4: in cui si beve spritz con una modella e un vichingo

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Kim si era sempre trovata sconvolta davanti a una particolare caratteristica di Stella: l'assomigliare in modo inquietante a sua madre.

La signora Phan aveva ben poco in comune con la loro vicina di casa, a partire dall'altezza, passando poi per il modo di fare e per la mancanza di una laurea in psicologia, ma entrambe avevano quella strana, vaticinante convinzione di sapere esattamente cosa fosse necessario per Kim, sempre e comunque. Era una forma di bonario paternalismo, di dittatura allo zucchero filato.

Se però la signora Phan aveva dovuto in qualche modo ricredersi sul liberoarbitrio della figlia nel momento in cui aveva accettato Jozefien, la stessa occasione non era mai stata concessa alla signorina Sartore, che quindi continuava imperturbabile a pensare che Kim non sapesse, in buona sostanza, come gestire al meglio la propria vita. O meglio: i sentimenti negativi.

"Lo so, lo so. Non guardarmi con quella faccia".

"Quale faccia?".

"Quella che usi quando vuoi rinfacciarmi una colpa".

"Hai la coda di paglia, Jozefien?".

Jo sorrise e si portò il bicchiere di plastica verde alle labbra. Kim ricominciò a mordicchiare il bordo del suo, chiedendosi perché alle feste di Stella non si potesse ascoltare musica che non fosse italiana. Capiva poco o niente di quello che veniva biascicato da metà dei cantanti maschi e in più quel poco le sembrava assolutamente senza senso.

Tutto quanto era evidentemente aggravato dal fatto che non avesse deciso in modo spontaneo di partecipare a quel piccolo party chiassoso.

"Lo sai che Stella vuole solo tirarci su il morale".

"Ci sono altri modi per farlo".

"Tipo lasciarti chiusa in casa tua a rimuginare?".

"Esattamente. Essere rapiti non appena si torna stanchi dal lavoro non la trovo un'idea così geniale".

"Kim, hai avuto più di mezz'ora per prepararti".

"Io volevo fare la doccia".

"La facciamo assieme dopo".

Kim soppesò attentamente la proposta, ma era troppo infastidita per darla vinta a Jozefien. Continuò a mordicchiare il suo bicchiere, inalando dolci zaffate di etanolo, domandandosi se un secondo sorso l'avrebbe trascinata nel baratro dell'allegria. Nel dubbio, bevve.

Nel piccolo appartamentino di Stella riuscivano a entrare, a ogni festa, almeno una ventina di persone. Kim conosceva buona parte dei presenti che chiacchieravano, accennavano passi di danza, ridevano e bevevano nel salotto tinteggiato di rosa antico in cui anche lei era posizionata, seduta su uno dei due divanetti di pelle. Di solito si sforzava di partecipare alle conversazioni.

Di solito.

Quella sera avrebbe voluto infilarsi a letto, imbozzolarsi nelle lenzuola ed entrare in letargo fino alla mezzanotte del giorno dopo, per dimenticare il signor Zecchin, la scomoda proposta della signorina Venchi e il fatto di non aver ancora prenotato il volo per il Vietnam. Invece le toccava essere lì, in mezzo a giovani allegri e desiderosi di fare festa. Si sentiva vecchia.

Aggrottò la fronte contrariata quando la cantante che fino a un attimo prima aveva urlato di inferno d'amore lasciò il post a una coppia di uomini brontolanti frasi sconnesse a proposito di Italia e governo poco funzionale.

"Certo che Stella potrebbe mettere musica un po' più decente".

Il sospiro esasperato che sfuggì dalle labbra di Jo fece scattare un campanello di allarme nella sua testa.

La sposa del fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora