19: dove alcune bestie, ogni tanto, ritornano

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Aveva tirato pugni contro la porta.

Aveva urlato.

Aveva implorato.

Nulla, nulla era servito. Il battente non si era riaperto, del grande e potente imprenditore non umano che aveva deciso di rovinarle la vita nemmeno l'ombra.

"È un grande onore".

Kim aveva dolore ovunque: alle nocche scorticate, alle ginocchia tumefatte, al viso congestionato dal pianto.

"Essere stati scelti dal padrone, intendo".

I suoi occhi erano persi oltre il cristallo trasparente dell'ascensore: si posavano sulla città come faceva la leggera cortina della notte incombente, ma non vedevano nulla per davvero. La sua mente non riusciva a distaccarsi dalla nube tossica di disperazione che l'aveva avvolta.

"Significa essere speciali. Avere qualcosa che nessun altro ha. Avrebbe potuto scegliere chiunque, eppure la fortunata è stata la signorina Dreyer. Se ne rende conto? Gli umani vivono una vita immersa in illusioni e mediocrità, anelando a un fine superiore. Lei ha trovato il modo per raggiungerlo. È un onore: significa che non era un'umana comune, mediocre".

Kim aveva tentato in tutti i modi di ignorare quella fastidiosa voce persistente che non la lasciava soffrire in pace, ma era impossibile. Si voltò lentamente, mentre una lacrima si gonfiava nel suo occhio sinistro e iniziava la sua rapida discesa lungo lo zigomo. Il giovane assistente vestito di rosso era lì, a due passi da lei, con un sorriso gentile sulle labbra e uno sguardo morbido e affettuoso. Era lui che l'aveva recuperata dopo dieci minuti di crisi isterica: l'aveva alzata dal suo lago di lacrime e scortata all'ascensore.

Non era gentilezza la sua: solo un ordine da parte del suo padrone, che probabilmente si era stancato di sentire il baccano prodotto da lei, Kim ne era certa. Ora tutto ciò che avrebbe voluto chiedergli era di stare opportunamente in silenzio. Solo quello.

"Si rende conto che sta parlando della mia fidanzata?" chiese, lentamente, come se volesse far capire all'assistente che tutto quello che stava dicendo era fuori luogo. Lui si limitò a sorridere ancora più luminosamente.

"Era la sua fidanzata" la corresse gentile. "Ora è qualcosa di più. Ora sarà una sposa del fuoco".

Kim non seppe mai dove trovò la forza per evitare di prenderlo per il bavero della camicia e sbatterlo con forza contro la parete di cristallo dell'ascensore – si sentiva nelle braccia abbastanza energia per farlo, perché tutta la sua disperazione cominciava a condensarsi da qualche parte, come vapore acqueo su un vetro raffreddato – ma fu frenata dalla sua imprescindibile e rigida morale, che aveva abbassato la guardia solo nel momento in cui Dariush le aveva sbattuto la porta in faccia.

Prese fiato lentamente, mentre le sue labbra tremavano, prima di mormorare: "Il suo padrone non ha alcun diritto di prendersi la mia fidanzata. È una cosa illegale".

"Forse" tergiversò allegramente l'assistente, ammiccando verso di lei. "Ma non meno che essere omosessuale qui a Dubai, eh?".

Kim si irrigidì, raddrizzò la schiena. Il suo sguardo divenne freddo e impossibile fu sostenere ulteriormente la visione di quell'avvocato del diavolo – nel vero senso della parola – mentre la prendeva in giro.

Tornò a guardare lo skyline della città, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare per impedire quel disastro. Non poteva pensare di accettare la situazione. Mai e poi mai avrebbe lasciato Jozefien in mano ad Al-Azar, senza tentare di liberarla.

Appoggiò un gomito contro il vetro e si portò una mano nei capelli, cercando di contenere il pianto.

La vita non sarebbe stata vita senza Jo. Non avrebbe avuto alcun senso tornare a casa senza di lei, anche solo pensare di ricominciare, come le aveva suggerito il Jinn. Jozefien era ciò che di realmente bello esisteva nella vita di Kim: ogni cosa, filtrata attraverso lei, era splendida. Jo era il colore, la luce, il calore. Jo era la risposta alle sue disperate domande, il bacio in fronte alla fine di un incubo, la risata dopo una disastrosa riunione di condominio. Era tutto ciò che lei non era e che le serviva. Era il bianco dove lei era solo nero, era speranza dove Kim vedeva solo sconforto. Il cuore le affondò nello stomaco ripensando alla sua scrivania in agenzia, colorata come una barriera corallina, al suo armadio pieno di pantaloncini corti e canottiere con scritte stupide, al suo profumo di crema solare ed estate, al modo in cui lasciava perennemente in disordine, tutta stropicciata, la salvietta per le mani del bagno e al pacchetto di caramelle al miele che nascondeva nel cassetto del comodino da quando aveva iniziato l'università.

La sposa del fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora