Avrebbe avuto la mia età.
Diciotto anni di gioiosa vita campestre, di amore incondizionato, di avventure sulle rive del fiume.
Io e Philos, invece, ne avremmo avuti di più.
Avremmo trascorso diciotto anni di vita coniugale l'uno accanto all'altra, in una modesta dimora al di là delle mura di Ekaton, con qualche ruga in più ma molti meno pesi sul cuore.
Saremmo stati una famiglia.
Una di quelle umili, con un pezzo di pane per cena e innumerevoli aneddoti da raccontare alla propria figlia.
Le avrei insegnato che il mondo è una creatura bipolare.
A volte è dolce come un cucchiaio di miele, molte altre è aspro come succo di limone.
Ma la pietanza della vita necessita di ambedue i gusti: un po' di limone sul salmone appena pescato, un barattolo di miele nell'impasto del dolce della domenica.
Le avrei detto che intorno a noi vi sono più piante di limoni che api e che le api sanno essere tanto dolci quanto pericolose con il loro grande pungiglione a forma di coda.
Infine le avrei sussurrato che per quanto amaro possa risultare, ogni essere umano nella sua vita ha bisogno di una dozzina di questi frutti per poter meglio assaporare la dolcezza del miele.
Lei mi avrebbe guardata con dei grandi occhioni grigi, sicuramente ereditati dal padre, e si sarebbe avvinghiata a me per proteggersi dal mondo cattivo.
A diciott'anni suo padre le avrebbe fatto un lungo discorso sugli uomini, proprio come il mio aveva fatto con me.
L'avrei vista avvinghiata al collo di un ragazzino dai capelli arruffati e per un po' ne avrei sofferto.
Ma avrei ripensato ai nove mesi in cui il mio grembo era stato per lei calda culla e quel ricordo mi sarebbe bastato per condividere mia figlia con quel giovanotto.
Avrebbe avuto la mia età.
Ma un giorno, prima ancora che i suoi occhi avessero avuto modo di formarsi, una lama impugnata da un mostro ne aveva reciso le membra.
La punta della spada di Curio mi aveva trafitta da parte a parte, raggiungendo nel mentre l'esile corpicino della mia bambina.
Me lo aveva raccontato mentre ero ancora distesa sul nostro antico letto, con le cosce chiazzate di sangue pudico e gli occhi chiusi per non vedere il suo corpo semivestito accanto al mio.
Potevo captare soltanto la sua voce, anche se lontana. Forse mi stava parlando direttamente dagli Inferi.
Narrava con quel tono di voce e quell'entusiasmo di chi legge al proprio figlio una fiaba della buonanotte.
A tratti rideva, divertito dagli orrori di una vendetta macchiata col sangue.
Appariva distante, come se non fosse lui il protagonista della sua storia.
Poi mi aveva lasciata andare.
"Ormai non ho più nulla da sbrigare con te", mi aveva detto.
Avevo la manica destra che mostrava la spalla arrossata, i capelli in disordine e gli occhi stanchi per delle lacrime che non riuscivano a venir fuori.
Camminavo con le gambe distanziate tra di loro, per evitare che il sangue seccatosi sulle mie cosce me le irritasse ulteriormente. A volte inciampavo su un sassolino più grande degli altri, altre volte mi fermavo per scollare la sottoveste macchiata di rosso dal mio corpo.

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Centouno
Fantasy[COMPLETA] Immersa tra le ombre, Sara comincia a contare quei centouno granelli di polvere che da anni aleggiano indisturbati nella sua camera. Eppure un giorno qualcosa in quei conti non torna. Un granello mancante la porterà a vivere un'avventura...