22: in cui una saggia giovane distrugge stereotipi

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La casa di Amina era una graziosissima villetta in stile arabo che si affacciava sulla lunga, quasi interminabile superstrada D63: attorno al muro di cinta in arenaria che circondava il complesso di abitazioni, vi era solo ed esclusivamente il deserto.

Ci arrivarono in autobus, seguendo il percorso che la ragazza compiva tutti i giorni per andare e tornare dal lavoro. Scesero alla fermata dall'aspetto abbandonato e Kim si guardò attorno, preoccupata. Non c'erano lampioni ad illuminare quella lunga ed ininterrotta strada: solo la luce della luna quasi piena e delle stelle, luminosissime nel buio completo del deserto, aiutavano ad orientarsi.

"Perché Diego non è venuto con noi?" domandò Kim, mentre Amina si aggiustava la borsa sulla spalla e le faceva cenno di seguirla verso il muro, dentro cui si apriva una porticciola più scura.

"Perché non può entrare in casa mia. Non siamo sposati".

"C'è qualcuno che vi controlla?".

La ragazza sospirò e mormorò: "I vicini di casa".

"Hai paura che vi denuncino?".

"Così è la prassi. Non ho un guardiano ufficiale che controlli le mie relazioni" bisbigliò la ragazza, mentre si avvicinavano al cancello di casa. Amina estrasse le chiavi dalla borsa, aprì il battente e indicò a Kim la prima casetta, una delle più modeste, a un solo piano: c'era una piccola porta protetta da un tettuccio di pietra e due finestre a ogiva ai suoi lati. Attorno alla passerella di pietra che conduceva all'entrata c'era solo sabbia su cui resisteva erba scura e forte. Era proprio una normale villetta, ma posata per caso nel deserto della penisola araba. Kim si guardò attorno con circospezione: vicino alla loro vi erano due case, ma le luci erano spente. Si sentì sollevata quando la porta si chiuse dietro di loro, finalmente al sicuro da sguardi indiscreti.

"Accomodati" la invitò Amina, togliendosi le scarpe all'ingresso. Kim la imitò e la seguì lungo lo stretto e basso corridoio, che si aprì subito in un grazioso salotto dai colori caldi. La sua ospite accese una lampada a lato della porta: c'erano tre piccoli divani senza schienale ricoperti di cuscini ricamati, da cui pendevano nappine ai quattro angoli. Un tappeto un po' logoro ricopriva il pavimento, sotto un tavolino di legno scuro molto semplice.

"Ho solo un letto piccolo, ma sono sicura che potrà andare bene per te" le disse, mentre Kim entrava in quel minuscolo ma accogliente spazio, osservando le due piccole finestre alle pareti e il mobiletto sottostante, su cui si trovavano alcune foto. Ognuna di quelle raffigurava una signora anziana con un pesante velo nero e una bambina piena di capelli crespi scuri, sorridente.

"Non voglio disturbare" mormorò, sedendosi dolorante sul divano più vicino. "Posso dormire anche qui. Per un paio d'ore, non farà alcuna differenza".

Amina, che era sparita nella stanza sul lato opposto del corridoio, tornò con un vassoietto di metallo, una piccola teiera argentea e un paio di tazzine di vetro rosse.

"È freddo" le disse. "Va bene lo stesso?".

"È perfetto, grazie".

"Devi riposare".

"Non so come. Non penso di essere pronta per dormire. Non con quello che mi ronza in testa" confessò Kim.

Amina si sedette sul divano ad angolo con quello della ragazza e, mentre lei prendeva una delle due tazzine piene fino all'orlo di tè freddo che sapeva di menta, iniziò a togliere le forcine dalla complessa architettura di velo. Kim aggrottò la fronte e poi sgranò gli occhi quando Amina si tolse lo hijab, rivelando uno stretto chignon di capelli corvini. Con un sospiro, tolse il laccetto che teneva assieme la chioma e una matassa morbida e profumata di olio di Argan le si riversò sul seno. Erano ricci crespi che formavano un compatto muro color carbone, ma Kim riuscì a notare fili d'argento a intessere quella trama notturna.

La sposa del fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora