Il Primo Avvertimento [capitolo 11]

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Giugno 1989, giovedì ore 10:24

Essere circondato dalle tenebre mi aveva da sempre trasmesso una sensazione di disagio. Fu questo il primo pensiero che mi travolse non appena aprii gli occhi. In passato avevo già avuto l'occasione di visitare quel luogo, se così esso si poteva definire. Ormai pareva un incubo ricorrente, bastava che io abbassassi le palpebre per precipitare in quella distesa di oscurità. Cercai di issarmi in piedi, tentando di mantenere le gambe stabili, ma nonostante i numerevoli tentativi esse continuavano a tremare come foglie al vento, sembravano non voler rispondere alla mia volontà. Scrutai in lontananza cominciando a ruotare sul posto, senza la certezza di ciò che volevo vedere: il vuoto totale o qualcuno che potesse aiutarmi ad uscire da quella situazione. Quando cominciai a credere di essere completamente solo mi resi conto della presenza di un essere umano, se in tal modo si poteva definire.
La figura era piuttosto slanciata e pareva mostruosamente esile, ma non dimostrava affatto alcun segno di debolezza, anzi, era capace di trasmettermi un forte senso di inquietudine. Non ebbi la forza di arretrare nell'istante in cui mi accorsi che la creatura aveva puntato i propri occhi chiari su di me, anche se sarei fuggito volentieri a gambe levate. Cominciò a dirigersi a passo spedito verso la mia posizione e mano a mano che la distanza tra di noi si restringeva constatai con orrore che sul suo volto era dipinto un enorme ghigno rosso. I ciuffi di capelli arancioni svolazzavano lievemente a causa della velocità con cui egli procedeva, mentre le scarpe bizzarre che indossava non producevano alcun suono sulla superficie scura. Fu probabilmente quella constatazione a riportarmi al presente: il pavimento era ricoperto da un sottile strato d'acqua, perciò in che modo quella creatura camminava nel silenzio totale?
<< È un clown...Perché c'è un maledetto pagliaccio che mi sta inseguendo? Ha la camicia sporca di rosso, non sarà mica.. >>
Improvvisamente l'essere si fermò sul posto e senza distogliere le proprie iridi dalle mie sfoderò un sorriso a trentadue denti, se possibile ancora più raccapricciante del primo.
<< Ciao Eddie, è così che ti chiamano i tuoi amici, giusto? Non hai motivo di essere spaventato. Hai ragione, è sangue ciò che gocciola dal colletto, ma non ho intenzione di mangiarti per il momento. Puoi provare più terrore di così, perciò ucciderti in questo momento sarebbe un vero spreco, tuttavia arriverà anche la tua occasione. >>
Pronunciò il discorso con tale naturalezza che per poco repressi un urlo d'orrore. Nel frattempo egli riniziò ad avvicinarsi a me, questa volta con passo misurato e lento, capace di trasmettere ansia ed angoscia a chiunque.
<< Perdonami, non mi sono presentato. Mi chiamo Pennywise, il clown danzante, ma tu puoi chiamarmi solo Pennywise se ti fa piacere. È stato piacevole poterti conoscere di persona, mi sembri un ragazzo di poche parole, andremo sicuramente d'accordo! Avverti i tuoi amici che presto farò visita ad ognuno di loro, in particolare chi non ha ancora avuto l'onore di incontrarmi. Oh Eddie... Ricordati di riposarti, sai quanto puoi essere delicato. >>
Un dolore acuto si espanse inaspettatamente per tutto il mio corpo dandomi l'impressione di prendere fuoco. Abbassai frettolosamente gli occhi sulle braccia in preda ad un attacco di panico e rimpiansi subito di averlo fatto. La pelle era di un colorito grigiastro e dava l'impressione di essere putrefatta, constatai di aver ragione non appena l'odore giunse alle mie narici. La fitta si intensificò ulteriormente e successivamente osservai orripilato un verme farsi strada tra la mia carne per poi sbucare fuori dal braccio in tutta naturalezza. Sangue scuro come catrame sgorgò dalla ferita appena procurata, facendomi dubitare della mia umanità. L'episodio si ripeté nuovamente una decina di volta su varie parti del corpo. Urlai disperato in cerca di aiuto estirpando gli insetti il più possibile, senza ottenere risultati positivi. L'ultimo suono che udii fu la risata del clown quando...

Richard Tozier

Eddie era privo di sensi da più di cinque minuti e l'ansia che provavo nei suoi confronti non faceva altro che aumentare. Constatai di non essermi mai preoccupato per qualcuno in maniera così eccessiva e probabilmente anche Bill e Stan avevano percepito quel dettaglio. Nell'attesa del ritorno di Beverly e Ben avevo inconsciamente cominciato a divorare le unghie delle mani, anche se ciò non era stato di grande aiuto per diminuire lo stress che provavo in quel momento. Avevo percepito con chiarezza i loro occhi puntati sulla mia schiena e non appena voltavo il capo per confermare la teoria entrambi distoglievano lo sguardo imbarazzati, come se provassero sensi di colpa o vergogna per quel comportamento. Decisi che non avrei risolto la situazione urlando parole offensive nei loro confronti, dopotutto ciò che era accaduto ad Eddie portava ad un unico responsabile: me stesso. Per quale motivo non ero rimasto in silenzio con gli occhi sgranati dalla sorpresa? Avrei dovuto comportarmi come gli altri membri del gruppo, ma ovviamente no, la bocca si era spalancata ed ancora prima che potessi rendermene conto avevo già pronunciato la fatidica frase "puoi mostrarmi di nuovo come ci sei riuscito?". Spesso mi pentivo di possedere il dono della parola, sarebbe stato più semplice essere muti dalla nascita, anche se in tal modo tutte le "voci" a cui ero particolarmente affezionato non sarebbero mai potute esistere. Voltai nuovamente il capo verso la figura distesa per terra, durante il tempo trascorso non avevamo trovato un luogo adatto su cui adagiare il ragazzo. Lo contemplai ammirato mentre una morsa all'altezza del petto parve soffocarmi, i sensi di colpa non mi avrebbero mai abbandonato. L'espressione serena che aleggiava sul volto del giovane venne sostituita in pochi secondi da una contrastante, egli pareva sul punto di riprendere conoscenza. Mi lanciai a terra accanto ad Eddie con una velocità impressionante e per poco Stan e Bill non sobbalzarono dallo sgomento. Il moro al mio fianco sollevò il busto di scatto inspirando sonoramente, come se nei minuti trascorsi avesse tenuto il fiato sospeso, in attesa dell'arrivo di un evento terrificante.
<< Sta arrivando, verrà a cercarci, non dobbiamo perdere tempo! Ci serve...un...>>
Prima che potessi tentare di calmarlo cominciò ad ansimare violentemente, completamente in assenza di ossigeno, sembrava sul punto di svenire di nuovo...
<<Eddie, cerca di tranquillizzarti, sei al sicuro, non c'è nessuno che vuole farci del male. >>
Egli parve prestarmi attenzione a malapena. Gettai il capo all'indietro in direzione degli altri due ragazzi in cerca di aiuto, ma entrambi sembrava perplessi e preoccupati.
<< È un attacco d'asma, in passato è capitato a mio padre. >>
Mormorò Stan con un filo di voce scrutandosi attorno agitato.
<<Serve un inalatore, dobbiamo sperare che Beverly ne abbia uno dentro casa. >>
Imprecai malamente posando una mano sopra quella di Eddie quasi senza rendermene conto, volevo in qualche modo trasmettergli sicurezza, anche se in quella situazione non potevo agire più di tanto. Scorsi da lontano la figura della ragazza seguita subito dopo da Ben, che pareva esausto ed incapace di correre ulteriormente, non fui mai così felice di vederli arrivare durante tutta l'estate.
<< Beverly, hai qualcosa contro l'asma nella valigetta del pronto soccorso? >>
Domandò Bill non appena entrambi furono affianco a noi. Solo in quell'istante notai che il colorito della pelle di Eddie stava diventando eccessivamente pallido. Questa volta fu Stan a dar voce ai miei pensieri e quando lo fece percepii un brivido freddo percorrermi tutto il corpo.
<< Muoviamoci, altrimenti dubito che riuscirà a prendere un'altra boccata d'aria. >>

Buonasera, è quasi da un mese che non aggiorno la storia e non potete avere idea di quanto io sia dispiaciuta per questo. La scuola sta diventando insostenibile in questo periodo e spero solo di poter tornare ad aggiornare con più frequenza. Che ne pensate del capitolo? :)

A strange boy. [Reddie~ IT]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora