Prologo: in cui non si conoscono parole per descrivere l'amore

260 40 20
                                    

Il caldo era soffocante.

Kim sonnecchiava e nel suo dormiveglia percepiva il sudore scendere in piccole, pigre gocce dall'incavo del collo giù, oltre la clavicola, pronte ad arenarsi sul seno, condensarsi in microscopiche pozze tra le cosce, sciaguattare tra i suoi palmi. Il materasso sotto di sé era impregnato d'acqua ormai, ma non le dava alcun conforto: la stanza era troppo calda e l'aria troppo immota.

Si voltò gemendo sull'altro fianco e il letto di bambù cigolò in risposta in modo talmente addolorato che la fece svegliare del tutto. Kim aprì gli occhi e all'inizio, nell'oscurità della camera, non distinse nemmeno la mano che aveva steso davanti a sé, sul lenzuolo sgualcito, poi la tenue luce della luna riuscì a penetrare dalla fitta zanzariera sistemata alla finestra e il profilo delle figure si delineò, sfumando nelle ombre.

Si accorse dopo più di due minuti che il posto dove aveva sistemato la propria mano era libero, quando invece avrebbe dovuto essere occupato. Kim si mise seduta e per un attimo il calo di pressione le oscurò la vista. Si portò una mano alla tempia, fece una smorfia quando si rese conto che i suoi capelli, anche se corti fino alle orecchie, erano bagnati di sudore appiccicoso, e si guardò attorno.

Nella modesta stanzetta dalle pareti di legno stava a malapena il letto matrimoniale – comunque troppo piccolo – e un minuscolo mobile di rattan. Nonostante i suoi genitori avessero sistemato la vecchia casa della nonna, ancora vivente, non avevano potuto fare granché per ingrandirla. A Kim piaceva lo stesso, molto più della sua vecchia casa in città, anche se il calore che si generava in quegli angusti locali nelle calde sere che anticipavano una tempesta era terrificante.

Si rese finalmente conto di essere sola. Con un sospiro fece scivolare le gambe oltre il bordo del letto e si alzò, facendo attenzione a non svenire. A piedi nudi si avviò verso la porticina, la superò e, silenziosamente, attraversò il corridoio che legava tutte le stanze della casa su un unico piano. I suoi genitori e sua nonna dormivano e non voleva allarmarli. Giunta davanti alla porta di ingresso dopo aver sbirciato un po' ovunque, la aprì lentamente ed uscì.

La notte era ancora tersa, calda e profumava di vita. Era uno dei periodi più caldi dell'anno, nella piena stagione del monsone: quella sera serena era un'eccezione. Il fiume Mekong scorreva gonfio di quelle acque torrenziali e i campi prosperavano. Kim annusò a occhi chiusi il profumo delle erbe e degli alberi, le sostanze volatili che avevano rilasciato durante il caldo giorno precedente e l'aroma delle corolle notturne in attesa di un partner nuziale alato. Era il ricordo della sua infanzia ed era ciò che legava alla gioia, anche in quel momento.

Perché non era sola. Non più.

"Stavi morendo di caldo, vero?" Bisbigliò discreta alla giovane donna seduta sull'ultimo scalino della casa, a fianco dei grandi vasi di terracotta che la signora Phan aveva voluto utilizzare come decorazioni all'ingresso della casa ristrutturata. Jo voltò il viso e, sotto la luce della luna, Kim riuscì a notare lo stupore nella sua espressione, subito soppiantato da un sorriso.

"Si crepa."

"Arriveranno le piogge. L'aria è troppo statica."

Kim scese gli scalini e si sedette a fianco di Jozefien, le mani tra le ginocchia e la testa posata contro la sua spalla. Jo le fece scivolare un braccio attorno alla vita e se la strinse contro, nonostante il caldo e la pelle appiccicaticcia di entrambe. Jo aveva sempre lo stesso odore e a Kim piaceva: sapeva come di sole, di spiaggia. Aveva ben chiaro anche il suo sapore e tutto raccontava di qualcosa di splendido.

"Cosa stai guardando?" Le domandò, notando che Jozefien fissava un punto davanti a sé con insistenza. "Ti è rimasto di nuovo il phở sullo stomaco?"

La sposa del fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora