Patto (di)vino - parte II

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Il campanello del suo appartamento suonò alle sette precise. Jane era pronta già da un po' e attendeva nervosa sul divano, valutando se le scarpe che si era messa non avessero un tacco un po' troppo alto. Si fasciò nel suo cappotto scuro e scese, subito dopo essersi detta che sarebbe andato tutto bene.

Di sotto l'aspettava una macchina scura dai vetri riflettenti, un autista le aprì la portiera posteriore non appena la vide uscire dall'ingresso dell'edificio. La ragazza si infilò dentro augurandosi che nessuno l'avesse vista, quasi non si accorse che, sul sedile di fianco, Jag stava concentrando tutta la sua attenzione su di lei. Quando incrociò il suo sguardo, riprecipitò nella realtà.

"Ciao" le disse lui, celandosi dietro agli occhiali.

"Ciao" gli fece eco, mentre sistemava la borsa a fianco a sé. La luce all'interno del veicolo si affievolì in concomitanza della partenza facendo scendere la penombra sul viso di entrambi, i quali distolsero lo sguardo.

Jane aveva potuto notare che il ragazzo si era cambiato: indossava una camicia scura abbottonata fino al collo che esaltava il suo busto longilineo e un paio di pantaloni neri sorretti da una cinta di pelle. Si domandò se fosse stato il suo autista a vestirlo o se fosse stato in grado di farcela da solo. Ridacchiò di nuovo fra sé al pensiero di riuscire a essere così stronza.

Per tutto il viaggio la ragazza si lisciò il ciuffo di capelli che le cadeva davanti l'occhio. Non riusciva a pensare a niente di interessante per intavolare un discorso, quindi si concentrava solo su quel gesto lento e ripetitivo che le svuotava il cervello da ogni congettura.

Arrivarono al ristorante in circa mezz'ora, era un posto molto elegante e centrale, il che significava estremamente costoso ma lei sapeva che il suo accompagnatore non aveva problemi a frequentare certi posti. Un maître li scortò fino a un tavolo apparecchiato con una tovaglia dai riflessi perlacei e un centrotavola di fiori freschi, spostò la sedia per permetterle di sedersi. Si congedò subito augurando una buona serata.

"Sei nervosa?" Jag le chiese.

"Non particolarmente. È solo strano vederti così cambiato."

"Non sono cambiato più di tanto: quando voglio una cosa faccio di tutto per ottenerla" puntualizzò fissando i calici vuoti davanti a sé.

La ragazza preferì non approfondire l'argomento, sapeva benissimo di far ancora parte della posta in gioco e non voleva alimentare le pressioni, non riuscì però a staccargli gli occhi di dosso. Era cambiato, invece, e non solo fisicamente. Quel suo modo di fare da ragazzino petulante era stato soppiantato da una disarmante pacatezza, da un assiduo velo di serietà che gli conferivano una certa dose di magnetismo.

"Allora, cosa avete combinato tu e Nef l'altra sera?" chiese per spezzare il ghiaccio.

"Niente di ché, siamo andati per locali, abbiamo bevuto un po', ci siamo fumati un paio di canne e siamo tornati."

"Sei rientrato a casa ubriaco e strafatto e riassumi il tutto in queste quattro parole?" sbottò.

"Perché ti arrabbi tanto, volevi venire anche tu?" chiese facendo un cenno affermativo al sommelier che aveva portato a visionare una bottiglia al loro tavolo. Mentre questi era intento ad aprirla, il ragazzo prese uno dei menù che un secondo cameriere aveva lasciato loro, facendo attenzione a non interromperli.

Jane fece lo stesso, in maniera molto più nervosa, e si mascherò dietro la carta, pretendendo di leggerne le portate. "Mi arrabbio perché butti via la vita con queste cazzate" sibilò.

"Sembri mia madre" ribatté il ragazzo, come se il discorso non lo toccasse.

Quell'affermazione la inalberò ancora di più; Jag continuava a scorrere il suo menù senza tradire alcun sentimento. Nel frattempo i loro calici erano stati riempiti ma nessuno dei due accennava a voler prendere la parola.

Le Ceneri della Fenice 3 - Broken Strings - CompletoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora