Quel mattino, subito dopo essermi ripresa, la responsabile del laboratorio decise di darmi un giorno libero ed io accettai senza alcuna lamentela. Questa volta, però, non mi appostai sulla mia solita banchina ad osservare stralci di vite altrui perché temevo di incontrare il gigante. Erano ancora ben impresse nella mia mente quelle pennellate d'odio e terrore dipinte sul suo viso, quel petto voluminoso che si muoveva repentinamente e quelle labbra, serrate come per non emettere alcun suono compromettente.
Avevo cominciato a temere il gigante e tutta quella bizzarra situazione che stava venendosi a creare.
Come poteva sapere di Ekaton? Ma soprattutto, come era possibile che nessuno, tranne me e il gigante, si fosse accorto che si stava ripetendo la stessa giornata del giorno prima?
Avrei anche potuto sospettare di essere diventata pazza, ma la consapevolezza che il gigante stesse condividendo con me le stesse esperienze mi dava almeno una certezza: quella situazione non era frutto della mia mente.
Mentre rimuginavo, assorta da pensieri degni di uno psicanalista, raggiunsi la mia dimora. Varcai l'uscio e a salutarmi ci fu il solito silenzio; i miei genitori erano in campagna e mio fratello si divertiva nei paraggi con i suoi amici e una palla di cuoio. Andai nella mia camera, mi sdraiai accanto alla finestra e contai quelle particelle ormai protagoniste del mistero. Come avevo previsto, erano soltanto cento. Così decisi di andare in cucina e rimanervi fino alla fine della giornata, seduta sulla sedia in legno meno traballante, evitando qualsiasi movimento che avrebbe potuto causare un disastro simile a quello della sera precedente.
I minuti cominciarono a scivolare lungo l'asse temporale con una lentezza disarmante.
Le ore si accavallarono delicatamente, quasi non volessero disturbare qualche dio del tempo che riposava beatamente.
La mia colonna vertebrale cominciava a risentirne, il peso dello scorrere del tempo si accumulava tra le vertebre per poi incanalarsi sull'osso sacro che pulsava fastidiosamente. Le gambe si intorpidirono a causa dell'assenza di moto e non potei far cessare quel freddo formicolio che torturava il mio piede destro ormai da ben due ore. Le spalle, incurvate per la stanchezza, erano perennemente trapassate da fitte lancinanti come lame. Nonostante tutte queste complicanze corporee, i miei occhi rimasero vigili tutto il tempo in attesa di qualche evento. Soprattutto in attesa del mio centounesimo granello.
Trascorsi il pomeriggio in quello stato dolorosamente comatoso e quando percepii il calar del sole la mia forza venne meno e provai ad arrendermi.
Fu un suono a ridestarmi.
Riconobbi il lievissimo scricchiolio dell'asse lignea che si trovava sul pavimento della stanza adiacente alla cucina, tra l'uscio e il resto del soggiorno. Fu un rumore tanto impercettibile quanto comune per qualsiasi persona abituata a vivere in casa propria.
Afferrai il cesto in vimini posato sul tavolo, con la vana speranza che quello potesse bastare per difendermi. Ero in attesa da pochi minuti con il braccio destro sollevato e pronto a lanciarlo, quando vidi una sagoma oscura farsi largo tra le ombre e dirigersi in cucina.
Un gemito di orrore mi sfuggì dalle labbra quando mi accorsi che quella sagoma possedeva un coltello tanto lucido quanto affilato. Poi quello sconosciuto si fermò e potei immaginare che stesse silenziosamente ridendo della mia paura.
"All'inizio non ci avevo pensato, poi alcune immagini mi hanno sfiorato la mente e subito tutto mi è stato più chiaro. Mi sono ricordato di tutte le volte che hai provato a sfiorarmi e ti sei ritratta come se ti bruciassi. Mi son ricordato delle tue unghie che hanno inciso il numero 101 sul tavolo. E ho collegato tutto quanto al tuo breve viaggetto ad Ekaton."
Quella voce profonda e familiare si fermò per un attimo ed io ne approfittai per lanciargli il mio cesto di vimini, che urtò sul suo petto e cadde rovinosamente a terra. Questo gesto aizzò la bestia contro di me, la sua ignara vittima.
Alla luce della lampadina riconobbi il gigante. Tutta la tristezza che percepii dai suoi occhi il giorno prima, mentre mi parlava seduti sulla banchina, era scomparsa e si era tramutata in mostruosità.
Mi venne incontro ed io provai a scostarmi, ma le mie gambe si erano ormai atrofizzate. Così caddi a terra e lui mi seguì, si posizionò sopra il mio corpo e la sua mano destra avvolse la mia gola. Sentii la trachea inclinarsi leggermente e dovetti dosare le quantità di ossigeno da porvi all'interno.
Non parlai, anche in questo caso osservai soltanto tutto ciò che stava accadendo.
Il gigante, intanto, proseguì con il suo monologo.
"Anni fa sono andato via di casa e ho lasciato che tutti credessero che avessi litigato con mio padre. In realtà ero andato a cercare il mio nemico per affrontarlo. Dopo inutili ricerche ho deciso di tornare a casa e, ironia della sorte, il mio nemico era proprio nella mia città e nel laboratorio di mia madre."
Detto ciò, premette un po' di più lungo la trachea e cominciai a sentire il mio corpo allarmarsi per la carenza d'ossigeno. Io, invece, ascoltavo.
"Ora che ti ho trovata finalmente posso porre fine al mio supplizio."
La pressione esercitata ormai era infinita e il mio cervello cominciò a staccare la presa.
"Perché tu sei la schifosissima Centouno."
Roteai gli occhi per distogliere lo sguardo dal mio assassino, ma vidi qualcun altro entrare in cucina. Aguzzai la vista e un essere mingherlino e sporco di fango si avvicinò silenziosamente a noi due. Aveva i capelli corvino, il naso all'insù tipico dei bambini e un vaso di cristallo nella mano sinistra.
Quando i miei neuroni elaborarono tutte queste informazioni, capii che si trattava di mio fratello.
A quel punto sbarrai gli occhi e la paura che potesse accadergli qualcosa prese il sopravvento. Cominciai finalmente a sentire quel dolore al collo e quella mancanza d'aria che avrei dovuto percepire sin da subito. Provai a divincolarmi e a scalciare ma il peso di quell'uomo non me lo permetteva.
Mio fratello, intanto, era arrivato alla distanza giusta per sferrare il colpo.
Sentii il vaso infrangersi sul cranio del nemico e fui strabiliata dalla forza che un bambino di soli sei anni era riuscito a dimostrare. Ma la sua tenacia riuscii soltanto ad ammaccarlo.
L'uomo si voltò in preda alla furia e tirò mio fratello per il colletto della giacca, scaraventandolo contro il tavolo. Del sangue cominciò a sgorgare dalla tempia sinistra e i suoi occhi sembravano lottare per rimanere aperti.
Io urlai il nome di mio fratello e cominciai a singhiozzare.
"Lascialo stare, ti scongiuro! Prendi me, fa' tutto quello che devi ma lascia lui."
La mia frase riportò il gigante verso di me.
"Farò di te ciò che voglio, su questo puoi starne certa."
"E allora fallo, avanti!"
Riafferrò il coltello posato momentaneamente al suolo e portò la sua punta fredda poco sopra il mio ombelico. Un attimo dopo fui distratta da qualcosa che si muoveva alle sue spalle. Lo osservai mentre ondeggiava delicato nell'atmosfera e sorrisi. Il mio piccolo 101.
Questa volta, però, non svenni ma continuai a tenerlo d'occhio.
Quel microscopico granello emise un lieve bagliore che propagò un po' di calore lungo la mia direzione. Poco dopo quel bagliore si tramutò in una luce intensa e bollente che inglobò me, mio fratello e il gigante. Fui cullata da quella mistica inondazione di calore e luminescenza e, quasi inconsapevolmente, tutti e tre chiudemmo gli occhi.
101 scomparse dalla mia vista.
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Centouno
Fantasy[COMPLETA] Immersa tra le ombre, Sara comincia a contare quei centouno granelli di polvere che da anni aleggiano indisturbati nella sua camera. Eppure un giorno qualcosa in quei conti non torna. Un granello mancante la porterà a vivere un'avventura...