Scusami Smerald, ma il mio cervello ha dato i numeri

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Caro Smerald,

Martedì 29 dicembre 2015, ore 19.05

Smerald, ti chiedo umilmente scusa se ci sono state delle assenze, ma tutte hanno una valida giustificazione: non sono stata bene. E non parlo del malessere fisico, ma di quello mentale.

Più tardi ti spiegherò tutto. Adesso voglio parlarti di quello che per me è ritenuto davvero importante: l'argomento Merope Mcraven.

Io e Merope siamo diventate di nuovo buone amiche, anche se facciamo cose molto strane. All'inizio di dicembre eravamo ancora distaccate: a malapena ci salutavamo nei corridoi di scuola e durante le ore di lezione non ci degnavamo di uno sguardo. Certo, anche io ero arrabbiata con lei, e molto. Quello che ha fatto è un gesto terribile, credevo fosse mia amica, ma al contempo penso che sbagliare è umano, che non per forza dobbiamo etichettare le persone per quello che sono o hanno fatto in passato. E io voglio distinguermi dalla massa, da quelle che chiamo pecore. L'ho perdonata e tutto è stato strano e divertente e vomitevole! Si, hai capito!

Un ragazzo di classe aveva organizzato una festa per celebrare la "fine" della scuola e per dare il benvenuto alle vacanze natalizie. La festa era davvero molto bella: alcol, fumo, musica e così via. Insomma, uno sballo. Ho cominciato a ballare e non mi sono mai fermata. Merope se ne stava seduta su una poltrona, con il cellulare stretto fra le mani, in preda ad una conversazione accanita con il suo amico "tecnologico". Appena scatta "Space Oddity" volevo invitarla a ballare, però io ero già impegnata in una danza molto movimentata con un ragazzo di nome Gabriele, che mi stringeva a sé, palpeggiandomi le braccia e la schiena sino ad arrivare alle mie natiche. Io l'ho lasciato fare, anzi la cosa mi divertiva. Non ho provato niente a quel tocco alieno. Era come se un coltello mi trafiggesse la carne e il mio cervello insensibile non registrasse dolore. Okay, non so di cosa parlo, ma ci siamo intesi, no?

Va bene, non lasciarmi Smerald. Arriva la parte scioccante. Dopo un po' ho visto Merope ballare come una pazza isterica, mentre nella mano stringeva il collo di una bottiglia di vino bianco. Urlava e saltellava, muoveva i fianchi e faceva scattare le braccia in aria come un' indemoniata.

"Merope, andiamo via di qui. No, no tranquilla, non ce ne andiamo. Si, si, però ora dammi la bottiglia!"

Ho riso un poco nel vederla in quello stato: ero abituata ad una Merope più seria e rispettosa, non ad una Merope irrequieta e turbolenta. Mi piaceva. Merope, mi sei piaciuta tanto in quel momento. Non so, forse perché eri vulnerabile e potevo parlarti, o baciarti, o stringerti tra le mie braccia. Ma non l'ho fatto. Sono stata rispettosa.

Eri ubriaca fradicia quella sera.

"Venia, mi dispiace" hai detto subito dopo, sempre con la voce cantilenante. "Sei bellissima"

Poi ho alzato lo sguardo, intercettando i suoi occhi. Sembrava che invece di divertirsi avesse pianto, e l'alcol fosse stato solo uno strumento di sfogo.

Quelle poche volte in cui mi ubriaco, l'alcol mi fa l'effetto contrario: i miei pensieri non si affievoliscono, anzi, peggiorano, si moltiplicano, e il mio cervello diviene una mongolfiera sulla quale posso volare.

Comunque, i suoi occhi arrossati mi fissavano intensamente, colmi di una luce soffusa che si mischiava alla tenue oscurità della stanza in cui eravamo.

"Mi dispiace"

Sei stata tu a baciarmi, Merope. Le tue labbra come zucchero filato. Il sapore del vino che si mischiava a quello del tuo essere e, credimi, il sapore del tuo essere è il migliore che avessi mai assaggiato. Si, ti ho assaggiata Merope. E sei diventata come una sostanza radioattiva per me. Mi hai fatto male, ma anche bene. Ho sentito il male dentro di me, ma anche il bene. E da quel momento in poi ho sentito fin dentro le viscere che sarebbe arrivato il giorno in cui mi avresti spezzato il cuore. E io lo aspettavo anche.

"Ti amo" hai sussurrato. Poi mi hai vomitato sulle scarpe. MEROPE, ERANO NUOVE. MA COSA?! DAVVERO?

Io ho subito mollato la presa e ti ho accompagnata a casa. Non so se lo ricordi. Forse no. Spero che tutto duri. Adesso va tutto bene con lei. Anche se le nostre labbra non si sono più sfiorate.

Ora ti racconto, Smerald, perché il mio cervello è andato a puttane. È successo durante S. Stefano, il 26 dicembre. Tutto è avvenuto di sera. appena tornata a casa dopo un pranzo durato tutto il pomeriggio a casa di mia nonna, a Lecce.

Non è questo l'importante. Ciò che davvero importa è che prima di addormentarmi mi sono sentita sopraffare dall'oscurità. La sentivo avvicinarsi, come una nebbiolina densa che si approfittava di me. Sentivo l'oscurità giocherellare con i miei capelli, con i miei occhi. La sentivo sibilare, parlarmi. Poi l'oscurità si infilava fra le dita dei miei piedi, sino a salire alle cosce e poi l'ho sentita anche lì. SI, proprio lì, Smerald. Ho gridato, come impazzita. Il mio acuto gridolino di dolore aumentava man mano che l'oscurità s'insinuava di me, come un demone malvagio. Sono caduta dal letto, mentre una schiuma bianca sgorgava dalle mie labbra.

I miei genitori mi hanno portata subito in ospedale. La tristezza che mi aveva assalito, il dolore - vero e autentico - non lo dimenticherò mai. L'animale bastardo mi ha lasciato un buco profondo alla bocca dello stomaco, e questo animale emette sempre quei versi profondi e gutturali e io posso sentirlo, vedere le sue sporche sagome nel grigiore della sera e nelle tenebre notturne, quando non riesco a dormire, quando il sonno si allontana e non torna.

I medici dicono che ciò è provocato da un trauma che ho avuto da bambina. Ma io non ricordo. Non riesco a ricordare. Perché ho un cervello così? Cosa c'è in me che non va? Perché tutto ciò che tocco si frantuma?! Riesco solo ad intercettare, negli abissi ignoti del mio cervello, dei piccoli gridolini di una bambina, e poi un altro gridolino, più profondo.

Forse il verso gutturale che sento nella notte è di un ... uomo. Non so. Ho paura, Smerald. Non voglio ricordare, se ciò significa tristezza e dolore.

Devo prendere dei farmaci. Delle droghe, per così dire. Ma io non le prendo. Non voglio che una pillola mi ottunda il cervello, impedendomi di vivere davvero.

Sono in pochi coloro che mi sono venuti a trovare in ospedale. Merope è venuta. E mi ha sorriso. E quel gesto, durato un millisecondo, mi ha fatta stare bene. Davvero bene.

Tua,

Venia

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