Avvicinò il suo viso alla mia mano con una lentezza quasi cerimoniale, mentre i suoi occhi si illuminavano di consapevolezza. Percepivo in quel gesto grande riverenza e profondo rispetto nei miei confronti e, al contempo, il tutto assumeva una forma che avrei potuto assimilare ad un rituale.
Provai ad analizzare ogni singolo movimento di quella donna, con la speranza di capire il motivo di quel suo comportamento.
Non appena le sue labbra toccarono il mio dito, percepii un forte calore irradiarsi verso tutte le mie membra. Terrorizzata, scostai la mano dal suo viso e indietreggiai.
"No, signorina, stia tranquilla! Non volevo spaventarla. Questo è un segno di rispetto di noi Centini verso i Supremi, ricorda?"
Il tutto suonava alle mie orecchie così bizzarro e innaturale e cominciai a domandarmi come mai non avessi pensato fino a quel momento che si trattasse di un sogno. Poi mi ritornò alla mente il calore percepito a causa del bacio della mia interlocutrice e mi resi conto che una sensazione tanto potente non avrebbe potuto essere frutto di un'esperienza onirica.
"Signora cara, io non so proprio di cosa lei stia parlando... E per favore, mi chiami pure Sara."
Le mie parole sembrarono ferirla nel profondo.
"Quindi lei davvero non ricorda nulla." Detto ciò, si sistemò l'abito dal tessuto spesso e grezzo e si diresse verso l'uscita. Il modo in cui aveva sollevato le spalle e i passi cadenzati, mi fecero supporre che fosse arrabbiata. Qualche istante dopo constatai che la mia supposizione era esatta.
Si voltò con gli occhi semichiusi e la mano destra serrata a pugno, mi scrutò per un attimo e poi mi disse stizzita: "E comunque i Centini sono il popolo di Ekaton, il suo popolo."
E così rimasi nuovamente sola.
Un delicato raggio solare illuminava quella camera e, per abitudine, provai a cercare con gli occhi i miei granelli di polvere. Ma non ve n'erano.
Era tutto così confuso e irreale, tutto così impossibile.
Mi distesi sul letto dalle candide lenzuola e cominciai a pensare al mio mondo, alle mie abitudini e a tutto ciò che avevo sempre dato per scontato e che adesso mi mancava. Immaginai il viso rigato di mia madre, disperata perché ogni cosa per cui aveva sempre lottato era andata perduta. Poi la mia mente si dedicò a mio padre e alla delusione che sicuramente gli avevo arrecato. Infine mi soffermai su mio fratello, colui al quale avevo donato ogni singola particella d'amore in mio possesso. Al suo pensiero il mio cuore perse un battito e le lacrime iniziarono copiosamente a danzare sulle mie gote. Disegnavano umide linee ondulate, giungevano sul mio mento e si depositavano sul morbido cuscino su cui era posata la mia testa.
Quel pianto senza fine mi condusse verso quella cupa tana consolatoria che è il sonno.
Riposai così a lungo che al mio risveglio si era fatto nuovamente giorno.
Subito provai a ripulire le mie guance dalle lacrime del giorno prima, eppure le trovai aride d'acqua. Poi mi sollevai dal letto per ammirare ancora una volta le lenzuola fresche di bucato, ma anche di quelle non vi era più traccia. Infine raggiunsi l'alta finestra, ma la suo posto trovai le persiane della mia camera, il solito raggio di sole e i miei granelli di polvere.
Rapidamente mi voltai verso l'orologio che segnava esattamente le 6:30.
Non riuscivo a capire come tutto questo fosse possibile.
Per rasserenarmi contai i miei 101 esserini, c'erano tutti. Poi corsi verso la camera di mio fratello e lo vidi dormire come un angelo, allora lo abbracciai con tutte le mie forze e poco prima di richiudermi la porta alle spalle ascoltai il suo solito "ciao Saretta".
Sorrisi. Era stato tutto un brutto sogno.
Raggiunsi il negozio d'alta sartoria, posai il cappotto su un appendiabiti e cominciai a dirigermi in laboratorio. Fu lì che Alba e Maria, le mie uniche due amiche in sartoria, mi urlarono una frase che ricordavo bene.
"Sara finalmente sei qui!"
Ma provai ad essere ottimista e aspettai che mi raccontassero una storia differente dalla lite tra il figlio del barone e quello della signora Concetta.
"Sai che noi arriviamo qui sempre venti minuti prima così può accompagnarci il babbo. Ebbene, in quell'arco di tempo abbiamo assistito ad una lotta tra due giovanotti. Indovina un po' chi sono?"
Terrorizzata risposi che non potevo esserne a conoscenza.
"Sono il figlio della signora Concetta e il figlio del barone!" disse Maria in maniera esageratamente eccitata.
La mia mente cominciò a vorticare con veemenza e un susseguirsi di sensazioni negative diedero inizio a innumerevoli pulsazioni nel mio petto. Rimasi per qualche minuto a fissare il vuoto, nella vana speranza che tutt'intorno cambiasse qualcosa. La desolazione che in cuor mio provavo mi provocò un mancamento e poco prima di raggiungere il suolo e farmi male delle braccia rigide, possenti e tanto calde mi sorressero.
Percepii lievemente l'urletto di Maria e capii chi mi stava trasportando tra le sue braccia verso la camera da letto della signora Concetta. Sapevo di trovarmi in quel posto per il profumo di rose che quella stanza aveva da sempre emanato.
Lasciai che mi adagiasse sul letto e poi aprii gli occhi, poiché ero riuscita ad acquisire un po' più di lucidità. Furono i suoi occhi grigi che notai per primi, quei luminosissimi fari tanto simili ai miei granelli. Poi osservai le sue spalle e le sue gambe tanto voluminose da legittimare l'appellativo di gigante.
"Sì, so che devo rammendarle la giacca." Fui pronta a dire per evitare ulteriori déjà vu.
Lui si grattò la nuca e abbozzò un lieve sorriso.
"Nessuna giacca."
Poi afferrò il mio polso sinistro e lo strinse con molta pressione tra il pollice e il medio. Percepii le vene comprimersi e un formicolio, causato dalla limitata circolazione sanguigna, si propagò lungo tutta la mano.
"Devi dirmi tutto ciò che sai."
Quella frase mi sembrò così stramba detta proprio a me, dopo tutto ciò che mi era successo negli ultimi due giorni, che non potei evitare di ridere. Ma la pressione esercitata sul polso aumentò così tanto che il mio riso si tramutò in una smorfia di dolore.
"Non so di cosa stia parlando, glielo giuro!"
Dopo un attimo di silenzio, parlò con decisione.
"Se stiamo rivivendo lo stesso giorno c'è soltanto una spiegazione: tu sei stata ad Ekaton."
Io non risposi ma probabilmente i miei occhi lo fecero per me perché lui mi osservò terrorizzato, lasciò il mio polso ormai violaceo e si allontanò.
Sembrava quasi che io fossi... la sua assassina.

STAI LEGGENDO
Centouno
Fantasy[COMPLETA] Immersa tra le ombre, Sara comincia a contare quei centouno granelli di polvere che da anni aleggiano indisturbati nella sua camera. Eppure un giorno qualcosa in quei conti non torna. Un granello mancante la porterà a vivere un'avventura...