Capitolo XXI

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Indugiai un poco, ancora vicina alle guardie.

Il suo sguardo, dapprima velato di stupore, pian piano andava tramutandosi in una smorfia di disgusto. In me non vedeva più sua moglie, la metà perfetta di una mela matura. Io ero la parte marcia di quella mela, corrosa dal lavoro incessante di un verme insinuatosi nella polpa. E quella parte andava tagliata, recisa, gettata il più lontano possibile da ogni tavola elegante.

Questo mi ispirava il suo sguardo e, mentre i miei neuroni non davano i giusti comandi alle ginocchia tremolanti, Curio diveniva sempre più impaziente.

Attimi dopo mi si avvicinò e con la sua mano affilata come lama di un coltello, mi afferrò per il braccio e mi trascinò all'interno della dimora.

Le mie paure bloccavano ogni probabile azione ragionata, ero il narratore fuori campo della mia stessa vita. Dunque lasciai che Curio mi trasportasse in qualche posto remoto della sua dimora senza opporre alcuna resistenza.

"Sei più docile, Priscilla."

Non risposi a quella allusione sul mio comportamento passato, del quale non ricordavo nulla.

Piuttosto cominciai a soffermarmi sui dettagli della stanza in cui ci trovavamo probabilmente da qualche minuto.

Finalmente, ripresami dopo lo shock iniziale, mi decisi ad esplorarla, sotto lo sguardo indagatore di mio marito.

Cominciai dal letto a baldacchino, sul quale vi erano due cuscini dalle federe color oro. Passai la mano sul piumone bordeaux e rimasi affascinata da quanto fosse soffice. Posizionando un piede davanti all'altro, su quel pavimento romboidale, attraversai l'intera camera da letto. Infine aprii l'armadio: vi erano pantaloni, cinghie, stivali e abiti femminili.

Richiusi di scatto l'anta, provando un senso di vergogna per aver sbirciato nell'intimità di Curio e della sua nuova compagna. Quei vestiti appartenevano sicuramente ad una donna esile e ben fatta, proprio come lui.

"Già, li ho lasciati tutti lì nonostante la tua morte. O forse dovrei dire... scomparsa?"

"Quelli sono miei?"

"Ma come, non ricordi?"

Ecco che si ripresentò la solita domanda che gente ignara della mia amnesia mi poneva ogni volta.

"No, non ricordo."

Con un lampo di furia Curio si sollevò dall'angolo del letto e sovrastò la mia testa. I suoi occhi scintillavano di puro odio feroce. Afferrò i miei gomiti e con un gesto rapido e deciso unì le mie braccia dietro la schiena. Lo lasciai libero di spingermi in un antico corridoio che puzzava di umidità e, nuovamente senza opporre resistenza, gli permisi di condurmi in uno stanzino buio e silenzioso.

La mia paura mi rendeva incapace di reagire, e questa era una mia lacuna caratteriale. Soltanto le mie ginocchia si muovevano ritmicamente e senza alcun mio comando volontario.

Mentre mi perdevo in queste mie strane elucubrazioni mentali, non mi ero resa conto di trovarmi in una posizione alquanto scomoda.

Sollevai la testa e vidi i miei polsi legati ad un gancio in ferro saldamente appeso al soffitto; del mio vestito non vi era più traccia, ero ricoperta solo dalla mia sottoveste; Curio, infine, impugnava un uncino dalla punta rovente, il quale era pericolosamente troppo vicino al mio fianco sinistro.

Finalmente realizzai.

E senza più blocchi mentali cominciai ad urlare con quanto fiato avessi in gola.

"Finalmente ti riconosco, pazza e isterica come i vecchi tempi."

Non accennò ad alcuna risata malvagia, tipica di quei film artefatti che la mamma mi permetteva di vedere la domenica pomeriggio dopo pranzo.

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