XIV

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Il vocio costante, fitto fitto, si diffondeva per tutta la sala improvvisata. Le conversazioni dei presenti erano le più disparate e spaziavano da qualsiasi argomento immaginabile; tutto ciò contribuiva ad accrescere l'atmosfera di festa, allegria e bellezza che stava caratterizzando quel giorno: sabato.

Il giorno del matrimonio era finalmente arrivato, con una rapidità che aveva del sorprendente sia per Audrey sia per, soprattutto, Oliver. Dopo il loro scambio del giovedì pomeriggio – in cui avevano ammesso entrambi la preoccupazione che sentivano in vista di quel giorno – il tempo era parso volare.

La pianista aveva fatto la prova generale con il resto dei componenti della piccola e improvvisata orchestra il giorno precedente e, tornata a casa, aveva imparato ad annodare un farfallino insieme a Oliver e YouTube. E stava bene quel farfallino indosso al suo migliore amico, di una splendida sfumatura lapislazzuli che, insieme all'abito, faceva risaltare l'azzurro dei suoi occhi.

Oliver era felice. Qualsiasi possibile dubbio o preoccupazione vi fosse stata in lui prima della cerimonia era sicuramente scomparsa nel momento esatto in cui il ragazzo aveva visto arrivare Aisha; Audrey, che lo conosceva come nessun altro, aveva capito tutto ciò semplicemente con uno sguardo.

Continuava ad averne la conferma guardando la coppia ballare in mezzo alla pista, nella tensostruttura montata apposta per l'evento, in cui si stava tenendo il ricevimento. La pioggia aveva bagnato i prati di Stratford solo durante la cerimonia, lasciando tempo al sole di sbucare fra le nubi – ora scomparse – e illuminare quel sabato di maggio, permettendo al ricevimento di svolgersi in un bel clima e consentendo anche di passeggiare fuori dalla tenda, sui prati. Gli avventori, infatti, si erano divisi proprio in quel modo; a decine ballavano sulla pista, intorno ai neosposi, altri conversavano seduti ai tavoli, altri ancora erano fuori nel guardino, a fumare o parlare.

Audrey, invece, era sul palco insieme al resto dei suoi colleghi e amici, a suonare una dopo l'altra le canzoni che aveva scelto come colonna sonora di quel pomeriggio. Seduta allo splendido pianoforte a coda color dell'ebano che avevano noleggiato per l'occasione, il suo vestito verde preferito indosso, la pianista stava seguendo partiture di canzoni che aveva ormai imparato a memoria, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata agli sposi, felice di vederli così raggianti insieme. Dentro di sé un po' li invidiava; non tanto perché anche lei volesse sposarsi, ma perché anche lei avrebbe voluto trovare il suo Sebastian, proprio com'era successo ad Aisha con Oliver. Non aveva più una relazione da quasi due anni, ed era arrivata al punto di credere di pretendere troppo. Tuttavia, al contempo, non si biasimava nemmeno. L'ultimo ragazzo che aveva frequentato – per alcuni mesi e nulla di più – le aveva fatto capire che non esisteva detto più azzeccato di "meglio soli che mal accompagnati". Colpa o merito suo che fosse, Audrey era arrivata a capire che non aveva senso stare con qualcuno che non la faceva sentire bene e, poiché stare da sola non la spaventava, aveva deciso di aspettare quello giusto, il suo Sebastian. Tuttavia alle volte si chiedeva se lo avrebbe trovato mai e quel giorno, davanti alla coppia felice che erano Oliver e Aisha, se lo chiese di nuovo. Scacciò il pensiero sulle note di A kiss to build to dream on una delle canzoni che più amava. Louis Armstrong era in assoluto il suo preferito; musica, parole e perfino voce di quell'uomo le piacevano e non si stancava mai di ascoltarlo. In quel momento, anche se la voce non era la sua ma quella di Neil – il cantante del piccolo complesso in cui stava suonando – quella canzone fece sparire ogni spiraglio di malinconia dentro di lei.

Dopo un altro paio di canzoni, mentre la banda si stava prendendo qualche breve minuto di pausa, Oliver si presentò sotto il palco e chiamò Audrey. «Vieni giù» le disse.

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