una follia. E allora Helena era tornata a guardare il parroco e aveva sussurrato un sì, lo voglio freddo e amaro, come il sapore dell’addio di Rafe, come la consapevolezza che, davvero, non lo avrebbe mai più rivisto.

E in quel momento, mentre le dita affusolate di Bayard tiravano i lacci della sua camicia da notte di seta, lei girò il viso dalla parte opposta e pianse lacrime silenziose, quasi prive di sostanza. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di guardarla negli occhi quando si fosse spinto dentro di lei. Non l'avrebbe data a nessun altro che non fosse Rafe Ellington. Anche se Rafe Ellington non c'era più, anche se tutto ciò che rimaneva ad aleggiare nall'aria calda della notte era il suo ricordo, per sempre chiaro nella sua mente. 

Avrebbe voluto gridare a suo marito che il proprio corpo non gli apparteneva, né gli sarebbe mai appartenuto; avrebbe voluto spingerlo via e tempestargli la faccia di schiaffi, per poi raccogliere le sue cose e fuggire in cerca dell'uomo che amava, trascorrere la vita insieme a lui, avere dei figli da lui, morire tra le sue braccia. Ma qualcosa, nello sguardo d’ossidiana, le gelò il sangue nelle vene fino a renderla incapace di pensare razionalmente. Aveva paura di cosa Bayard le avrebbe fatto. Con Rafe non ne aveva avuta. Ma non appena suo marito avesse scoperto che la sua purezza le era ormai già stata strappata, le avrebbe dato una lezione. Lo intuiva dai suoi movimenti esperti e decisi, dall’urgenza violenta con cui le tolse la camicia facendogliela scivolare lungo le spalle, dal modo in cui le afferrò il viso e la obbligò a guardarlo mentre la possedeva.

«Voglio che mi guardi. Voglio che mia moglie goda sotto di me e che urli il mio nome. Solo il mio nome. Non ti permetterò di dire qualcos'altro.» Quello di Bayard era un ordine categorico che lei avrebbe dovuto eseguire senza ribellarsi. «E voglio che tu mi dia un erede maschio.» 

C'era freddezza in quella voce, era un tono ferreo che nemmeno la lama di un pugnale avrebbe potuto scalfire. Helena avvertì un brivido di paura. Cosa sarebbe accaduto se non fosse rimasta incinta? Il terrore le serrò la gola.
Adesso erano sposati. Lui non avrebbe dovuto essere tanto violento. E nemmeno spaccarle il labbro quando, dopo essersi spinto dentro di lei, realizzò che non era più vergine. E non avrebbe dovuto nemmeno tapparle la bocca quando un grido le squarciò la gola. Ma lei pensò che chiunque, in quella casa, avrebbe potuto sentirla gridare e nessuno sarebbe corso in suo aiuto. Bayard era il padrone e come tale non poteva essere fronteggiato. Era diventata una preda, cadendo nelle grinfie di un predatore ben più temibile di quanto avesse osato immaginare. Era rovinata. Marchiata.
Morta.
Era morta dentro.

Sentiva contro lo stomaco l'organo di Bayard, che la stava distruggendo stoccata dopo stoccata, che la stava sottomettendo, rabbioso, crudele. Non riusciva a respirare, a pensare, a ribellarsi. La sua forza si era dissipata nell'attimo in cui Rafe l’aveva abbandonata. E nonostante cercasse di stringere le cosce, nonostante tentasse di reprimere il pianto, quello arrivò comunque e, come una stilettata in pieno petto, al centro del cuore, la uccise.

- IN REVISIONE - Cuore selvaggio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora