17 - In my head [DAMIANO]

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Le cose, spesso, semplicemente smettono di funzionare. È andata così anche con Lucrezia, d'altronde. Il fatto è che io credevo veramente che con Federica potesse esserci un futuro, che saremmo stati insieme a lungo. Non era la mia ragazza, non volevamo una relazione. È terribile parlare di lei al passato, come se fosse passata. Ma certe cose non passano mai.

Abbiamo passato due mesi trasformandoci in sconosciuti, il giorno dell'esame solo parole di formalità. Anzi, banalità. Scambi di battute da protocollo.

«Ciao! Tutto apposto?»
«Sì, tu?»
«Sì»
«Pronto per l'esame?»
«Sì, dai. Te?»
«Certo. A casa, tutto bene?»
«Tutto bene. Ti salutano»
«Ricambia»
«In bocca al lupo, allora»
«Anche a te».

E così è finita. Né un saluto più tardi, né la promessa di rivedersi un giorno o di un messaggio al più presto. Fugace come vento tra le dita.

Lei è sempre stata così. Incomprensibile e sfuggente. Ora è difficile trovare una causa reale e concreta del nostro allontanamento, sono state più cose insieme. La sua improvvisa freddezza, la mia di conseguenza – spaventato da chissà cosa – e tutto il resto.

A volte penso che mi manca. È difficile che io provi nostalgia per qualcuno o qualcosa che non fa più parte della mia vita. In due mesi è successo tutto così in fretta, ed è triste pensare che fino ad allora era una componente importante della mia vita.
E mi manca, mi costa ammetterlo. Mi manca entrare all'improvviso in casa sua e trovarla a fare cose assurde, entrare in quella casa che ormai era anche un po' la mia e osservare i colori e i dettagli dei suoi quadri, pezzi di puzzle del suo passato criptico. Mi mancano i momenti con lei: le sbronze notturne e la colazione insieme la mattina dopo, la spesa in quel supermercato nascosto tra i palazzi, i pomeriggi che cercava di inculcarmi in testa qualche lezione di storia o archeologia, i momenti in cui ballava, dipingeva; il sesso è quello che mi manca meno di tutti. Ho trovato persino un suo capello sul cappotto. Non c'è più niente che non me la ricordi. Dal quadro che dipinse per il mio compleanno appeso in camera mia, alle foto su Instagram, alla cartella "Stupida" che ho sul telefono con le sue e le nostre foto.

E adesso se n'è andata, dalla mia vita e da Roma. Sento una rabbia di sottofondo nei suoi confronti.

Un giorno m'ero deciso ad andare a parlarle, prima che quella rabbia latente si manifestasse – come poi ha fatto diventando odio.
Ricordo che andai a casa sua, suonai il citofono ma non mi aprì. Ho suonato a Valentina: mi ha aperto, ma il fatto che fosse uscita dal suo cancello per venirmi incontro sulla strada sterrata mi ha fatto allarmare, per questo le ho chiesto:
«Ci sta?» con un macigno nel petto.
«No. È andata via»
E un po' me l'aspettavo. Avevo quella tremenda sensazione e ho sperato fino all'ultimo che mi sbagliassi.
«Dove?»
«A casa sua».
Lì. In quell'esatto momento, l'ho odiata. La rabbia latente per la sua freddezza si manifestò, e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Lì l'ho odiata, e anche un po' di più perché odio anche me per colpa sua.


* * *


Mi risveglio in macchina, sdraiato sul sedile in modo scomposto. Ho un mal di testa assurdo e una nausea tremenda. Victoria dorme sul sedile vicino al mio, Ethan e Thomas sono dietro. Dormono ancora tutti. Sorrido perché Ethan è l'unico a non essersi preso una sbronza, ci ha fatto da fata madrina per tutta la notte. È la prima volta che una delle mie serate da ubriaco non finiscono col sesso.

Controllo il cellulare, la cui lucina in alto a sinistra mi segnala nuovi messaggi e chiamate. Mia madre, principalmente, e mio fratello. Non li avevo avvisati, ci credo che si siano preoccupati. Mando un messaggio veloce di scuse e di spiegazioni. Apro Whatsapp controllando se ci sono nuovi messaggi, ma noto che la connessione è spenta. Prima che possa accenderla, noto un messaggio non inviato a Federica.

Mi prende un colpo. Apro la chat – fino a ieri sera archiviata, e ora prima tra tutte – e leggo il messaggio che grazio a dio non è stato mandato: «Ho bevuto 'n botto ma non riesco smette de pensatte manco pe' 'n secondo».

Porca troia.

Lo cancello di corsa. In realtà non so perché lo sto facendo: mi manca, che male ci sarebbe a mandarglielo? Eppure non sento che sarebbe gradito. Se voleva risentirmi mi avrebbe di certo scritto, e io non voglio importunarla.
Non voglio importunarla, ma non voglio neanche scriverle. Mi manca, ma non la voglio sentire. Non la voglio neanche più vedere. Se lei non si fosse raffreddata così con me, io non mi sarei allontanato e lei non se ne sarebbe andata.

Ho il pensiero fisso di come sarebbe andata se, arrivati a quel bivio, avessimo preso la direzione giusta. E forse è per questo che la mattina mi sveglio pensando che un po' la odio. Odio lei e odio me.
Forse un po' avrei dovuto aspettarmelo, entrambi sapevamo de non esse capaci a resta', a tenesse stretti.

«Je stai a scrive?» mi chiede la voce assonnata di Vic.

«No, no. Stanotte je stavo pe' mannà un messaggio da ubriaco, lo stavo a cancella'»

«E che j'avevi scritto?»

«Che non smettevo de pensalla manco da sbronzo» rispondo, a bassa voce.

La odio. La odio anche perché non esce mai dalla mia fottuta testa. Vattene, cazzo, lasciami stare.

Lei sorride, in quel modo un po' felino che ha. «È carina come cosa»

«No, non lo è»

«Perché non lo voi ammette?» mi chiede con una punta di severità.

So bene a cosa si riferisce.

«Non c'è niente da ammettere, Vic, niente»

Lei sporge le labbra, fissando il tettino della macchina. «'o voi sape' che penso io, 'nvece? Penso che sete du' stronzi. Ma de che c'avete paura? A Damia', c'avete vent'anni e giocate a "acchiapparella" come i regazzini»

«Non stamo più a gioca', forse 'n hai capito. Se n'è andata. Ciao core, mo sta in qu'a città de merda che chiama casa. – schiocco la lingua sul palato, metto in moto la macchina. – Ce restasse, io non la vojo più manco senti' nomina'».

Che già c'è la mia testa a ricordarmela senzasosta.    

I WON'T SLOW DOWN ▸ Damiano David [Måneskin]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora