° otto °

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«Aspetta, aspetta, aspetta.» disse freneticamente Taehyung, agitando una mano in aria e massaggiandosi una tempia con l'altra. «Vorresti dirmi che ti sei eccitato per delle fottute camicie?» chiese, ma sembrava che lo stesse dicendo più per convincere sé stesso di quello che aveva sentito che per chiedere conferma a me.

Io rimasi in silenzio, mentre finivo la mia bibita e guardavo le reazioni esagerate che era solito a fare. Conoscevo Tae da quando andavamo a scuola insieme, e per un breve periodo è anche stato il mio compagno (è stato il primo a parlare con me a proposito del mio problema di insoddisfazione). Dopo tutto questo tempo e le varie situazioni, siamo ancora amici.

Era un ragazzo affidabile, con lui mi sentivo libero di parlare di qualsiasi cosa: anche perché, con la sfiga e le situazioni esageratamente imbarazzanti in cui solo lui riusciva a ritrovarsi, potevo soltanto gioire della fortuna che in confronto avevo io.

Alcune volte mi chiedevo come riuscisse ad esserci, in in corpo così magro e proporzionato, tutto quell'ammasso di sfortuna. Ma allo stesso tempo aveva un sacco di qualità, tra cui essere un buon amico e ascoltatore. Come adesso, che era stato subito disponibile ad incontrarci per poter discutere del mio "problema", che gli avevo appena illustrato.

«È davvero possibile una cosa del genere?» chiese il ragazzo, ancora confuso, rivolto probabilmente non tanto a me più che al suo cervello, che tentava di trovare una risposta «Cioè, magari sei solo sessualmente frustrato e quel cliente era solo molto bello. E la tua mente ha fatto tipo: due più due, e ti sei sentito così.» tentò di spiegare, gesticolando in modo esagerato come faceva sempre nel parlare.

Annuii piano, come se stessi ascoltando la spiegazione di qualche professore. Forse era così, ma raccontai anche dell'episodio precedente all'incontro, quando mi sentii nello stesso modo nel magazzino del negozio, per chiedere spiegazioni sulle sensazioni così forti che avevo provato.

Taehyung arricció le labbra, ascoltando le cose che uscivano dalle mie labbra e di cui non riusciva a capirne il minimo senso. «Ok, no, mi spiace bro ma sei pazzo. Fuori. Come, tipo, un balcone? Non lo so nemmeno io.» alzò le mani in aria, arrendendosi e lasciando andare un lungo sospiro di sconforto. Ne aveva sentite tante, soprattutto lui, ma i miei discorsi lo stavano spingendo sempre oltre.

Feci una smorfia. «Andiamo, Tae, ho bisogno del tuo aiuto. Per questo ti sto raccontando 'sta roba. È anche abbastanza imbarazzante.» gli dissi, stringendo la presa sul bicchiere di fronte a me. Mi sentivo ancora più strano ora che neanche Taehyung sapeva darmi un aiuto sulla situazione. Forse ero davvero pazzo.

Il castano chiaro sospirò ancora, si portò ancora una volta una mano alla tempia e chiuse le palpebre continuando a pensare dentro di sé. «Non ho idea di cosa possa significare.» sentiva che tutti i suoi studi in psicologia stavano lentamente andando a puttane «Non so dirti niente sull'episodio del magazzino. Su di lui, invece, forse assomigliava a un certo tipo di bellezza che la tua mente definisce ideale? O tipo, tu e lui eravate una coppia meravigliosa nelle vostre vite passate, e questo è il risultato del vostro incontro anche in questo mondo?»

Alzai le sopracciglia. «Davvero? "una coppia meravigliosa nelle vostre vite passate"?» dissi, con una punta di fastidio nel tono. Come poteva buttare il discorso su un aspetto del genere? Stavo cercando risposte, qualcosa che mi dicesse che non avevo niente che non andava, ma le parole di Taehyung non erano di conforto. «Perché diavolo frequenti la facoltà di psicologia da almeno due anni se poi non sai dire nulla di utile ad un amico?» sbottai, infastidito.

Taehyung fece una faccia imbronciata, come se gli avessi appena tirato uno schiaffo. «Ehi, ci sto mettendo tutto me stesso.» si lamentó, per poi finire il cappuccino che aveva di fronte  «Sai almeno il suo nome?» domandó.

Annuii. «Min Yoongi.» risposi, anche se non mi aspettavo che al mio amico importasse davvero. Non aveva una buona memoria, probabilmente al momento di salutarsi si sarebbe già dimenticato di quel nome. «Ma non ci sono possibilità che tu lo conosca, dice che si è appena trasferito.»

«Appena trasferito?» domandò il castano, con un ghigno divertito sul viso. Nella sua testa stava già cominciando a ragionare sulla cosa, come se in un universo parallelo fosse stato un detective e il mio un indizio di vitale importanza. «Invece questo rende più facile la ricerca. Lasciami tempo due giorni, ti saprò dire anche il numero di capelli che ha in testa.»

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