A Kim erano sempre piaciuti i mercati: nella girandola della loro confusione, avevano un non so che di perfettamente ordinato, come se ogni cosa fosse al suo posto anche nell'esatto istante in cui tutto sembrava solo conseguenza del caos.
A Ho Chi Minh ne aveva visti tanti, ma nessuno di essi aveva mai battuto i mercati campagnoli che quasi ogni giorno animavano le strade principali del villaggio vicino a quello di sua nonna: si vendeva ciò che il Mekong e il mare offrivano, tra gamberi essiccati, frutti di mare, grossi e pallidi pesci gatto. Tra quei larghi piatti di peltro e ceste di vimini Kim era cresciuta e aveva imparato a riconoscere i nomi della moltitudine di radici e tuberi commestibili della tradizione, delle spezie in polvere e del generoso cibo da strada.
Anche nella sua città d'adozione non erano mancati: aveva girato come una trottola per tutti i mercati rionali, acquistando il pesce fresco al mercato di Rialto e prodotti contadini a quello di Santa Marta.
Kim era, in fondo, figlia delle sue origini.
Per questo il suo malumore evaporò come la condensa del mattino sotto il gagliardo sole estivo nel momento in cui mise piede nel grande suq di Bur Dubai.
Il signor Al-Azar, che aveva dovuto tollerare perfino a colazione, le aveva condotte in taxi verso il quartiere di Bur Dubai, uno dei quartieri più caratteristici della città, che si affacciava sul Dubai Creek, il lungo canale di acqua salata che dal Golfo Persico si insinuava nelle aride terre della zona per quasi quattordici chilometri.
Kim aveva creduto che si sarebbe trovata davanti all'apoteosi del lusso sfrenato, una specie di serpeggiante via della moda in salsa araba, ma si era sbagliata.
Quello che aveva dinnanzi a sé in quel momento non era altro che un mercato coperto da lunghe arcate di legno, incuneato tra due file di vecchie case basse, grigie e gialle.
"Benvenute al suq di Bur Dubai" disse allegramente il signor Al-Azar, voltandosi a guardare le sue ospiti. "Il mercato dei tessuti".
"Oh mio dio!" esclamò Ginevra, guardandosi freneticamente attorno. "Tiziana, è il paradiso!".
"Non so" rispose la sua amica, storcendo il naso alla vista di persone sedute sulla elegante pavimentazione color mattone, davanti ai loro banchi di vendita. "Non mi sembra il massimo".
"Perché non ha ancora visto le stoffe, carissima" rispose Dariush. Quel giorno si era presentato da loro in camicia bianca ed eleganti pantaloni neri. Kim si odiò quando ammise a sé stessa che quel dannato uomo aveva davvero una certa avvenenza, con la pelle olivastra che contrastava deliziosamente con il candore della camicia e quegli occhi neri come ossidiana. Si odiò ancora di più quando si accorse delle chiazze ascellari in allargamento sulla sua camicetta verde, mentre Al-Azar pareva fresco come una rosa.
Si sentì afferrare per il braccio e si voltò a guardare Jo, che ricambiò il suo sguardo sorridendo.
"Possiamo comprare qualcosa per Lucrezia" propose, senza lasciarla andare, nonostante il tentativo di Kim di liberare il proprio polso.
"Jo" sibilò, cercando di farla ragionare, ma Jozefien la ignorò, si voltò e prese a camminare velocemente sotto le arcate, superando Tiziana, Ginevra e Dariush.
"Guarda lì!" esclamò, indicando uno dei negozietti da cui strabordavano prodotti coloratissimi e messi ben in ordine. Nell'aria secca e calda aleggiava il leggero profumo di lino, cotone e colori disidratati. Kim annusò con cautela e riuscì a percepire lo strano aroma della sabbia del deserto e perfino la leggera brezza del Creek. Nonostante tutto, si sentiva leggera, come se stesse semplicemente levitando a svariati centimetri dal suolo.
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La sposa del fuoco
Narrativa generaleA quattro anni di distanza dall'incidente della Emerald, Kim e Jozefien hanno trovato un loro equilibrio e hanno realizzato un sogno: aprire assieme un'agenzia di viaggio nella loro città d'adozione, Venezia. Nella loro vita c'è solo un fastidio: i...