Giugno 1989, giovedì ore 10:05
Bill Denbrough
Spostai lo sguardo da un lato all'altro della strada senza sosta, nella speranza di poter scorgere Richie arrivare nella nostra direzione in sella alla propria bicicletta. Nonostante cercassi in ogni modo di mantenere la calma mi pareva un'impresa impossibile. Non era la prima volta che il mio amico ritardava ad uno dei tipici incontri di gruppo, perciò non avevo motivo di entrare nel panico, ma a causa dello sconosciuto che avevamo incontrato solo poche ore prima la situazione mutava notevolmente. Forse non avremmo dovuto fidarci di quel ragazzo, ero consapevole che la scelta fosse stata piuttosto azzardata e imprudente, ma per via di una ragione ignota persino a me stesso mi ero ritrovato a soccorrere quel vagabondo. Probabilmente il suo sguardo disorientato e terrorizzato aveva scatenato un moto di compassione che non ero riuscito ad arrestare, non dopo ciò che era accaduto qualche mese prima. La morte di George aveva lasciato un vuoto che nessuno sarebbe riuscito a colmare, provocando solamente un dolore straziante ogni qualvolta che i miei pensieri venivano reindirizzati verso i ricordi di ciò che avevo vissuto con mio fratello, prima della tragica vicenda. Se abbassavo le palpebre potevo scrutare con chiarezza ogni dettaglio del suo volto: gli occhietti vispi e curiosi color nocciola, capaci di dedurre ogni emozione che stessi provando in quell'istante, i ciuffi castani, molto simili ai miei, che gli ricadevano copiosamente sulla fronte e le labbra sottili spesso incurvate verso l'alto. Raramente Georgie era di cattivo umore o si lamentava, nonostante avesse solo sei anni comprendeva al volo quando giungeva il momento di terminare un capriccio o di protestare contro qualche ingiustizia nei suoi confronti. Quando si rendeva conto che la situazione di cui si stava parlando diventava seria restava in silenzio ad ascoltare senza opporsi, completamente coinvolto dal discorso. Grazie alla sua presenza si evitavano i silenzi colmi di imbarazzo e indifferenza nell'istante in cui prendevamo posto a tavola o sul divano per guardare la televisione. Capitava frequentemente dopo i pasti, in particolare la sera, ma con la partecipazione di mio fratello nessuno prestava realmente attenzione alle voci che provenivano dallo schermo luminoso, egli riusciva a mantenere unita la famiglia. Con la sua scomparsa la maggior parte delle abitudini erano inevitabilmente cambiate. Conversavo a malapena con i miei genitori ed entrambi parevano disinteressati a tutto ciò che li circondava, compreso il sottoscritto. Avevo tentato innumerevoli volte ad esporre qualche battuta o semplicemente a narrare ciò che mi era accaduto durante la giornata, ma entrambi non sembravano udirmi, come se si trovassero in una dimensione opposta a quella in cui vivevo. Ormai ogni speranza si era dissolta e nonostante per me fosse uno sforzo enorme cercavo di adattarmi a ciò che era diventata la realtà: Georgie era morto e nulla avrebbe potuto riportarlo in vita, ma non per questo avrei smesso di rintracciare il suo corpo. Pretendevo giustizia nei confronti della mia famiglia e soprattutto per lui, la meritava più di chiunque altro. Avvertii una morsa al petto irradiarsi per tutto il corpo, il dolore che provavo comunemente ogni volta che la mia mente tornava all'immagine di George. Ringraziai mentalmente Stan che riportò l'attenzione generale sulle due figure che provenivano dall'altro lato della strada, costringendomi ad abbandonare i pensieri cupi che mi stavano opprimendo. Non appena Richie scese dal proprio veicolo in compagnia dell'altro ragazzo gli lanciai un'occhiata carica di indignazione. Egli parve non farci troppo caso, anzi, notai che rivolgeva la maggior parte dell'attenzione al giovane accanto a lui, come se ne dipendesse la sua vita. L'espressione sul mio volto si trasformò da furente a disorientata, dovevano aver legato molto in quelle ore, Richie sembrava aver cambiato completamente il proprio parere sullo sconosciuto. Si avvicinò al resto del gruppo sfoggiando un sorriso trionfante per poi salutare ognuno di noi con un cenno della mano.
<<Abbiamo avuto qualche problema ad arrivare fino a qui, che ci siamo persi?>>
Domandò con noncuranza spostando lo sguardo da destra verso sinistra, soffermandosi per qualche secondo in più sul mio volto, come se stesse cercando il consenso del perdono da parte mia. Sospirai rassegnato decidendo che sarebbe stato inutile rimproverarlo, Richie era un ritardatario cronico e nulla o nessuno l'avrebbe cambiato.
<<Nulla, vi stavamo a-aspettando. Eight, hai passato b-bene il tempo con lui?>> chiesi dubbioso rivolgendomi al giovane che nel frattempo si era unito al cerchio. Sembrò rifletterci per qualche istante, dopodiché mi scrutò esitante cominciando a parlare.
<<Non è male come credevo. Comunque se vi fa piacere potete chiamarmi Eddie.>> attese per alcuni secondi prima di continuare la frase, magari per tentare di comprendere se ciò potesse essere una buona idea. Notai che l'espressione di Rich si rabbuiò e non potei fare a meno di provare un moto di curiosità. Scambiai uno sguardo di intesa con gli altri componenti del gruppo e parvero tutti assecondarlo, almeno adesso potevamo affibbiargli un nome. <<Non penso sia un problema per nessuno.>> gli rivolsi un sorriso di incoraggiamento che egli parve ricambiare, anche se in minima parte.Ecco il nuovo capitolo, mi rendo conto che sia passato parecchio tempo dall'ultimo aggiornamento, ma ho avuto vari problemi, sia scolastici che di salute. Ad ogni modo spero possa essere di vostro gradimento. Inoltre voglio ringraziarvi per le mille visualizzazioni, mi fa piacere che questa storia sia così seguita 💞 grazie di cuore :)
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A strange boy. [Reddie~ IT]
FanfictionDerry, una piccola città nel Maine, è apparentemente un luogo tranquillo in cui gli abitanti vivono in completa serenità, se non fosse per la recente morte di George Denbrough, un bambino di a malapena sei anni. Dopo questo avvenimento una serie di...