Capitolo 22

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« Non puoi chiamarlo Supplì!» si rifiuta Diego, dopo aver sentito la mia proposta.

«Ma perché non dovrei?» replico io. È un nome così simpatico.

«Ti sembra un nome adatto?»

«Certo! Non lo vedi quanto è tenero il piccolo Supplì?»

«Ma che razza di nome è!»

« È il mio gatto.. Se non ti piace quella è la porta» affermo autoritaria mentre accarezzo questa piccola palla di pelo sbucata dal nulla. È un piccolo gattino dal pelo color arancio e dai grandi occhioni teneri. Sarà il mio coinquilino da questo momento.

«Fino a tre minuti fa non dicevi "Amorino sarà il nostro micino e tu gli pulirai il sederino"?» mi dice, cercando di imitare la mia voce così soave.

Non è realmente così stridula,no?

«Facciamo che il gatto è mio e tu gli pulirai comunque il culo»

«Quanto mi piace quando mi parli così» dice il mio Diego, bipolare come al solito.

Mi fa posare il piccolo Supplì e mi fa sedere sul bancone della cucina. Ci baciamo e lui mi stringe a sé ed io, in risposta, cingo il suo busto con le mie gambe.

La passione c'è, il fuoco pure, ma mi manca l'aria. Diego mi toglie il fiato. Sempre. E io adoro tutto questo. 

È trascorso un mese da quando abbiamo deciso di aprire il nostro cuore, è passato un mese da quando gioco a carte scoperte con lui  e questi trenta giorni sono stati i più belli della mia vita.

Il mio passato sembra improvvisamente sparito all'orizzonte, vivo giorno per giorno ormai. 

Il ricordo di mio padre sembra svanito, mentre tengo stretto a me tutti i momenti con mamma e Anna. Mi mancano, ma non si può tornare indietro. L'ho capito e sto cercando di vivere intensamente i miei diciotto anni.

È un mio diritto e voglio che esso sia rispettato.

A rompere questo momento di passione ci pensa il campanello, che annuncia l'arrivo di qualcuno di inaspettato.

Non attendevamo nessuno e Diego sembra in qualche modo sconsolato da questo imprevisto, anche se sa benissimo che non saremmo andati oltre.

Ho chiesto tempo per compiere questo passo. Qualche giorno fa gli ho detto una piccola parte della verità, gli ho spiegato che la storia non era stata raccontata correttamente, che non è tutto come sembra, che niente è come sembra.

Sono poi scoppiata a piangere e non me la sono sentita di continuare a narrare una storia che non vorrei far altro che cancellare. Diego sembra aver capito, Diego mi ha sempre capito.

Mi dimostro forte, ma la mia corazza sembra così fragile ultimamente. Ancora non riesco a capacitarmi di quello che è potuto accadere, ancora non riesco a capire come quello che dovrei definire uomo, o meglio, padre abbia potuto rovinare una famiglia.


Era il 21 giugno quando tutto è finito, era il primo giorno di un'estate da dimenticare. 

Era il 21 giugno quando mia madre scoprì la verità.

Erano da poco passate le diciotto e io stavo pensando a cosa far cucinare ad Anna per cena. 

D'un tratto sentii dei singhiozzi, poi lo sbattere di una porta: era mia madre, Giorgia Martini. Era uscita dalla mia cameretta con in mano qualcosa che mi apparteneva. Mamma aveva in mano il mio diario, aveva in mano i miei più intimi segreti. Con il cuore in gola la vidi scendere le scale e dirigersi nello studio di mio padre.

Urla, pianti e grida si susseguirono per un tempo indefinito e Anna, preoccupata da questa inaspettata e insolita litigata, accorse a vedere come procedeva la situazione.

"Io ti rovino!" urlava mia madre.

"Anna questo lurido verme si è permesso di toccare sua figlia, mia figlia!"

"Sparisci dalla mia vita e non farti più vedere! Ti lascio senza un centesimo"

Evidentemente fu questa frase a scatenare l'ira funesta di quell'uomo; all'improvviso sentii due spari, due colpi che uccisero le donne della mia vita.

Non sapevo ancora cosa sarebbe successo. Mi ero rintanata in cucina. Ero indecisa sul da farsi. Doveva essere un giorno come tanti, quel 21 giugno. Io dovevo scegliere solo il menù della cena ed Anna me lo avrebbe cucinato mentre lei cercava di insegnare qualche passaggio a mamma. 

Io volevo solo giocare con Anna e rendere fiera mia madre. Io volevo solo vivere.

Vidi poi mio padre correre da una parte all'altra della cucina, lo osservai mentre prendeva un canovaccio e in quel preciso istante appoggiò lo sguardo su di me. Era agitato e i suoi occhi, così simili ai miei, erano arrossati. Si toccava nervosamente i capelli e aveva il mio diario tra le mani. Pulì la pistola e io continuai a singhiozzare. Stava per uscire, ma poi si ricordò di me.

Prese un enorme coltello da cucina e con decisione questo si posò nel mio costato. Fu questo il regalo di mio padre per l'inizio dell'estate.

«E' colpa tua. Ti avevo detto che mamma si sarebbe dispiaciuta. Non dovevi parlare. Addio, Dafne» mi lasciò lì, dolorante. In quel momento il mio cuore andò in frantumi.

Sentii la porta di servizio sbattere e decisi di essere la più forte di tutti. Estrassi la lama e, arrancando, andai verso lo studio dove mi aspettavano due corpi. Ed io ero la carnefice.

Urlai con forza i nomi di mamma e di Anna. Mi chiedevo perché non rispondessero, perché non volessero riprendersi. Avevo le mani imbrattate di sangue e improvvisamente cercai di pensare positivo: forse stavano dormendo, forse mio padre sarebbe tornato. Forse..

Sentii, dopo un tempo indefinito,il suono delle sirene e delle portiere di qualche automobile chiudersi con forza. Era entrato qualcuno in casa, qualcuno stava venendo nella mia direzione. Mi avvicinai annaspando al corpo di mia madre e poi urlai, urlai tanto. Volevo far sentire a tutti il mio dolore. Poi, il buio.


Una volta risvegliata da questo stato di trance mi dirigo alla porta con lo sguardo vigile di Diego addosso, seguita dal piccolo Supplì.

Apro la porta e mi trovo una piccola bambina dai capelli bruni con indosso una tuta vecchia e sgualcita. 

Che si sia persa?

«Come posso aiutarti, tesoro?» gli dico dolcemente.

«Mi chiamo Aurora e sono tua sorella»

Sono senza fiato. Un altro regalo di mio padre.

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