19.2 - Away [DAMIANO]

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Nei miei momenti di debolezza – piuttosto frequenti, in realtà – vado a guardare il suo profilo Instagram. Non lo usa neanche più... Cazzo, mi sento uno stalker masochista. Perché lo faccio? Mi fa solo del male continuare a guardare foto. Mi ha voluto fuori dalla sua vita, se n'è andata per farmelo capire una volta per tutte, non ho alcun diritto di impicciarmi così.

Mi viene da piangere se ci penso. È tutto così difficile. Quando ha cominciato a diventare complicata, tutta 'sta situazione?

Vorrei urlare nel cuscino per la frustrazione, invece mi limito a battere il pugno sul materasso vicino a me.

Inspira. Espira.

Non riesco a farmi una ragione del fatto che non mi vuole più. Forse è perché sono un fottuto narcisista, o forse c'è stato troppo tra di noi e semplicemente non sopporto l'idea di non poterle – e volerle – neanche più parlare. Quanta colpa che ha lei, e quanta ne ho io.

Sono combattuto come mai lo sono stato in vita mia, le mie emozioni fanno a cazzotti.

Sul suo profilo ci sono foto con un paio di amiche, ma prevalentemente di disegni e quadri. Talvolta anche di Ninja e Jupiter. Ma anche la sua arte ha qualcosa di diverso: non ci sono più i dettagli. Sono quadri astratti, con colori scuri. Mi turbano.

Respiro. Forse dovrei scriverle perché, dio, non scrive nemmeno le descrizioni sotto le foto.
Apro Whatsapp, indeciso. È online. Cazzo ci fa online? So' le tre de notte.
"Roma nun è 'n granché senza de te".
Non lo è, no. Anche la mia vita, un po', ha perso di colore. C'ho la vita che volevo ma lei non ce sta più. È tutto un po' più cupo. Come i suoi quadri.

Giro spesso a Porta Portese, come se stando tra quei mercatini possa sentirla di nuovo vicina. Possa rivederla con i skinny jeans e il crop top di fronte ad una bancarella di bigiotteria. Invece, ogni volta che mi guardo intorno nella folla, mi accorgo solo che non c'è nessuno che sorride come lei. Da stronza, da bambina innocente, da qualcuno che vuole fregarti ma ti chiede il permesso per farlo.

Mi sto deprimendo, non sono mai stato così sentimentale. Manco per Lucrezia ho perso la testa così. Mai, per nessuna. Che cazzo c'ha lei di più? Anzi, che c'ha lei in generale? Che me sta a fa?

Io dovrei dormire, non pensare a lei. Sono le tre e mezza di notte, cazzo, domani ho un esame e poi devo rinchiudermi in sala prove con i ragazzi.
È da un po' che non dormo bene perché non smetto di pensarla e mordermi il fegato, in effetti. Forse la cosa si è acuita ultimamente, col pensiero dell'esame. Forse la incontrerò.

*

Qualcuno mi viene a sbattere addosso. Trattengo uno sbuffo seccato e abbasso la testa per scrutare la creaturina che si è scontrata con me.

Oh no.

Mi basta vedere una sola cosa: gli occhi. Non hanno niente di speciale nel colore, sono castani e circondati da ciglia lunghe e folte, scure come i capelli. Ma sono grandi, allungati, hanno quella forma esotica che conferisce loro uno sguardo malizioso e sensuale. Li riconoscerei tra mille. Occhi che hanno turbato i miei sogni.

Le foto non le rendono giustizia. Le foto sono troppo piatte, non imprimono lo sguardo come meriterebbe. C'è un mondo dietro quelle iridi castane.

«Ehi» le sussurro. Credo di farlo, almeno, mi sento scosso.

Uno sguardo, e sono andato già knock-out.

Jeans chiari che aderiscono come una seconda pelle sui fianchi, ho voglia di stringerli e attirarla a me; una canottiera di pizzo che, anche se traforata, non lascia vedere praticamente un cazzo; converse bianche, sue amiche inseparabili.
I capelli selvaggi sono stati quasi domati da un mollettone dietro la testa che mette in evidenza la forma del viso e i grandi orecchini a cerchio, la frangetta è sempre lunga fino alle sopracciglia ma la sposta di lato ora, e trovo che le stia anche meglio. Gli orecchini sono quelli che le trovai quando ci incontrammo a Porta Portese.
Ha i polsi coperti da bracciali rigidi e una collana con una pietra viola tagliata irregolarmente e chiusa in una gabbia di filo d'oro.

Le ho fatto le lastre, accidenti. Però anche lei mi sta fissando, un po' per uno.

«Ciao. – risponde alla fine. – Tutto bene? Hai la faccia stanca»

Certo che sono stanco, non mi lasci dormire. Mi manchi.
Mi gratto il naso. «Non dormo bene ultimamente. – le lancio un'occhiata. – Tu come stai?»

Lei ha uno sguardo incerto, poi abbozza un sorriso che non coinvolge lo sguardo. Un sorriso brutto. Non perché lei sia brutta o perché quel gesto lo sia effettivamente. Ma se il suo sorriso non coinvolge gli occhi, non è lei. È bellissima proprio per quello sguardo ridente che ha. Ora... è spenta.

«Sto. – è la sua criptica risposta. – Come è andato l'esame?»

Schiva l'argomento come vento tra le fessure, segno che non vuole parlarne e non vuole farsi fare altre domande a riguardo. Mi mordo il labbro, perché vorrei mordere lei. «Boh, bene penso»

«Te lo auguro davvero» stavolta sorride sul serio. Coinvolge lo sguardo.
La trovo stupenda. Da spaccare il cuore. Quegli occhi... quegli occhi che me incendiano dalla testa ai piedi. Ma come faccio a stare senza neppure sfiorarla?

«Grazie. – le rispondo, piano. – Ti sta meglio la frangia così» mi lascio sfuggire. Ma non mi importa, alla fine.

«Grazie. – fa lei. – Io vado»

Le afferro un braccio mentre mi passa accanto. Un gesto totalmente involontario. Ha guidato il corpo. Io l'avrei lasciata andare, dopotutto è quello che vuole.
Il contatto con la sua pelle mi accende. Devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per non sbatterla al muro e accanirmi sulle sue labbra.

«Tornerai a Roma? Fissa, intendo» domando piano, scoccandole un'occhiata di sottecchi.
Non sopporto più saperla lontana. Mi esce un tono di voce strano: è perché mi sto trattenendo dal dare spettacolo con lei di fronte a tutti.

Federica non mi guarda. «Sì. Settembre, ottobre» la sua risposta è un sussurro.

Arrivo a tanto così dal cedere all'istinto. Ho fame di lei, della sua bocca; vorrei baciarla ancora, in ogni angolo del viso, scoprirla di nuovo, sentire se è rimasta la mia Federica. Sentire se lei prova lo stesso che provo io.

Come sarebbe andata se avessimo preso la direzione giusta? Se invece de voltatte le spalle t'avessi detto 'resta'? Non è vero che te odio, non è vero, è che manchi da tanto e c'ho paura de vedette sorride sulle labbra de qualcun altro. Eppure non so se per te è lo stesso, perché te ne sei andata, e io non sono nessuno per costringerti a restare. E forse tu sarai più felice se ti lasciassi andare, anche stavolta.

Le lascio il braccio, controvoglia. La sua pelle mi dava una scarica elettrica, ora è come se avessero staccato la spina. «Va bene. – le dico, atono. – Buon rientro»

Mi incammino, le do le spalle mentre me ne vado. Mi viene in mente il mito di Orfeo ed Euridice, ma io non mi giro a guardarla e lei non mi segue né sarà con me all'uscita dell'Ade. Lei è libera, non starà con me.    

I WON'T SLOW DOWN ▸ Damiano David [Måneskin]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora