24: nel quale Kim si finge eterosessuale (ah ah ah!)

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Sul bus diretto alla casa del signor Al Rais c'erano solo un paio di ragazzi giovani e una signora anziana, avvolta in un lungo abito nero che le lasciava scoperto solo l'ovale del volto. Kim si era chiesta come mai il pullman ma anche le strade su cui il mezzo viaggiava fossero così deserte. La risposta era arrivata poco dopo, accompagnata da un groppo in gola e una sensazione di malessere: era il trentuno dicembre. L'ultimo giorno dell'anno.

"Tutti quelli che hanno un posto in hotel o in spazi dedicati ai turisti lavorano oggi" spiegò a bassa voce Amina, come se le avesse letto nel pensiero.

Kim voltò il viso verso di lei, stringendosi contro la sacca da viaggio blu che la ragazza le aveva preparato mentre dormiva. Deglutì e chiese: "Perderai il lavoro?".

Amina accennò un sorriso. "Non penso. Mi sono inventata delle buone motivazioni".

Kim non era affatto sicura che lei le stesse dicendo la verità, ma preferì tacere, lanciando uno sguardo lungo la strada. Il cielo era nuvoloso e il grigio contrastava con il giallo e l'ocra del deserto e delle sue case. Era un ambiente alieno, molto più di quanto non fosse il centro di Dubai. Lì, in luoghi come quello che stava attraversando, trascorreva la vita delle persone normali. Appoggiò il gomito al bordo del finestrino, ripensando dolorosamente ad Al-Azar e al suo sogno. Un moto di pianto le chiuse la gola.

Sembravano passati millenni dalla Emerald. In un certo senso, nella perfezione umana del tempo, non era neanche così falso: i traumi erano stati più o meno superati, i ricordi peggiori relegati nel fondo della sua testa. Dopo quattro anni, quando ripensava a quella nave, al suo sogno così gelosamente custodito infrantosi nel giro di un mese, le sembrava di rivivere la trama di un film inquietante visto tempo prima. Dopo quattro anni molti spigoli erano stati smussati, molti dettagli annientati, molta sofferenza evaporata.

Non era pronta a riviverla di nuovo. Aveva compiuto trent'anni la primavera passata e iniziava a sentirsi stanca.

Aveva avuto riflessi pronti e nervi d'acciaio sulla nave da crociera, ma non aveva avuto scelta: era stata colta di sorpresa e in ballo c'era anche la sua vita, nello smalto dei suoi ventisei anni. Forse era invecchiata velocemente a causa di quell'evento, forse stava seguendo il destino di sua madre, non era importante: non si sentiva pronta per quello che l'aspettava.

Era una persona pessimista, lo aveva sempre saputo. Jozefien era tutto il contrario di lei, era colore, luce e calore, ma non solo: era fiducia nel prossimo e nella buona sorte. Senza di lei, dopo quattro anni passati sempre assieme, Kim si sentiva persa. Era come se un vulcano a poca distanza fosse eruttato, nascondendo il sole con la sua cenere. Kim era talmente assuefatta alla sicurezza e all'ottimismo di Jo che in quel momento non riusciva a percepirsi se non come apatica: con Amina, che era stata così gentile con lei, aveva parlato poco, non aveva quasi toccato il riso che le aveva preparato per colazione e ora sedeva in silenzio su quel bus mezzo vuoto, chiedendosi come avrebbe fatto a portare a termine quella missione, perché si sentiva stanca, totalmente esausta, nonché confusa e priva di idee. Stava anche male a quello stesso pensiero: si era detta che per Jozefien avrebbe fatto qualsiasi cosa. Era ancora certa delle sue parole ma, allora, perché era così stanca?

Si accarezzò un rado sopracciglio, sempre più prossima al pianto. Aveva la testa confusa e un senso di nausea allo stomaco. Avrebbe voluto addormentarsi, entrare in letargo: era questo che il suo corpo le suggeriva, forse per scappare a tutta quella sofferenza, ma non era di certo la soluzione adatta.

"Kim?" mormorò Amina. Kim si voltò a guardarla, socchiudendo gli occhi quando il dolorino alla cervicale con il quale si era svegliata le azzannò la base della testa.

La sposa del fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora