Madrigale notturno #102

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16.39 – fuori nevica.

Quest'inverno è ancora lungo, ed è già la quinta nevicata dell'anno.

Il cielo è cupo e l'entusiasmo di giorni lontani affanna.

Rifletto.

I giudizi gratuiti sono all'ordine del giorno, e in questa solitudine le mie lacrime affondano nella tristezza di mezza tazza di un caffè passimo.

Ormai è una certezza tatuata sulla pelle con inchiostro invisibile – le delusioni hanno il volto dellepersone che amiamo – Adamo ed Eva, Caino, Bruto, Pietro, Giuda, l'intera umanità.

Con la morte nel cuore comprendo che non vi è pace alcuna, né comprensione, né pietà.

Mettono il dito nella piaga, la fanno più profonda.

Si sentono soddisfatti delle loro vitecostruite sul nulla, non sono nessuno ma si sentono arrivati, gigantinella pochezza del loro mondo, capaci di mettere in secondo piano ciòche grande lo è davvero.

A questo mondo non serve l'essenzialitàin ciò che considera un di più, e se hanno messo in croce Dio possono fare qualsiasi cosa, una sconfitta che precede tutte lebattaglie – è un calvario, sono 1000, tutti i giorni, e fuori nevica.

La morte è lì che aspetta, cinica, sterile, eppure siamo morti e continuiamo a morire prima ancora dinascere – la ricerca della felicità per chi sa di aver tutto senza averlo non è contemplata nel mondo di chi non comprende ciò che non può controllare e possedere, e tutto si riduce a lavoro, figli, il mutuo da pagare, la macchina, poi la morte – miliardi di esistenze dedicate al nulla, e io mi chiedo se la felicità non sia altro che saziarsi e compiacersi di questo nulla che consuma.

Chi lo vede, chi lo riconosce e cerca altro, non sarà mai felice.

È già sconfitto, condannato a dormire per strada, ad essere ripudiato da tutti coloro che ama e ha amato...

Anche il sole ha rinunciato, troppe nuvole da sciogliere.

Da lontano risuona l'eco di tutto ciò che scorre poco a poco, si consuma come gocce d'acqua e la loro piccola voce profonda nel cuore di una grotta, e tutto diventa un grande vuoto quando chiunque è capace di misurare l'enormità dei tuoi errori, così evidenti perché sei l'unico a commetterli, e tutto si riduce a - "fidati, ci sono passato..." - come se avessero la verità assoluta solo perché il loro portafoglio è pieno e tornano a casa per cena con le mani sporche di grasso, rintanati in una casa di periferia.

Non vi è pace per chi ha ereditato in sé il seme di grandi uomini passati che non erano capaci di dare alle cose del mondo un peso che non meritano.

Era senz'altro meglio morire in nome di un impero armati di spada e scudo con la propria immagine riflessa nello sguardo feroce dell'avversario, piuttosto che riceverel'affondo mortale alle spalle da chi ti ha sorriso, da chi ha condiviso il tuo pasto.

Era certamente meglio marciare per giorni nel cuore di un bosco innevato, rotolarsi nel bianco insanguinato dell'erba gelata e la soffice terra nera.

Era un valore più alto, più giusto, più sensato.

Ora di quel passato non rimane che la fitta nevicata sul prato della piscina, e la tristezza di non avere nonostante tutto uno scopo per cui lottare, una felicità da conquistare che passa attraverso il sogno esotico di lontane terre promesse ai confini del mondo.

Ora tutto si riduce alla grottesca banalità sotto questi fiocchi – la resa alla sconfitta dopo l'abbandono delle armi...


04/02/18


B.G.

Fiori d'argento IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora