Capitolo XVIII

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Gli chiesi di rimanere seduto sulla banchina, poiché se fosse accaduto qualcosa non avrei voluto che fosse coinvolto.

Con lunghe falcate sulla terra mi diressi verso quel cerchio improbabile. Ogni passo scaturiva in me sensazioni profonde e incomprensibili che mi infuocavano il petto.

Giunta a pochi metri dalla prima trave, sospirai profondamente ed entrai in quel cerchio.

Cominciai a percorrere ogni volto, ogni straccio, ogni gamba, con gli occhi sbarrati per la vergogna e la tristezza. Mi appropriai delle loro sconfitte, delle loro vite e di tutto quello che da lì a pochi minuti avrebbero perso.

Il mio viaggio lungo quelle anime si interruppe quando mi avvicinai ad un corpo massiccio e ricoperto da quella che un tempo doveva essere una sottana. Avvicinai la mano ai suoi capelli ramati e subito quel viso si sollevò di scatto. La riconobbi.

Osservai i suoi occhi grigi, l'espressione benevola quando mi osservava, il ventre voluminoso. Era la prima persona di cui avevo fatto conoscenza ad Ekaton. Era la donna che mi aveva accolto nella stanza dalle candide coperte e dalla finestra posizionata di fronte al castello. Era la signora offesa dalla mia amnesia.

Ci guardammo a lungo, colpite entrambe da quell'incontro. Una lacrima solcò la sua guancia un tempo piena.

"Sapevo che sarebbe ricomparsa, signorina."

Mi avvicinai ulteriormente a quella donna avvinghiata alla trave e, con una mano sulla sua fronte, carezzandole i capelli increspati, le parlai.

"Quel giorno non mi ha detto il suo nome."

"Pròcrita, signorina. Ero la Prescelta della Centouno, colei che la accudiva quando non era al Tempio. Mi è mancata molto."

Detto ciò, chinò il capo in segno di rispetto.

"Ma perché anche lei è legata qui?"

"Oh... quando lei è ricomparsa io ero così felice! Così, per la contentezza, ho cominciato a raccontarlo a tutti. La Centouno era tornata ad Ekaton. Il giorno seguente hanno voluto controllare che le mie parole fossero vere, così li ho portati nella sua camera, signorina, ma lì non vi era nulla se non delle lenzuola un po' scompigliate. Perché è sparita, signorina?"

La sua domanda era apparsa più come una supplica che come un rimprovero. Mi sentii in colpa per averla trattata male e per essere andata via, nonostante non lo avessi deciso io...

Poi ricordai.

Quel giorno avevo pianto con tutta la forza che avevo in corpo, aggrappata al cuscino come unica fonte di amore. Avevo pensato alla mia famiglia e nel mio cuore avevo desiderato profondamente di tornare indietro. Lo avevo voluto così tanto da riuscire a farlo. In quel momento, invece, mi tratteneva in quel luogo la presenza di mio fratello. E forse anche Philos.

Il gigante aveva ragione. Io, la Centouno, potevo decidere quando andare e tornare. Bastava solo una grande forza di volontà.

Soltanto un evento rimaneva incomprensibile: il mio primo viaggio verso Ekaton.

Io non sapevo della sua esistenza, non potevo desiderare di giungere lì.

Quello era un altro tassello che mi mancava, un mistero degno di essere risolto. Probabilmente la risposta a quel mio dubbio era la chiave della mia presenza in quella città. Sapevo, però, di essere vicina alla verità. Alla motivazione che mi aveva portato nella mia terra natia.

Ritornai con la mente verso Pròcrita e contemplai quelle rughe accanto agli occhi che la prima volta non avevo notato. Quell'esperienza l'aveva invecchiata.

"Dunque, non trovandomi, l'hanno considerata una folle. Giusto?"

"Esattamente, signorina. Pensavano che fossi impazzita, per loro ero una blasfema. La Centouno è morta ben diciotto anni prima, mi hanno detto. Poi sono stata rinchiusa e oggi morirò. Col sorriso, perché l'ho rivista e so finalmente di aver avuto ragione."

Un sorriso sdentato e forzato si fece largo tra il mento ed il naso. Provai profonda compassione nei suoi confronti.

"Ma io posso aiutarla! Posso dimostrare di essere viva, così lei potrà essere scagionata."

Il corpo di Pròcrita sussultò e uno spasmo raggiunse le braccia legate dietro la sua schiena.

"No! Non può mostrare la sua identità, signorina! Se lo facesse, la cercherebbero per ammazzarla."

"Chi mi cercherebbe?"

"Cùrio, suo marito. Il Signore di Ekaton."

Mi parve di perdere i sensi, la mia vista si offuscò ed in un primo momento io assecondai quello stato di quiete. Poi, riacquistata un poco di lucidità mentale, tornai a parlarle. Avevo bisogno di un'ultima risposta.

"Ma allora perché lei ha detto in giro che ero viva?"

"Oh, io l'ho detto in buona fede. Soltanto nelle Celle di Ekaton ho saputo della congiura."

Non ebbi il tempo di domandarle di quale congiura stesse parlando, perché fui accerchiata da tre guardie vestite in rosso. Mi presero per le braccia e con forza mi spinsero al di fuori del cerchio.

Rivolsi un ultimo sguardo a quella donna. Osservandola mi resi conto di quanto il mio cuore la ritenesse affine a me. Non mi ero mai accorta di quel legame resistito al tempo. Ora, guardandola per un ultima volta, seppi che lei apparteneva al mio passato, ai miei momenti felici.

Nella mia mente rivissi immagini chiare e nitide. La vidi con un sorriso perfetto e carico d'amore mentre muoveva la culla nella quale mi trovavo. La vidi porgermi l'indice stretto dal mio pugno.

La vidi posare la corona d'alloro sul mio capo, mentre con la mano sinistra mi carezzava la guancia.

Infine la vidi piangere, sdraiata al suolo e con le mani incrociate, davanti ad un letto dalle candide lenzuola. Vuoto.

La salutai per un'ultima volta con quel sorriso che sicuramente l'aveva accompagnata nella sua esistenza felice.

Lei ricambiò, spalancò le labbra e mi mostrò la dentatura imprecisa e le rughe ai lati della bocca.

Mi lasciai trasportare inerme verso Philos.

Dopo essere stati lasciati soli, mi rivolsi a lui con amarezza.

"Perché non mi hai mai detto che ho un marito?"

Lo vidi tremare.

Per la prima volta lì ad Ekaton, desiderai ardentemente dimenticare ogni cosa.

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