Capitolo XIV

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Resto immobile sullo stesso punto per venti minuti buoni, poi mi rendo conto che fissare una casa con la speranza che da essa esca qualcuno è davvero stupido e spaventoso se visto da altri occhi.
Allora prendo il telefono e chiamo il numero che ho messo nelle chiamate rapide.
Mi evita a scuola, allora io lo assillo fuori.
Non risponde e alzo gli occhi al cielo sapendo che me lo sta facendo apposta.
Anche io sono incazzata con lui ma almeno non ho dimenticato i miei doveri, come quello di aiutarlo nel rimettersi in gioco.
Non so che cosa gli sia successo d'estate, ma so che i suoi muscoli non funziona bene e che ha una grossa cicatrice vicino all'inguine.
M'incammino verso la porta della casa e suono.
Ad aprirmi è di nuovo sua madre che però adesso sembra preoccupata.
«Ciao, Elen. Tutto bene?»
«Sì, signora. Sa per caso se suo figlio è in casa?» Chiedo.
«È in camera sua con la musica a tutto volume.» Afferma lei ancora più curiosa.
So che la mia faccia trasmette nervoso. «Posso andare a recuperarlo?» Chiedo.
Lei annuisce e mi ringrazia. Immagino che non riesca più ad ascoltare questa musica del cazzo.
«Seconda porta a destra.» Dice.
Faccio le scale e mi dirigo verso la porta.
La apro di botto e fisso la scena di un troglodita depresso a letto che cerca di dormire con questa musica.
Cerco di spegnere la cassa ma alla fine opto per staccarla dalla presa. La musica si spegne di botto tant'è che lui alza lo sguardo e gli viene un infarto appena mi vede.
«Che cazzo ci fai qua?» Chiede quasi incazzato.
«Senti pezzo di merda, alzati, mettiti la canadese e vieni ad allenarti. Ho preso un impegno con te e non me ne frega niente se ho ferito il tuo orgoglio da uomo o roba simile.» Dico seria.
«Ho un impegno.» Dice.
«Impegno? Farsi seghe tutta la sera vuol dire avere un impegno?» Chiedo. Lui ringhia dal nervoso. Dato che non si smuove devo usare le maniere forti.
Prendo il suo braccio e comincio a tirarlo verso il pavimento. Lui si lamenta e io gli strillo contro che è un bradipo.
Alla fine riesco a buttarlo giù dal letto.
Adesso è seduto sul pavimento in marmo mentre mi fissa incazzato. Ha solo i boxer e anche se l'ho già visto così, è sempre uno spettacolo.
«Ti muovi?» Chiedo stanca morta per la fatica che ci sto mettendo.
«Cos'ho in cambio?» Chiede.
«Cosa? Ma sei scemo? Ti sto dando quello che vuoi: ritornare ad essere un capitano eccellente! Questo è ciò che avrai in cambio.» Dico stremata dalla fatica. Sbuffa, poi alza gli occhi al cielo, poi sbuffa di nuovo. «La smetti di fare il bambino e andiamo?» Chiedo.
Lo convinco dopo una bella mezz'ora.
Mentre si cambia, io scendo le scale.
La mamma di Edward si affaccia divertita.
«Hai lottato?» Chiede.
Sicuramente devo avere una faccia sconvolta.
«Praticamente.» Dico sorridendole.
«Beh, sei l'unica che ha fatto dei piccoli miracoli. Dopo l'incidente non ha voluto neanche uscire con gli amici per qualche tempo.» Afferma.
«Incidente?» Chiedo.
«Non te lo ha detto?» Chiede lei. «Pensavo che l'allenamento fosse per rimettere a posto i suoi muscoli.»
«No ... non me lo ha detto.» Dico sentendomi una merda.
Lei mi consola con un sorriso. «È fatto così: non vorrebbe che nessuno mettesse in gioco le sue debolezze.» Afferma lei.
«È testardo.» Dico io.
«No, Elen. Ha paura.» Afferma la mamma.
Il rumore dei passi di Edward zittisce sia me che sua madre. Ora che ci penso non so il suo nome.
«Mamma noi andiamo. Ritorno tardi perché devo incontrare gli altri di sera.» Dice lui.
Io lo guardo. Sembra strano.
Non penso che si senta proprio bene.
La mamma però sembra tranquilla.
Usciamo da casa sua e camminiamo fino alla spiaggia.
Per tutto il tempo restiamo muti fino al campo.
Edward incomincia lo stretching da subito e venti minuti dopo sembra che le sue gambe non lavorino molto bene.
Lo fisso attentamente e alla seconda volta che quasi cade con la faccia in terra, mi alzo e lo blocco.
«Che ne dici se facciamo una pausa?» Chiedo.
«Devo allenarmi.» Ribatte lui.
«Diciamo che puoi anche fare una piccola pausa. Io non ti mangio.» Dico.
«Ma la mia squadra lo farà.» Dice lui.
Alzo gli occhi al cielo. «Forza, Edward. Le tue gambe non reggono.» Dico sinceramente.
Lui si sente preso alla sprovvista. «Io sto benissimo.»
«Sì, Ed, stai divinamente.» Dico fissando il suo ginocchio che non riesce a reggere neanche il suo corpo.
«Okay, sediamoci.» Dice sospirando. Sembra deluso da tutto e forse lo capisco.
Ci sediamo sulla panchina e guardiamo l'oceano. Sicuramente domani pioverà, il mare non è dei migliori.
«Faccio schifo.» Dice nel silenzio della costa.
Mi giro a guardarlo e vedo che fa delle smorfie di dolore tenendosi la gamba.
«Devi solo riposare.» Dico io. Metto la mano sulla sua e la lascio lì. Mi piace il contatto con la sua pelle calda.
«Non riuscirò mai a prendere la borsa di studio.» Afferma.
«Sei troppo pessimista. Ti rimetterai in sesto e i tuoi muscoli ritorneranno a funzionare bene. Riuscirai a controllarti e soprattutto a capire i tuoi dolori.» Dico sicura.
«Io sono realista.» Dice contrario mentre esamina la mia mano.
Sbuffo divertita dalla sua faccia seria. «Sarà.» Dico.
Restiamo qualche altro minuto in silenzio e lui sembra essersi chiuso nel suo mondo. Segue con le dita le vene della mia mano e poi quando non riesce più a seguirle si focalizza su altri dettagli.
Poi appoggia la sua testa sulla mia spalla e lo lascio fare. In faccia è bianco come un lenzuolo.
«Tutto okay?» Chiedo.
«Sono ancora vivo.» Dice ma non sembra del tutto convinto.
«Vuoi rientrare?» Chiedo.
«No. Voglio restare qua fino a quando questa gamba non smetterà di far male.» Dice lui.
Io guardo la sua gamba e l'angoscia mi pervade.
«Sicuramente mia mamma ti ha detto che ho avuto un incidente.» Dice lui quasi divertito da ciò.
Io indirizzo lo sguardo sull'oceano mentre sento il suo profumo che mi entra nelle narici.
Chiudo gli occhi e resto quasi sconvolta da come mi sento dentro.
Sto bene. Sto troppo bene.
«Ha accennato qualcosa.» Dico sincera.
«Beh, accenna sempre qualcosa ma non riesce mai a dire granché. Forse ha paura di rivedermi nelle stesse condizioni di tre mesi fa.» Dice. «Dice sempre che sono stanco, ma non è così. Sono arrabbiato. Ho una rabbia dentro che vorrei sfogare ma non ci riesco.» Afferma tranquillo. «Se solo quel coglione fosse passato con verde io oggi sarei Edward Posey, quello di sempre, non uno che praticamente non si regge in piedi.» Dice.
«Gli avete fatto causa?» Chiedo.
«Certo. Ma in un modo o nell'altro l'hanno scagionato.» Lo dice quasi come se fosse uno scherzo, una barzelletta. «Era fatto, ubriaco e stava parlando al telefono. Con queste tre sei mesi se li sarebbe fatti. Ma è un ex comandante della marina, quindi immagina.» Dice.
«Fa schifo.» Dico.
«Sì, fa schifo.»
Stringe la mia mano e poi poggia la testa sul mio grembo prima di chiudere gli occhi e sospirare.
Io tolgo le ciocche di capelli corvini dalla sua faccia e passo i polpastrelli sulla sua faccia per calmarlo.
«E scusa se faccio lo stronzo.» Afferma girando la faccia per fissarmi. Sorrido e gli tolgo un'altra ciocca dalla faccia.
«Non ti scuso, ma ti capisco.» Affermo.
Lui ride e poi si rialza. «Forza, andiamo a casa.» Afferma.
Si alza e zoppicando prende le sue cose.
«Che ne dici se ti appoggi un po' a me?» Chiedo quando incominciamo a camminare.
Lui è molto più alto di me, ma almeno posso aiutarlo in qualcosa.
Mette il braccio sulle mie spalle e pian piano ritorniamo a casa.
Quando siamo davanti a casa mia vedo che la sua espressione non è delle migliori.
«Che ne dici se resti un po' da me?» Chiedo.
Lui mi guarda insicuro. «Non disturbo?» Chiede.
«Ci sarà solo una peste che vorrà tuoi autografi e cose del genere.» Dico seria.
«Stai scherzando?» Chiede.
«No.» Sbuffo accompagnandolo fino alla porta.
Quando apro mi ritrovo davanti un Kyle con un sacco di patatine gigantesco tra le braccia.
«Cristo, Kyle! Che diamine stai facendo?» Chiedo.
Lui mi sorride. «Niente.»
«Kyle ...»
«Okay, è un esperimento che sto facendo con il gruppo. Ma è tutto okay.» Dice.
«Se esplode qualcosa ti ammazzo.» Dico seria. «Comunque resterà un po' da noi Edward, non metterlo a disagio.» Dico facendolo entrare.
Ovviamente Kyle abbandona le sue patatine per occuparsi al cento per cento di Edward che sembra stupito dalla velocità con cui parla il mio fratellino.
«Kyle! Respira!» Dico dirigendomi verso la cucina.
Quando entro trovo la webcam sul tavolo con altre cose che rimetto apposto velocemente pur di non sentire le urla della mamma.
«Quindi il campionato quando inizierà?» Chiede Kyle quando rientro nel soggiorno.
Edward è sempre nelle stesso punto in cui era quando lo avevo lasciato.
Sorrido divertita dalla sua faccia quasi terrorizzata.
«Kyle, vai a fare il tuo esperimento. Poi dopo potrà rispondere a tutte le tue domande.» Gli prometto.
Lui segue il mio ordine e va. Si lamenta del fatto che ho messo apposto quasi tutto e strilla un po'.
«Vuoi cibo?» Chiedo.
«Qualunque cosa. Sto morendo di fame.» Ammette Edward.
Sorrido e vado a prenderei toast che mamma mi ha fatto. Li riscaldo e poi glieli do.
«Tu non ne vuoi?» Chiede quando si rende conto che io non sto mangiando niente.
«Penso di poter sopravvivere.» Dico sincera.
Lui sorride e poi mangia mugugnando parole a caso. Penso che i toast gli stiano piacendo.
Io nel frattempo cerco qualcosa in TV e per caso mi capitano i Simpson.
Lui mi ordina di lasciarli e io alzo gli occhi al cielo perché non gli ho mai tollerati.
Nell'altra stanza sento le voci del gruppo di Kyle che parlano sicuramente da Face Time.
Mi lamento diverse volte di quanto sia stupido Homer e Edward invece ribatte con frasi sconnesse tra di loro dato che la puntata deve essere molto interessante.
Rido come non ho mai fatto quando Edward resta interdetto da una scena.
Lui a quel punto mi prende di peso e mi mette su di lui e poi mi fa il solletico.
Rido come una scema e alla fine ci ritroviamo ingarbugliati l'uno sull'altro.
Lo guardo e lui guarda me.
Siamo di nuovo nella stessa condizione in cui eravamo due giorni fa.
Solo che adesso lo voglio baciare seriamente.
E ...
Sento la porta aprirsi e la mamma che ci chiama. Mi alzo di scatto e le vado incontro.
«Ciao tesoro.» Dice lei guardandomi stupita.
«Ehi, mamma!» Sorrido.
Dietro di me arriva Edward. Mia mamma prima guarda lui, che è alto venti centimetri in più di me, poi guarda me. «Oh.»
«Salve signora.» Dice Edward.
«Ciao. Tu sei?»
«Lui è Edward. Lo aiuto con gli allenamenti.» Dico.
«Beh, mi aspettavo che mi rispondesse lui, El.» Dice lei fissandomi di sbieco.
«Sono Edward.» Ripete il troglodita dietro di me.
Alzo gli occhi al cielo.
«Piacere Edward, io sono Ophelia.» Dice. «Sei il figlio di Pony?» Chiede.
Pony?
«Già.» Dice Edward. Mi giro verso di lui quasi allarmata dal nome di suo madre. «Io adesso dovrei andare.» Dice Edward.
Mia madre lo saluta e io lo accompagno fino alla porta.
«Allora a domani.» Dice.
«A domani.» Sorrido.
Lui si gira e se ne va.
Io nel frattempo so che mia madre mi farà domande su domande appena entrerò dentro casa.
Infatti ...
«Mi stai nascondendo qualcosa, zucchero?» Chiede mia madre quando passo davanti alla sua camera. Mi blocco ed entro dentro la stanza. La guardo mentre si cambia.
«No, lo sto solo aiutando negli allenamenti.» Dico sincera.
Lei mi guarda dallo specchio che è attaccato alla parete. «Stai attenta, El. I ragazzi come lui fanno male.» Dice.
«Ma io non provo niente per lui.» Dico.
«Mai dire mai, tesoro.»
Io la guardo mentre si toglie gli orecchini.
Mai dire mai.

*Spazio Stellare*

Mai dire mai😌
Io nel frattempo guardo Temptation Island🦌

Perché sono quiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora