Capitolo IX

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"Buon diciottesimo compleanno, tesoro!"

Sollevai una palpebra per abituarmi a quell'inondazione improvvisa di luce e, quando ne fui investita, cominciai a starnutire per quei raggi di sole che mi trafiggevano la pupilla.

Disperata, sollevai anche l'altra.

A fissarmi c'erano due grandi iridi castane spalancate per la gioia incontenibile di quel momento. Delle labbra screpolate dalla brezza del mattino erano disposte a forma di sorriso, uno di quelli che raramente compare sul volto e quando accade non si riesce a non notarlo.

Rimasi a fissare mia madre per alcuni secondi.

Era bellissima.

Non aveva un naso affilato, dei denti ben curati o una corporatura snella.

Era bellissima perché era mia madre.

Era bellissima perché sapeva di duro lavoro in campagna, di terra umida e di olive.

Era bellissima, in realtà, perché l'amavo così tanto da non essere riuscita mai a dirglielo.

Presa da quelle considerazioni, mi accorsi in ritardo del vassoio plastificato che mia madre stava reggendo da un po'. La torta al cioccolato e le diciotto candele accese e, ormai, per metà consumate mi ridestarono da quei pensieri.

Probabilmente sfoderai un bel sorriso, quello che quotidianamente mi prodigavo ad indirizzare al più gran numero di persone possibile. Perché mia madre mi aveva insegnato che l'allegria ripaga sempre.

"Non dovevi... lo sai che non ho mai preteso nulla per il mio compleanno!"

Pronunciai quella frase con gli occhi colmi di lacrime che cercai in tutti i modi di trattenere.

Sapevo quanto le fosse costata quella sorpresa, un'immensa fatica e circa novemila lire.

Oltre agli ingredienti per la torta, mia madre si era assentata dal suo lavoro in campagna con mio padre e questo, pensai, implicava produttività dimezzata.

Scostai le coperte dalle mie gambe, mi sollevai lievemente e l'abbracciai con tutto l'amore che non ero mai riuscita a spiegare. Intanto, la torta si trovava nel mezzo in attesa che fosse divorata.

Non mi rattristai nel sapere che mio padre era a lavoro e mio fratello a scuola.

Pensai a noi due, a me e a mia madre. A quella combo perfetta di amore mai detto seppur sussurrato."

Mi sentii solleticare i piedi nudi e ghiacciati e immaginai che fosse stata mia madre con uno dei suoi soliti giochi che da bambina mi divertivano tanto.

Mossi il piede torturato da quei polpastrelli e percepii un corpicino ricadere al suolo con un piccolo tonfo.

"Ahi, Priscilla!"

Spalancai gli occhi.

Numerosi rami, incastrati tra loro in geometrici intrecci e ricoperti da fogliame di un verde sgargiante, mi accolsero. Attraverso alcune fessure potei osservare sprazzi di cielo azzurro, ben diverso da quello della mia cara Bari.

Mi sollevai e un corpicino colorato d'azzurro era seduto sulla terra umida, intento a massaggiarsi il fondoschiena. Sorrisi a quella scena, tanto buffa quanto dolce.

"Cosa è successo?" Domandai, confusa dal mio sogno e dalla mia presenza in quel posto.

Improvvisamente una fitta alla nuca mi fece impallidire e subito la mia piccola amica mi raggiunse preoccupata.

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