1. costretta

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Avanzai lungo la staccionata.
In fondo, sulla porta, ad aspettarmi c'erano i miei zii che da un lato sorridevano dall'altro trattenevano le lacrime.
«Ciao piccolina.» disse mia zia avvolgendomi in un grosso abbraccio.
Scoppiai a piangere. Mi sentì stringere, ma non d'una stretta di felicità. Era una stretta di compassione.
Dopotutto anche lei aveva perso qualcuno in quell'incidente.
«Fa come se fossi a casa tua.» disse mia zia facendomi entrare.
Presi le valigie e, con finto sorriso, salì al piano di sopra, senza dire una sola parola.
Entrai nella camera in cui venivo sempre da piccola quando gli zii mi ospitavano d'estate.
Era sempre la stessa: pareti rosa, letto ben imbottito e gli armadi pieni di poster.
Posai le valige sul letto e le svuotai riponendo i vestiti nell'armadio.
Dopo aver fatto ciò, mi avvicinai alla scrivania dove trovai qualche bigliettino.
Alcuni annotavano cose da comprare per il rientro a scuola, altri persone da odiare e altri ancora con dei nomi maschili avvolti a cuoricino.
Sorrisi al ricordo di quei momenti.
La mia infanzia.
D'improvviso la porta si aprì ed entrò mia zia Ombretta con un piccolo sorriso.
«Perché non vai a farti un giro? Magari vai a trovare le ragazzine con cui giocavi da piccola?» domandò lei accarezzandomi la schiena.
Annuì.
Scesi le scale in tutta furia e mi fiondai in strada.
Iniziai a camminare guardando la città.
I ricordi mi invasero.
Le scuole erano da poco finite e i ragazzini correvano e giocavano lungo le strade.
Mi sedetti su una delle panchine del parco dove giocavo da piccola e iniziai ad ascoltare della musica a caso.
D'improvviso però, qualcuno mi tolse le cuffie facendomi girare verso di lui, o meglio, di lei.
«Federica Carta vero?» domandò una ragazza dai capelli rossi.
«Chi sei?» domandai io nuovamente innervosita.
«Io sono Vittoria Markov. Giocavamo insieme da piccole.» disse lei sorridendomi.
Annuì e feci un piccolo sorriso.
Mi alzai e iniziai a camminare mettendomi le mani in tasca.
«Come mai siete tornati?» domandò lei curiosa.
Non risposi.
«In genere quando venivate era il periodo di agosto.» continuò lei mantenendo il mio passo veloce.
Cercò di farmi un'altra domanda ma io la bloccai all'instante.
«Io ho bisogno di pace, non di certo di una come te che mi venga a importunare! Voglio stare sola, capito?» urlai innervosita.
«Ah, scusami.» si bloccò lei.
«Ci vediamo.» disse facendomi un piccolo sorriso.
«Forse.» poi me ne andai a casa più scocciata che mai.
Entrai in casa e chiusi la porta sbattendola.
«Che succede piccola mia?» domandò mia zia appena mi sentì sbattere la porta.
«Succede che la mia famiglia è morta e io sono costretta a stare qui!» dissi piangendo correndo in camera mia.

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