Prima di morire ho visto le tue fossette - al Gay Pride parte 2

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Un attimo. Non sparare. Ti prego.

Sembrava avergli detto questo Venia Giannuzzi al terrorista quel giorno al Gay Pride, prima che le gettasse i proiettili nello stomaco.

Una ragazza aveva visto tutta la scena. Vide Venia venire scaraventata da una parte all'altra dalle persone che correvano, cercando rifugio, urlando, proteggendosi il capo con le braccia. Le potevi udire benissimo, quelle grida di disperazione, che ti entravano dentro e laceravano qualunque cosa. Dai ad un essere umano la sofferenza più totale e forse qualcosa dentro di te

(la pietà!)

si, beh, vedrai qualcosa accendersi dentro di te.

Quella ragazza vide il terrorista premere il grilletto, mirando allo stomaco o forse anche al cuore. Quei proiettili erano più forti di qualunque altra cosa si potesse immaginare, ti sospingevano all'indietro e il corpo di Venia era sospinto da forti tremiti convulsi, ed era stata talmente forte da resisterne e non cadere. I suoi capelli che svolazzavano in aria, il corpo arcuato, le braccia tese in modo innaturali, e quello sguardo che lentamente iniziava a piegarsi in contrazioni oscure. Quando il terrorista aveva finito di sparare, si era allontanato, aveva levato il fucile in aria in senso di trionfo, e se n'era andato, lasciando Venia sospesa come a mezz'aria, trattenuta da una mano fantasma o spettrale. Aveva indietreggiato per qualche passo. Un ultimo, soffocato gemito. Sputò del sangue, quello stesso sangue che stava colando dalla sua pancia, macchiandole i vestiti azzurri e atterrando sul pavimento sconnesso e pullulante di sporcizia in chiazze grosse come ragni. E la gente continuava a gridare e a quella gente non importava di Venia, a loro importava solo di pararsi il culo da quegli sporchi assassini.

Il corpo di Venia cadde, e il suo capo urtò violentemente il terreno, producendo un crack disgustoso e vomitevole che faceva pensare alla spaccatura del cranio. E la gente continuava a passarle sopra, calpestandole il seno, il viso, la pancia, la vagina. Continuava. Ancora. Ancora. E ancora.

Le tue mani in un istante. Posso vederti come ad occhi chiusi, attraverso questa nebbiolina densa che si sta creando ai margini del mio campo visivo.

All'improvviso l'infanzia, l'adolescenza, le dita sottili di Merope, le fossette sulle guance di J – Smith, il suo cappello con la visiera all'indietro.

Quello che ho provato per te non si affievolisce neanche adesso, che sono a terra, praticamente col sangue che sgorga maledettamente, e sento che esce fuori dalle mie carni, e il sangue, questa sostanza appiccicaticcia, mi ha sempre urtato un fastidio immane. 

Caro Smerald, ti scrivo ...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora