18: nel quale si narra il racconto di una vita e c'è una profezia

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Kim non aveva né voglia né tempo di stare a sentire quel megalomane pieno di chiacchiere, ma quello che era appena successo – il ritrovarsi improvvisamente seduta su un'ottomana, solo perché il suo ospite aveva mosso con eleganza una mano – l'aveva messa opportunamente in allarme. Con il cuore incastrato in gola, seguì con lo sguardo il signor Al-Azar, mentre questo le si posizionava davanti, nascondendo alla vista proprio la miniatura con il suo volto.

La squadrò attentamente per qualche secondo, prima di dire: "Cominciamo dalle basi. Quanto sa di storia islamica?".

Kim trovò talmente surreale la domanda che rispose seriamente.

"Niente".

"Tipico! E immagino che sappia ancora meno di mitologia... impudente parola che gli umani usano quando non capisco il sovrannaturale. In effetti anche questa non è una parola... mi scusi, sto perdendo tempo. Stavamo dicendo che...".

"Cos'è lei?" chiese Kim, finalmente rendendosi conto che doveva appurare quella faccenda, per capire quanto grave la sua situazione fosse. Era l'insegnamento più chiaro e forte che la Emerald le aveva lasciato.

Dariush smise di concentrarsi sul suo discorso e la fissò sconvolto. Avvicinò la mano destra al petto, come se quella domanda l'avesse profondamente offeso, dopodiché si portò la stessa alle labbra, ci soffiò sopra e allontanò le dita dal suo viso.

"Continua davvero a pensare che io sia un volgare umano, signorina?" domandò, mentre gli occhi di Kim si allargavano dalla sorpresa: le dita del padrone di casa stavano bruciando, nel vero senso della parola. Una fiamma viva, arancione e ocra, danzava tra indice e medio come se fiammiferi. No, ancora meglio: erano le dita stesse a nutrire la fiamma, scomponendosi al suo interno.

"Suppongo che lei non abbia mai sentito parlare di Jinn, signorina Phan".

I suoi sospetti si rivelarono fondati. Kim percepì il suo stomaco torcersi come un panno strizzato dalle mani di una lavandaia. No, non aveva mai sentito quel nome, ma era sufficientemente sveglia per capire che doveva appartenere a una qualche categoria soprannaturale.

Per l'ennesima volta si trovava in guai ben più seri del normale.

"Come volevasi dimostrare. Com'è difficile vivere con voi umani! I vostri sensi non superano il giardinetto in cui vivete, così come la vostra cultura. Ebbene, i Jinn sono creature di fuoco e vento rovente, ben più potenti di qualsiasi umano. Qualsiasi persona credente le verrebbe a dire che sono state create dal suo Dio, ma la verità è che esistiamo da molto più tempo di qualsiasi altra religione" spiegò Dariush, mentre le fiamme seguivano, come serpenti incantati dalla musica di un flautista, le inflessioni del suo inglese. Con delicatezza, l'uomo tese la sua mano infuocata verso destra, in direzione delle miniature che raccontavano una storia. Le placcature metalliche della più lontana sembrarono rabbrividire e, prima che Kim potesse rendersi conto della magia e alzarsi dalla ottomana, le figure all'interno del piccolo quadro sembrarono staccarsi dalla parete, liquefarsi e polverizzarsi, ricostruendo una figura di sfumature metalliche e fiamme, tridimensionale.

"Io ero così, un tempo. Il primo tra gli Afarit. Sa cos'è un Ifrit? È una delle categorie di Jinn più potenti. E io lo ero, tra quelli che popolavano la mia terra. Il più potente" mormorò Dariush, indicando il fiero uomo in armatura a cavallo di uno stallone bianco come polvere d'osso che trottava davanti agli occhi di Kim. "Ammetto di aver mentito con le sue amiche, signorina Phan. A mia discolpa posso dire che gli umani sono troppo ingenui e io non ho più la pazienza di una volta. Ebbene, non sono nato a Dubai. Nemmeno nella penisola araba, a dirla tutta. No, no. Sono originario dell'antica Persia, ha presente? Parte della mia antica nazione ora si chiama Iran o qualcosa di simile".

La sposa del fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora