Capitolo X

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Quando la mia amica tinta d'azzurro scomparve, inspirai profondamente e decisi di avvicinarmi ad uno degli uomini barbuti. Nonostante provassi a rimanere serena e positiva, il mio cuore tumultuoso provò più volte a rompermi il petto con i suoi battiti repentini.

Una delle tante paure che in quel momento vorticavano rumorosamente nella mia testa era quella di poter avere un attacco di panico, che avrebbe posto fine ad ogni possibile piano per entrare nel centro di Ekaton.

Reùma mi aveva detto che lì avrei trovato ciò che cercavo: ma io cosa cercavo in realtà?

Mio fratello, il gigante o qualcosa di più profondo che non riuscivo ancora a comprendere?

Tra le mille domande, intanto, raggiunsi una delle torrette e sollevai il capo. Poi mi ricordai dell'avvertimento della mia amica e subito lo riabbassai, tenendo ben stretto sul viso il mantello nero di Dèino.

Sollevai il braccio destro e cominciai a muoverlo energicamente da una parte all'altra, nella vana speranza che qualcuno potesse notarmi nonostante la mia altezza minuta. Ma nessuno distolse lo sguardo dall'orizzonte ed io, con il braccio arrossato a causa dei raggi solari che trafiggevano la mia pelle, mi arresi e cominciai ad urlare.

"Ma insomma, non mi vedete proprio?"

Finalmente uno di loro ruotò il capo nella mia direzione, concedendo un'occhiata tanto tagliente da penetrarmi le pupille dilatate per la curiosità.

"Parli pure." Tuonò con una voce così profonda che dubitai provenisse da quell'uomo.

"Io sono una ballerina del prossimo spettacolo!"

Probabilmente non fui convincente come avevo sperato, perché un secondo signore dalla lunga barba prese la parola e notai con amarezza un velo di ironia in ciò che disse.

"Una ballerina? Ci faccia vedere qualche passo di danza, allora."

Quella richiesta mi destabilizzò alquanto. Reùma non aveva accennato alla possibilità che mi venisse chiesto qualcosa del genere. Non sapevo come reagire a quella provocazione, temevo di sbagliare in qualcosa, rischiando di farmi scoprire.

Con un impeto di coraggio, tenendo sempre il mantello fissato sul capo, iniziai ad improvvisare una danza.

I miei piedi e le mie braccia improvvisamente presero vita e si destreggiarono nell'aria con un'armonia che mi stupì profondamente. Realizzai disegni alati, solcando l'aria che sembrava fasciarmi il corpo per l'estasi di quella danza. Ad un certo punto le mie labbra si schiusero per lasciar passare dolci note, le quali componevano una melodia a me estranea. Mi parve tutto così confuso e naturale al contempo. Non avevo mai amato danzare, eppure in quel posto qualcosa di antico e impolverato si era risvegliato in me.

Anche quei vecchi barbuti mi stavano fissando con incredulità. L'uomo che per primo mi aveva rivolto la parola, si scompose dalla sua solita posizione e mi donò un sorriso sincero.

"Lei... conosceva la Centouno?"

Alle orecchie di ogni guardiano presente su quelle torrette arrivò la parola Centouno.

All'unisono tutti loro emisero un urlo di stupore e gioia. Tutto ciò mi destabilizzò.

Non mi permisero di rispondere, ma i due uomini più vicini al portone d'ingresso sollevarono entrambe le mani e attesero che le due ante si spalancassero.

Io mi avvicinai con cautela, temendo che il tutto fosse una trappola.

Ma quando fui vicina abbastanza da poter scorgere cosa nascondeva quella cinta muraria, cominciai a correre, trasportata da una forza indescrivibile che mi calamitava al suo interno.

Oltrepassate le mura, ciò che vidi era degno di un racconto di fiabe.

Percorsi pietrosi erano disposti perpendicolarmente, rispettando la stramba geometria già osservata nella foresta. Dove non erano presenti i percorsi, vi era un prato inglese color verde smeraldo sul quale qualche bambino stava giocando. In ogni spazio libero, strutture lignee si ergevano e nascondevano al loro interno qualche mercante che urlava i prezzi dei suoi prodotti in vendita. Tantissimi abitanti, gioiosi e pieni di vita, puntellavano quel meraviglioso paesaggio. Ognuno di loro indossava abiti che avrei potuto definire cinquecenteschi: c'erano donne umili il cui corpo era ricoperto da una stoffa grezza, stretta in vita e lunga sino al suolo; gli uomini altolocati si contraddistinguevano per i loro colletti dal colore bianco luccicante; i bambini indossavano scarpe di cuoio e calzoni blu; le bambine, infine, portavano con garbo vestiti a campana degni delle mie bambole d'infanzia.

Mi sembrava di essere la protagonista di un racconto surreale e intriso di colori intensi.

Il mio sguardo, poi, si concentrò su un punto in lontananza occupato da una grande e ricca dimora...

"Priscilla!"
Sentii sussurrare, ma non feci caso a chi potesse essere. Ero troppo presa da quella meravigliosa abitazione.

Alcuni istanti dopo, la stessa persona che aveva pronunciato quel nome afferrò il mio braccio sinistro e fui catapultata in una stanza molto buia e dalle dimensioni ridotte.

Il mio naso fu solleticato da un odore acre e insopportabile, subito capii che si trattava di cipolle. Tastai con le mani le pareti di quello stanzino e mi accorsi che erano di legno.

Sicuramente mi trovavo in uno di quei carretti per il mercato che poco prima avevo avuto modo di notare.

Ad un certo punto qualcuno staccò un oggetto in ferro dalla parete che si trovava alle mie spalle e, acceso un fiammifero, lo posò all'interno di quell'aggeggio facendo in modo che si accendesse.

La lampada prese a illuminare con luce fioca me, il mio abito fin troppo corto per quel luogo e degli occhi grigi che mi stavano fissando con incredulità.

"Tu... sei qui."

Delle labbra morbide e piene si avvicinarono alle mie.

CentounoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora