Capitolo 2 - Stephen King è la mia vita

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Mancavano pochi giorni alla fine della scuola e finalmente non sarebbe stata più costretta a guardare le foto in dimensioni notevoli di Venia, incorniciata da fiori e peluche e candeline. A guardarla le si piegò il cuore in un movimento brusco e doloroso che si cosparse sino allo stomaco, dove si sentì pungere da una fitta tremenda e incandescente. Poi una sensazione di gelo invernale che si irradia fino alle ossa, un peso cattivo che ti impedisce di camminare, quella pesantezza che sapeva di giorni infiniti, di pensieri affilati come lame di coltelli, di lacrime copiose e occhi brucianti, rossi e demoniaci.

Che cosa inutile. Nessuno sapeva chi fosse in realtà. Prima di morire hanno solo voluto spettegolare cose cattive su di lei.

Le voci in quei giorni correvano: quella lì, a mio parere, fa la prostituta.

Ma guarda come si pavoneggia

Chi si crede di essere, è soltanto una stupida lesbica.

Come fanno a non piacerle i ragazzi? Sono così teeeenerii.

Quanto è cattiva la gente, a volte. E ora che era morta tutti quanti sussurravano: poverina, non se lo meritava davvero.

Che cosa ingiusta, una ragazza piena di vita.

E state calmi. Altre trenta persone erano rimaste coinvolte nell'attentato: persone grandi, adulte o adolescenti provenienti da varie parti della Puglia.

Merope vide una foto, assolutamente da brividi, di una coppia di giovani ragazzi accasciati al suolo, stretti in un abbraccio privo di vita, con la compagnia del loro sangue che sgorgava dalle ferite fresche.

La ricordava qualche mese fa: radiosa, i capelli biondi svolazzanti al gelido inverno, gli occhi azzurri che facevano sognare e ingannare perché a volte Venia era anche molto vanesia. E dietro a quei stessi occhi si celava il dolore, nascosto da strati di maschere colorate di allegria. A volte Merope aveva il cessante desiderio di ritornare nella sua patria, negli Stati Uniti, nell'Indiana.

Mi manca. Non ci posso fare niente. Mi manca.

Ma oramai non poteva più dirlo né poteva sfiorare con le nocche le sue guance paffute e morbide.

Venia forse volava felice in un universo parallelo, a patto che esistesse.

***

Si stava incamminando verso casa sua, con il sole cocente in cielo che mirava alla sua nuca. Cominciò a sudare e si scostò i lunghi capelli neri dalla spalla.

Perché sei dovuta morire proprio tu? Non mi pento di quello che c'è stato fra di noi perché è stato dolce, davvero ... ma io volevo di più. Soprattutto nelle ultime settimane.

Si svegliò dai propri tormenti e dai propri sogni quando un clacson la fece sussultare.

<<Hey, Merope!>> squittì una voce docile, quasi stanca.

Una signora sciupata sulla quarantina, con un velo che le copriva la pelata - molto probabilmente ha il cancro - parcheggiò lì vicino, scese dalla macchina e si avviò da Merope.

Oltre a non avere i capelli, la signora era distrutta e sconvolgenti rughe le solcavano la fronte e i lati della bocca, ridotta a una fine fessura. La sua pelle, simile a cartavetrata, riluceva di un pallore sconosciuto agli occhi di Merope.

Era la madre di Venia. Si, ora la riconobbe. Riconobbe i suoi occhietti piccoli e acquosi, brucianti.

<<Scusami, Merope>> Il suo respiro affannato preoccupò la ragazza, che si allarmò subito.

<<Tu devi essere l'amica di Venia>> sorrise, goffa, <<si, mi ricordo di te. Parlava sempre di te.>>

Merope annuì e la mamma di Venia cercò qualcosa all'interno della sua borsa fradicia.

<<Ho saputo che eravate più di due semplici amiche>>. Tirò su con il naso e finalmente riuscì a prendere ciò che stava cercando con tanto clamore.

<<Sai, non sono mai stata una madre che metteva il naso nelle cose di sua figlia>> strinse gli occhi e si passò una mano sulla fronte sudata. <<Ma io dovevo capire alcune cose, perché nelle ultime settimane era strana. E ho trovato questo>> indicò un quadernetto che stringeva nell'altra mano. Merope l'aveva già visto. Aveva visto quel diario. Ogni tanto Venia se lo portava con sé. Era il suo diario dei segreti.

E poi il gelo allo stomaco ritornò e si sentì cedere le ginocchia, che iniziarono a tremare. Aveva paura. Aveva paura di quello che avrebbe potuto scoprire all'interno di quel diario. E poi non voleva leggerlo: non voleva invadere la sua privacy.

<<Mi spiace, signora, ma non voglio invadere la privacy di sua figlia, mi scusi ...>>

<<Ma no, no! Lo scrive esplicitamente in una delle pagine ...>> ingoiò un singhiozzo, poi riprese: <<voleva che le persone a lei più care leggessero il diario. Le parole recitavano: "Se mai un giorno dovessi lasciare questo mondo fatato, voglio che le nostre parole, caro Smerald, vengano lette dalle persone che più amo. Io mi fido di noi.">>

Come faceva a scrivere cose del genere?

<<Voleva fare la scrittrice, la mia bambina>> guardò il diario e ricacciò le lacrime. <<E io non l'ho mai incitata a pubblicare. Sempre le dicevo che era un mestiere difficile, e che non avrebbe avuto fortuna, aah!>> sbuffò, poi porse il diario a Merope.

<<Sta tranquilla, era davvero felice, riuscivo a percepirlo dalle parole>>

Merope strinse il diario e mormorò: <<Appena avrò finito, glielo porterò indiet...>>

<<Ho intenzione di pubblicarlo>> la interruppe, brusca. <<Non mi rimane molto da vivere ormai, e vorrei lasciare un ricordo di mia figlia a questo mondo. Far sapere alla gente che lei è passata da queste parti.>>

A Merope bruciarono gli occhi. Distolse lo sguardo e squittì: <<Grazie.>>

La signora danneggiata dalla disperazione sorrise. Poi se ne andò.

Merope restò bloccata, con il corpo che pesava come un macigno. Tracciò con le dita gli spigoli e le dimensioni del piccolo diario. Dei fiori e dei cuori sbucavano in ogni angolo e sulla copertina una frase recitava: "Stephen King è la mia vita. Se sei uno stupido umano privo di fantasia, ti prego di non toccare questo diario. È maledetto. Le tue dita potrebbero risentirne."

Merope sorrise, stringendo a sé il diario e annusandone il profumo.

Ti giuro che avrò tesoro di queste parole, Venia.

Caro Smerald, ti scrivo ...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora