Capitolo 9

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Mi sveglio imperlata di sudore e con il cuore a mille.

Non mi abbandonerà mai la sensazione di star sbagliando terribilmente tutto.

D'improvviso l'immagine di mio padre che mi urla in faccia si focalizza nella mia testa, ma non fa paura. Non più.

Con il tempo sembra che le ferite si siano rimarginate anche se mi capita spesso di rivederlo tra le persone che incontro per strada.

Mio padre era un uomo dal bell'aspetto, alto e ben piazzato. Aveva dei folti capelli castani e degli occhi tanto scuri quanto profondi.

Era il mio Cavaliere, il mio protettore, eppure per quanto mi volesse bene ecco che cosa ha dovuto fare. Per colpa mia e del mio aspetto si è ritrovato a dover togliere alla sua unica figlia la cosa che aveva di più caro: la sua verginità.

Avevo 13 anni quando le sue mani entrarono in luoghi dove nessuno era mai arrivato, avevo 13 anni quando entrò dentro di me con così tanta forza da farmi piangere e urlare, avevo 13 anni quando mio padre decise di togliermi un pezzo della mia ingenuità.

Avevo 13 anni quando tutto è cominciato.

Perché l'incubo continua, continua ogni giorno e ogni notte.

Mi alzo dal letto e decido di fare una doccia. Passo davanti alla camera accanto alla mia e solo adesso mi ricordo di chi dorme nella stanza accanto.

Apro lentamente la porta e mi incanto a guardare la bellezza di questo dio greco: il suo respiro è regolare e i suoi capelli sono così arruffati che mi immagino le mie mani tra la sua chioma.

Mi beo ancora della sua bellezza e poi mi avvio in bagno per farmi una bella doccia calda. L'acqua scivola sul mio corpo e mi riavviva. Deve essere passata una buona mezz'ora quando chiudo il getto d'acqua.

Controllo l'ora sul mio cellulare e noto con stupore che sono solo le cinque del mattino. Mi vesto velocemente e lascio un foglietto sul comodino della camera di Diego.
Sorrido nel rendermi conto di aver denominato "sua" quella camera.

Prendo le chiavi di casa e inizio a camminare per le vie di Roma. La città è dormiente e i rumori tipici della capitale sembrano affievoliti. Si sente addirittura il cinguettio degli uccelli che hanno il nido nell'albero al di là del marciapiede e li ringrazio silenziosamente per tenermi compagnia.

I momenti più belli della giornata sono proprio questi: quelli in cui puoi vedere una città in eterno movimento che si prende una pausa da tutto quel caos.

Il sole non è ancora sorto e solo le luci dei lampioni illuminano le vie del mio quartiere. Cammino senza una reale meta e non appena noto un bar all'angolo aperto mi ci fiondo dentro in cerca di calore.

Il locale ha un ampio bancone e ammiro con l'acquolina in bocca i cornetti appena sfornati. Le pareti color pesca rendono l'ambiente confortante.

Ringrazio con un sorriso il cameriere che mi porge un cappuccino con un cornetto alla crema e me ne sto tranquilla fino alle 6.30 del mattino.

Esco dal bar quando il sole sta sorgendo e mi prendo un po' di tempo per gustarmi questa bellezza della natura. Il sole inizia ad impossessarsi del cielo e mi rendo conto di non essermi mai fermata a guardare questo cielo tinto dai mille colori.

Il vento scompiglia i miei capelli e mi spinge a chiudere gli occhi. Sento la città svegliarsi ed è una sensazione dannatamente bella.

Cammino ancora un po' fino ad arrivare davanti alla sede dell'industria Rainaldi.

Chissà se Daniele avrà ancora l'abitudine di essere il primo a venire in azienda anche adesso che è il capo.

Da lontano vedo un uomo in giacca e cravatta che scende dalla sua auto con una valigetta in mano e gli corro incontro.

Le mie esili braccia stringono il corpo di un uomo di 45 anni. Lui mi scruta un attimo e poi realizza.

«Mia piccola Dafne!» mi saluta e mi stringe forte a sé.

«Ti sembro ancora tanto piccola?» gli domando con un finto broncio in faccia.

«Non farci caso, è l'abitudine» mi dice lasciandomi un bacio tra i capelli.

È ancora un bell'uomo; Daniele tenta di tenere a bada i suoi capelli ricci che, anche se sono più corti di un tempo, sono ancora ribelli. La folta barba bionda gli dona un'aria da "grande uomo d'affari".

È imponente, ma nonostante la sua altezza non posso far a meno di pensare a quanto sia buono.

«Vuoi vedere come procede la tua azienda?» mi chiede lui.

«Sai che mi fido molto di te. Volevo solo vederti, mi sei mancato» gli rivelo.

«Carlotta sarebbe felice di vederti!» mi dice lui.

«A proposito di Carlotta.. come procede la gravidanza?» gli domando incuriosita.

Carlotta è la moglie di Daniele da circa tre anni ed è al quinto mese di gravidanza.
Daniele ha sempre desiderato avere una piccola o un piccolo Rossi da stringere tra le sue forti braccia.

«Tra due settimane ci sarà una festa per festeggiare i dieci anni dell'azienda e mi aspetto che tu ci sia, mia cara>> mi dice Daniele, ma io lo guardo triste.

«Non voglio essere il nuovo animale da circo. Voglio solo essere lasciata in pace>> gli rivelo.

«Ti ricordo che sei l'unica erede di tutta questa fortuna. Porta qualche amico se non vuoi stare da sola» mi dice Daniele.

Ora che ci penso potrei chiedere ai ragazzi di accompagnarmi.

Penso a Diego e mi preoccupo della reazione che può aver avuto non trovandomi a letto a dormire.

Prendo il telefono e noto 6 chiamate perse e un messaggio, tutte da parte del mio leone.

"Non so se vengo a scuola, prendi appunti anche per me" sul serio
Dafne? Te ne vai e mi lasci questo misero biglietto? Dimmi dove sei e
ti vengo a prendere subito.

Proprio mentre finisco di leggere questo messaggio mi vibra di nuovo il telefono.

Dafne rispondimi.

È sempre Diego. Forse si è arrabbiato.

Decido di non rispondergli e di tornare a casa con calma.
Saluto Daniele e gli prometto che penserò alla festa.

Cammino un po' e mi ritrovo davanti alla mia vecchia casa.
E mi si ferma per un attimo il cuore.

Il capitolo è un po' più lungo del solito!

Dafne si dà la colpa per l'atteggiamento di suo padre nei suoi confronti..

Vi piace il personaggio di Daniele Rossi? Come vi sembra?

E il nostro Diego si sarà arrabbiato con Dafne?

Cosa vi aspettate nel prossimo capitolo?

A presto! ❤

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