Capitolo XIII

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Non appena lo vidi, le poche certezze che ero riuscita a crearmi lì ad Ekaton si sgretolarono in miriadi di pezzi dagli angoli smussati. Ero tacitamente consapevole che non sarei riuscita più a ricongiungerli, sarei rimasta completamente demolita dall'interno. Con quella strana certezza di essere appena diventata un vetro rotto e mai più sanabile, mi scostai dalle braccia della dolce signora. Quella avvertì sulla propria pelle il tremore che muoveva rapidamente la mia epidermide e ne fu colpita. Così decise di girarsi per dare una risposta a quella mia reazione tanto esagitata.

Ma, quando voltò il capo, potei percepire un sorriso benevolo farsi spazio tra le sue gote.

"Lorenzo caro, accomodati pure."

Il gigante, con la sua pianta voluminosa, avanzò di un passo. Il mio cuore sussultò abbastanza da percepire il pericolo incombente. Cominciai a dubitare della buona fede di Phìlos e della sua famiglia, temetti di essere caduta in una trappola da cui non sarei riuscita a liberarmi.

Quell'uomo, dall'aspetto esageratamente ingombrante, intanto avanzava verso la sedia che si trovava alle mie spalle.

Phìlos, percepito il mio disagio, mi si avvicinò con fare amorevole e mi sussurrò all'orecchio se tutto andasse bene. Non risposi, ma semplicemente attesi la reazione del mio nemico.

In un istante fui inondata da quella sensazione di alienazione e tranquillità precedentemente provate durante l'incendio e il tentato omicidio del gigante. Riacquistata la mia solita lucidità, decisi di allontanarmi quanto bastava per raggiungere la porta d'uscita di quella casa. Se fosse successo qualcosa, avrei avuto la possibilità di scappare da quella situazione esasperante.

Improvvisamente il gigante prese la parola.

"Potrei avere l'onore di presentarmi a questa giovane donna?"

Utilizzò un tono raffinato e soave, gesticolando da galantuomo. Della voce cupa e dei modi rozzi non vi era più traccia, stava personificando qualcuno che non era il vero lui.

Eppure la madre di Phìlos non sembrò accorgersene, bensì fu lieta di accompagnarmi al cospetto del mio nemico.

Mi lasciai trasportare dalle braccia possenti di quella donna, mentre rivolgevo lo sguardo verso Phìlos per cercare una rassicurazione che in quel momento solo lui poteva darmi. Lui, però, abbassò lo sguardo. Percepii un lieve dissenso nella sua espressione e mi sentii stranamente in colpa.

Raggiunta la sedia sulla quale sedeva il gigante, tesi il mio braccio destro per la presentazione. Lui si alzò rapidamente, si porse in avanti e le sue labbra sfiorarono la mia mano. Quando ci fu il contatto fui invasa da un'ondata di calore, la solita sensazione disturbante che quell'uomo mi provocava. Ritrassi la mano, scottata dalla sua crudeltà. Sul viso mi si dipinse una smorfia di disgusto per quel mostro, la cui presenza il mio corpo rigettava.

Subito dopo volle baciarmi la guancia sinistra, così si avvicinò e porse le sue labbra accanto al mio orecchio.

"Non mi sfuggi, Sara." Sussurrò ed io sussultai.

Probabilmente Phìlos tradusse quella mia reazione come cosa gradita. Dai suoi occhi delusi potei capire le sue idee: pensava che fossi stata lusingata dall'atteggiamento invadente del gigante, il sussulto sicuramente gli parve sintomo di una mia contentezza interiore.

Per questo motivo quel ragazzo si allontanò con le spalle leggermente ricurve, raggiunse la porta e la chiuse alle sue spalle.

La madre di Phìlos decise di allontanarsi per portare a termine le faccende di casa.

Così io ed il gigante rimanemmo soli nella stessa camera.

Lui prese ad osservarmi con intensa ferocia, negli occhi un guizzo d'odio zampillava di tanto in tanto. Dal mio canto io non riuscivo a riportare lo sguardo su di lui, temevo che quel contatto potesse riavvicinarlo a me. E quella era l'ultima cosa che desideravo.

In quegli attimi mi dimenticai di mio fratello, della mia famiglia nella mia città e di Ekaton. Riuscii a pensare soltanto a me e a come potermi salvare da colui che desiderava la mia morte.

Presa da quei pensieri, fui colta di soprassalto quando il gigante tornò a parlarmi.

"Bella l'idea di tornare ad Ekaton per evitare di farti ammazzare, non ti facevo così sveglia."

Finalmente sollevai lo sguardo e, con gli angoli delle labbra rivolti verso il basso in segno di disprezzo, gli risposi.

"Non l'ho deciso io. Se avessi potuto farlo avrei portato soltanto te in questo posto."

Il gigante sorrise amaramente e scosse la testa disapprovando ciò che avevo appena detto.

"Non sono sciocco, Sara. Tu sei la Centouno e puoi decidere quando ti pare e piace di passare da un mondo all'altro."

Le sue parole furono per me un barlume di speranza, così decisi di approfondirle.

"Non so cosa tu cerchi da me perché io non ricordo niente di questi luoghi. Ma se tu mi dicessi cosa dovrei fare per tornare a Bari, non ci penserei due volte ad andar via."

"E tu credi che io non lo voglia? C'è soltanto un problema: potresti partire lasciando me in questo posto. Il mio obiettivo è ucciderti, Sara, e lo farò."

Si avvicinò al mio esile corpo e cominciò a carezzarmi i capelli con lentezza e molta teatralità. La mia pelle venne trafitta da numerose fiamme che si contorcevano nelle mie viscere.

Il suo tocco era demoniaco.

Io rimasi paralizzata ad osservare i suoi tremendi occhi grigi, mentre lui guardava i miei con profondo disgusto. Ad un certo punto impugnò la mia chioma e la tirò violentemente verso il basso, in tal modo la mia testa si rivolse verso l'alto ed io mi irrigidii immediatamente.

Quel mostro avvicinò il suo naso al mio collo, annusò l'odore della mia pelle e poi mi sussurrò parole crudeli nelle orecchie.

"Purtroppo qui non posso ucciderti, Ekaton ti protegge. Se lo facessi rimarrei intrappolato qui per tutta la vita e non potrei tornare sulla Terra. Soltanto tu e i Cento potete gestire il flusso di anime da un mondo all'altro."

Quella frase mi diede forza, acquistai la giusta consapevolezza di essere l'artefice del suo destino. Involontariamente sorrisi a quell'ammissione, così facendo lo irritai. Rinforzò la presa sui miei capelli e un lieve urlo, trasformatosi poi in un sussurro, fuoriuscì dalle mie labbra.

"Ma posso uccidere tuo fratello, lui non serve a nulla qui ad Ekaton."

Non appena mio fratello fu preso in causa, il terrore mi pervase completamente.

Lui era il mio punto debole, l'arma a doppio taglio del mio cuore.

Non avrei permesso a nessuno di fargli del male. Era una promessa.

Capii che la mia missione era una: salvarlo.

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