Capitolo III

1.2K 81 80
                                    

Quando mi risvegliai l'atmosfera intorno a me era particolarmente luminosa.

Ciò che notai per primo fu il letto a due piazze sul quale molto probabilmente avevo dormito per un paio d'ore. Era così morbido da scaturire in me una sensazione di dolcezza e tranquillità. Anche le lenzuola, con la loro lucentezza e il profumo di bucato, contribuivano a donarmi queste percezioni.

Esplorando ulteriormente la camera, subito notai che si trattava di una dimora piuttosto lussuosa. Non certamente come quelle di un barone o di una principessa, ma di sicuro molto più sfarzosa della mia vecchia stanza.

In quel momento improvvisamente ricordai. L'incendio, il fumo, il granello di polvere.

La dolcezza con cui mi ero svegliata fece posto ad un'agitazione degna di nota. Delle immagini terrificanti si susseguirono nella mia mente e un tremore imperterrito mi attraversò il corpo che, solo allora notai, era ricoperto da una bianca e morbida vestaglia. Senza pensarci due volte balzai fuori dal letto e mi diressi verso l'unica finestra che quella camera possedeva. Era così alta, ed io così bassa, che dovetti trascinare uno sgabello che si trovava accanto al mio letto per salirci sopra. Ma quello che vidi fu meravigliosamente straziante.

Straziante perché ciò che si mostrava ai miei occhi non era la mia città d'origine, Bari.

Meraviglioso perché il paesaggio sembrava tirato fuori da un libro di fiabe colmo di disegni realizzati con i pastelli.

L'altezza che intercorreva tra la mia finestra e il prato sottostante era grandissima. Mi trovavo così in alto da riuscire a vedere gran parte del panorama circostante. Un prato inglese e ben curato attorniava qualsiasi posto, e il suo colore era di un verde smeraldo intenso e surreale. Un ruscello dall'energico colore azzurro attorniava un enorme palazzo situato sulla punta di una collina. Distava qualche centinaio di metri dalla mia finestra. Dalle merlature che decoravano ogni cupola e dal fossato difensivo antistante il ruscello, pensai che si trattasse di un castello.

Ero ammaliata dai colori sgargianti e fantasiosi che quel paesaggio riusciva a donarmi. Tutto mi sembrava così fittizio e fiabesco, mi pareva di vivere in un sogno.

La straordinarietà di quella vista mi fece dimenticare il motivo per il quale ero accorsa alla finestra. A ricordarmelo fu l'entrata improvvisa di una signora sulla cinquantina vestita con un abito dal tessuto rozzo e scadente, che stonava con tutto il resto.

"Oh signorina! Finalmente si è svegliata, la gente cominciava a mormorare che fosse morta."

"La gente non ha tutti i torti... anche io credevo di stare per morire durante l'incendio."

"L'incendio? Di cosa sta parlando, signorina? Oh dio, forse ha un po' di febbre."

Detto ciò, posò il suo mento sulla mia fronte. Dopo qualche secondo d'attesa percepii le sue labbra che si dilatavano in un grande sorriso.

"Ma che spavento mi ha fatto prendere, lei è sana come un pesce!"

"Non volevo spaventarla... posso sapere come sta la mia famiglia? E mio fratello? Lui sicuramente si starà chiedendo dove sia finita la sua Saretta..."

Un guizzo di confusione oltrepassò le iridi di quella donna. Non sapeva come gestire quella situazione che secondo il suo punto di vista risultava alquanto bizzarra.

"Ma lei non ricorda proprio nulla, eh signorina?" Provò a dire celando senza successo la sua esitazione.

In seguito a qualche attimo di imbarazzante attesa, la mia pazienza raggiunse un punto di non ritorno. Così mi avvicinai il più possibile alla punta del suo naso e feci uscire tutta l'aria che avevo in petto.

"Cosa dovrei ricordare? Che sono una povera sbadata, priva di attenzione, che per colpa mia la mia famiglia si ritrova senza casa né figlia? Me lo dica, cara signora, cosa dovrei ricordare. Perché finora non riesco a seguirla!"

La mia reazione furibonda, però, non ottenne l'effetto sperato.

La vidi sedersi sullo sgabello precedentemente utilizzato da me; la vidi accasciarsi fino alle sue ginocchia; infine, la vidi singhiozzare. Pianse come un bambino che ha subito l'ira funesta della sua matrigna, fatto a pezzi da quella sensazione di mancanza che solo l'assenza della propria madre può arrecare. In un attimo, dunque, cominciai a percepire quella donna più vicina al mio cuore.

La raggiunsi a passo felpato e l'abbracciai, come mi aveva insegnato mia madre, con tutta la forza dell'amore.

E, forse, il mio amore era smisurato, perché lei poco dopo smise di piangere e mi guardò con i suoi grandi occhi... grigi.

Fu allora che iniziai a capire.

"I suoi occhi... sono grigi come quelli di..."

Ma mi interruppe poco prima di terminare la frase.

"Non lo nomini, signorina. Qui ad Ekaton di quel mostro non si deve parlare. Ma con il suo arrivo molte cose sono cambiate."

Potevo percepire il terrore con cui pronunciava queste parole, e un brivido acuto mi attraversò la colonna vertebrale.

"Ekaton?"

"La città dei Cento, signorina."

"E cosa sa di me?"

"Lei è la Centouno, signorina."

E, detto ciò, afferrò la mia mano destra e mi baciò l'anulare.

-----------------------------------------------------------

Carissimi,
La storia vi sta intrigando? Cosa ne pensate del carattere irrequieto della nostra Sara?
Fatemi sapere le vostre opinioni, attraverso lequali voglio crescere e migliorare sempre di più!

CentounoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora