II

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Il rumore della carta si fece improvvisamente più insistente. Una a una, le tavole acquerellate venivano spostate da un lato all'altro del tavolo. Venivano fatte sfrecciare per brevi istanti da due uomini in maniche di camicia, chini sul piano a parlare sommessamente fra loro. I due discutevano di alcuni dettagli dei soggetti raffigurati, corrucciavano la fronte o facevano qualche breve e monosillabica osservazione.

Davanti a quella scena, immobile su una sedia, vi era Peter.

Gli occhi bruni del ragazzo scorrevano nervosamente i movimenti in aria di ciascuna delle dodici tavole maneggiate dagli uomini, mentre, con notevole sforzo, il giovane si sforzava di mantenere l'autocontrollo.

Quei disegni erano suoi. Ogni singolo elemento impresso su ciascun foglio era suo e, proprio come succedeva per la quasi totalità degli artisti, era geloso di quei lavori come se fossero stati i suoi figli.

Peter aveva da poco compiuto ventisette anni e, ormai da quattro, lavorava come illustratore per un piccolo studio in Thomas More St. Si occupava principalmente di illustrare racconti per bambini e ragazzi, due tipologie di storie che lui amava disegnare proprio per le libertà che gli erano concesse. Erano già stati pubblicati diversi libri con i suoi disegni e, ogni volta, per lui era una grande emozione.

I due uomini che aveva davanti in quel momento non erano altro che lo scrittore e l'editore di un libro prossimo alla pubblicazione, che si erano rivolti alla piccola ditta in cui Peter lavorava proprio chiedendo dei suoi disegni, dopo aver visto il suo lavoro su un racconto.

La storia a cui stavano lavorando parlava di un giovane ballerino di tip-tap che, nonostante le avversità, continuava a ballare e a diffondere allegria nelle persone che incontrava. Era una storia carina, per bambini e Peter era felice di potervi prendere parte.

Tuttavia, quei due uomini, erano incontentabili.

«Non saprei» disse infine l'autore, lanciando un'occhiata all'editore.

«In effetti,» convenne quest'ultimo, «immaginavo diverso il protagonista. Meno... non saprei.»

«Meno?» chiese perplesso Peter.

«Mi ricorda tanto Fred Astaire» borbottò l'editore, massaggiandosi il mento.

«Mi sono ispirato a lui, infatti» lo informò in risposta il ragazzo.

I due lo guardarono, dopodiché si scambiarono una nuova occhiata.

«Forse è questo il punto» attaccò l'autore, come se avesse finalmente trovato il bandolo della matassa. «Non pensavo certo ad Astaire quando ho ideato il personaggio.»

«Ah, capisco» disse di rimando Peter. «È solo che, beh, avevo pensato: chi meglio di Fred Astaire potrebbe raffigurare un ballerino di tip-tap?»

«Il tuo ragionamento non fa una piega. Solo che io pensavo a qualcosa di più giovane, più fresco rispetto ad Astaire.»

Peter guardò l'uomo, lo scrittore, pensando che voleva togliersi da quella situazione il prima possibile. Non erano i disegni a non andare bene, era solo il volto del protagonista. Se non volevano un sorriso alla Fred Astaire li avrebbe accontentati. In quel momento aveva solo voglia di tornare a casa.

«Che ne dite di Gene Kelly?» propose. Trattenne a stento il suo tono più scettico e rimase a osservare i due uomini che si confrontavano con gli occhi.

«Sì, decisamente. Molto meglio. Ottima idea Peter.»

Il ragazzo sorrise, più per il sollievo che per l'insignificante vittoria. Si alzò dalla sedia e raccolse le sue tavole, mentre i due uomini cominciarono ad accordarsi con lui sul giorno in cui sarebbero tornati per vedere le prime bozze. Decisero per il giorno seguente, ignorando totalmente le reazioni che cominciarono a sollevarsi dal lato di Peter e salutandolo allegramente prima ancora che lui potesse formulare una protesta efficace.

Qualcuno nella follaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora