Capitolo 10

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Ed eccola qui, davanti a me, la villa in cui ho vissuto per tredici anni.

Sono davanti al grande cancello in ferro battuto ormai arrugginito e faccio un passo indietro a guardare lo stato di questa casa ormai abbandonata.

Non ho avuto il coraggio di venderla o di affittarla. Questa casa rappresenta tutto per me: è stato il posto in cui ho vissuto i momenti più belli, ma è proprio lì dentro che si sono consumati i peggiori crimini.

Solo io so quello che hanno sentito quelle mura, i miei pianti e le mie urla non sono mai stati ascoltati da nessun altro. È il luogo dove sono nati i miei peggiori incubi.

A guardarla adesso non è poi così bella. Il giardino è incolto, gli alberi di pesco che abbellivano il viale sono ormai secchi e il telo che ricopre la piscina è logoro e usurato dal tempo.

Mi tremano le mani a vedere quella casa degli orrori.

Controllo se con me ho ancora le chiavi e, una volta prese in mano, il dubbio s'insinua dentro di me: entrare o non entrare.

Poi mi ricordo il motivo per cui sono ritornata in questa città: devo distruggere i miei demoni ed è quello che ho intenzione di fare.

Ho paura e non lo nascondo, ma so che è la scelta giusta da fare.

Con le mani tremolanti entro nella mia vecchia casa e tutti i ricordi riemergono a galla.

Mi sembra di rivedere mamma che rincorre una piccola bambina di sei anni che si nasconde dietro un albero. Siamo felici e un sorriso nasce spontaneo nel rivivere quella scena.
I suoi occhi azzurri sono espressivi e pieni di vita, il suo sorriso è smagliante e contagioso e i suoi lunghi capelli biondi gli incorniciano il volto.

Con il cuore un po' più leggero mi avvicino verso la porta di casa e, una volta oltrepassato il salone, mi avvio verso la cucina cercando di immaginarmi l'odore della torta ai mirtilli che tanto adoravo mangiare.

Ripenso a quando Anna è entrata a far parte della famiglia e quando si è deciso di comune accordo che mamma non sarebbe più entrata in cucina; mia madre inizialmente si è offesa ma poi ha capito che non si poteva continuare a mangiare le sue schifezze.

Dopo qualche minuto perso a guardare il vuoto mi dirigo verso lo studio di papà.

Mio padre, Edoardo Rainaldi, era il classico uomo d'affari dallo sguardo gelido e freddo; era un uomo ben piazzato, teneva sempre i suoi capelli marroni molto corti e aveva degli occhi scuri che incutevano terrore, cosa non da poco nel suo settore.
Papà a quel tempo era uno degli uomini più ricchi della città, la sua azienda farmaceutica era tra le più importanti della capitale e gli affari gli andavano a gonfie vele.

Lo rivedo immerso fra le carte e non riesco più a trattenere le lacrime. Cerco di ricompormi, ma tutto sembra inutile così sbatto forte la porta e mi allontano da lì.

Salgo le scale e torno nella mia cameretta dove vedo Kally, la mia coniglietta di peluche. Kally era la mia confidente, sapeva tutto quello che mi succedeva in quel periodo.

Mi stendo un attimo sul letto nonostante sia pieno di polvere. Abbriaccio Kally così come facevo da bambina.

Mando un messaggio con l'indirizzo della casa a Greg, il mio autista, chiedendogli di venirmi a prendere e poi mi addormento con ancora le lacrime agli occhi.

E ancora una volta questa casa mi ascolta e non mi giudica.

Non è sbagliatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora